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QT n. 2, 26 gennaio 2002 Cover story

Ora di religione: una scelta blindata

Avvalersi o meno dell'ora di religione? La scelta è un diritto, ma guai informare sulle attività alternative.

Storia di ordinaria frustrazione nella scuola. All’Istituto per ragionieri "Tambosi" di Trento, un progetto di educazione interreligiosa, da sottoporre agli studenti in vista della decisione se avvalersi o no dell’insegnamento della religione cattolica (irc), si è inopinatamente rivelato una mina vagante, da disinnescare con cautela. Alla proponente, l’insegnante di lettere prof. Paola Morini, si impedisce, in prima battuta, di presentarlo in Collegio docenti. Motivo: la normativa vieterebbe di illustrare agli studenti, prima della scelta se avvalersi o meno, il programma delle attività alternative. Devono scegliere al buio: "Informarli preventivamente vorrebbe dire condizionarli". Questa la tesi sostenuta dal preside del "Tambosi", prof. Giorgio Manuali, sulla base dei pareri espressi dalla Curia e dalla Sovrintendenza. Pareri contestati da Flavio Ceol, segretario della CGIL Scuola del Trentino, che si segnala come un buon conoscitore delle norme concordatarie in materia scolastica (vedi la Scheda Le regole e le opinioni). Per fare un esempio molto profano è come se a degli avventori di un ristorante lo chef proponesse due menu: uno per "carnivori", con la specificazione di tutte le pietanze previste, ed uno vegetariano, in busta chiusa, da visionare solamente in caso di rifiuto del primo. Credo che giudicheremmo un tale comportamento alquanto stravagante.

Potranno esserci state nella proposta dell’insegnante alcune espressioni non perfettamente calibrate (anzi ci sono sicuramente), ma il fatto è che la Morini si è avventurata su un terreno minato, quale effettivamente è quello dei patti concordatari fra Stato e Chiesa. E più la Chiesa cattolica perde in autorevolezza - ed è un fenomeno storico che va sotto il nome di secolarizzazione - più cerca puntelli di tipo legislativo e normativo ai suoi privilegi anacronistici; e li difende a spada tratta, trovando peraltro una sponda favorevole nei partiti politici italiani, in accanita competizione tra loro per accaparrarsi l’appoggio elettoralistico della Santa Sede, o quanto meno la sua neutralità.

Per ritornare al nostro caso, qui in buona sostanza viene impedito un confronto fra opzioni culturali diverse, con la conseguenza di avallare presso l’utenza la convinzione che l’unica alternativa all’ora di cattolicesimo sia - come avviene nella realtà - il cosiddetto "studio individuale" o la più prosaica "ora d’aria". Non a caso, su queste due opzioni si indirizzano le scelte di quasi il 100% dei non avvalentisi nelle scuole superiori (all’incirca 10% per la prima opzione, 90% per la seconda). Nessuno mette in dubbio l’altissimo consenso di cui gode l’insegnamento della religione cattolica, scelto complessivamente dal 92,4% degli alunni di ogni ordine di scuola (dati riferiti all’anno scorso), ma certo la mancanza di valide alternative culturali offerte dalla scuola contribuisce a quel risultato plebiscitario.

La prof. Paola Morini.

Ma sentiamo la protagonista della vicenda.

Professoressa Morini, come, quando e perché nasce questa sua iniziativa?

"Lo spunto l’ho avuto frequentando un corso di aggiornamento organizzato dall’Iprase, che aveva l’obiettivo di fornire agli insegnanti strumenti per relazionarsi in maniera il più possibile corretta e consapevole con la nuova utenza scolastica, vale a dire con i figli degli immigrati. Nell’ambito di quel corso è stata presentata una sperimentazione in atto da alcuni anni in una scuola elementare di Brescia. Un progetto che originariamente è stato ideato e sperimentato a Bradford, in Inghilterra, dove ha dato risultati positivi sul piano della facilitazione della convivenza fra persone di cultura e religione diverse".

Qual è la caratteristica del progetto?

"Non a caso nasce a Bradford, un’importante città industriale, con una forte presenza di immigrati, che è stata teatro di scontri di piazza tra gruppi etnici diversi. Per far fronte a questa situazione di tensione e di difficoltà di interrelazione, nella scuola si è pensato di agire sul piano della conoscenza delle diversità culturali.

Occorre premettere che in Inghilterra è prevista un’ora settimanale di insegnamento della religione anglicana, tuttavia, nei casi in cui ci sia una presenza non sporadica di alunni di altre religioni, viene garantito l’insegnamento della religione di appartenenza. Questa modalità non aveva dato buoni risultati, perché ciascuno restava radicato nella propria visione particolare. Il Progetto, al contrario, attraverso la conoscenza delle varie religioni, dei testi sapienziali, delle festività liturgiche ecc. e grazie a contatti con persone di diversa fede, da un lato favorisce una maggiore consapevolezza della propria appartenenza, dall’altro permette l’individuazione di elementi comuni alle varie tradizioni religiose. (Per saperne di più sul Progetto Bradford, vedi la Scheda di Alessio Surian del Centro Educazione alla Mondialità-CEM, Il Progetto Bradford).

Oltre a Brescia, il progetto è in via di sperimentazione anche in una scuola superiore di Torino, a Verona e verosimilmente in altre città italiane, oltre che in alcuni Paesi europei. Mi è sembrato che potesse essere utile introdurlo anche nella mia scuola".

Il "Tambosi", per le caratteristiche dell’utenza, le sembrava un terreno adatto ad accogliere questo tipo di percorso?

"Direi proprio di sì. C’è una presenza di soggetti di recente immigrazione, che se non è significativa in assoluto (sono solo 16 su 890 iscritti), lo diventa tenendo conto che qualche anno fa non ce n’era nemmeno uno. La tendenza è quindi di forte incremento. A questi, che sono cittadini stranieri, bisogna poi aggiungere quei ragazzi appartenenti a culture e religioni diverse, che essendo nati nel nostro Paese, sono cittadini italiani. Ben più consistente è invece il numero degli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica: 249, di cui una ventina frequentano il serale. Anche se, in itinere, alcuni finiscono per aderire, vedendo che non c’è la possibilità di fare qualcos’altro di interessante".

La sua proposta come intendeva collocarsi in questo contesto?

"Si riprometteva di intervenire su tre aspetti, tre nodi che considero essenziali per il percorso educativo di oggi: 1. Evitare la discriminazione degli studenti stranieri all’interno dell’offerta formativa; 2. In una società come la nostra, che si avvia a diventare multietnica con possibilità di conflitti o scontri di religione, puntare sull’educazione alla pace, attraverso la conoscenza delle religioni degli altri; 3. Proporre ai nostri studenti una visione che consentisse loro di capire come il contatto con gli altri possa essere fonte di arricchimento e non sempre e solo di problemi.

La mia proposta originaria, formulata nello scorso anno scolastico, prevedeva di offrire questo percorso sperimentale agli studenti di una o più classi, in alternativa all’ora di religione e per un periodo di tempo limitato, ad esempio per un anno scolastico. Però, mi è stato detto che il Concordato proibisce una tale procedura, perché solo dopo aver effettuato la scelta, gli studenti che non si avvalgono possono conoscere il programma alternativo. Quest’anno ho quindi riformulato la proposta in modo che tale sperimentazione potesse venire svolta dagli insegnanti di religione (anche se questa modalità, non risolve il problema dell’esclusione dei ragazzi di altre confessioni, i quali, evidentemente, scelgono di non avvalersi). Oppure, terza modalità, che entrasse a far parte dell’offerta formativa d’istituto, con carattere curricolare e coinvolgendo insegnanti di discipline diverse".

Chi dice che non si può presentare agli studenti il programma alternativo prima della scelta di avvalersi o no?

"Lo dice la Curia, facendo riferimento alla legge, nella risposta ad una richiesta di chiarimento inviata dal preside. Lo ribadisce fortemente il preside, quindi io ritengo che ci sia effettivamente questa legge. La normativa, insomma, impone questo: che non si sappia, prima, di che cosa ci si può avvalere al posto dell’insegnamento della religione cattolica".

Allo stato attuale che ne è della sua proposta?

"L’anno scorso, al momento dell’approvazione del POF (Piano dell’offerta formativa che ogni Istituto è tenuto a compilare e a portare alla conoscenza degli studenti e dei genitori, n.d.r.) la mia proposta aveva riscosso un sufficiente interesse, ma non si era ritenuto di poterla inserire nel Piano. Avevo chiesto di poterla discutere nel Collegio docenti, ma invocando la normativa sopra ricordata, il preside non l’aveva messa in discussione, perché a suo giudizio era impossibile decidere senza contravvenire alla normativa concordataria.

Quest’anno, grazie ad una raccolta di firme fra gli insegnanti, è stato convocato un Collegio ad hoc il 21 dicembre scorso, che ha approvato la proposta nella nuova formulazione quasi all’unanimità, compresi gli insegnanti di religione, e ne ha auspicato l’inserimento nel POF.

Ora, spero che la sperimentazione, in una modalità o nell’altra, possa partire con l’anno scolastico 2002-2003".

Restiamo francamente sconcertati di fronte alla cronaca che la professoressa Morini ci ha fatto di questa vicenda. Non vogliamo tuttavia che lo sconcerto releghi in secondo piano i contenuti della proposta stessa, che riteniamo rispondano perfettamente alle esigenze attuali della nostra società. Esigenze di convivenza pacifica e di confronto, non di arroccamenti e scontri. D’altra parte, l’inadeguatezza dell’insegnamento della religione, così com’è impostato ora, è stata denunciata da più parti e specialmente da coloro che sono convinti che la cultura religiosa sia un elemento importante della formazione di una persona. E che perciò non possa essere costretta entro schemi confessionali ed entro la gabbia delle norme concordatarie (vedi su Questotrentino Religione a scuola: il nodo è il Concordato e Ora di religione: la patata torna bollente). Lo ha così ben argomentato recentemente il giornalista Pierangelo Giovanetti su l’Adige (21 novembre scorso), che non ci resta che ricordarne le conclusioni, laddove elenca le pecche dell’attuale sistema:

1. la facoltatività. Quando invece "è necessario che essa (la cultura religiosa, n.d.r.) entri a pieno titolo nell’insieme curricolare degli insegnamenti, e non sia la cenerentola delle materie, ridotta spesso ad ora di ricreazione, poco considerata dagli studenti e poco qualificata nei contenuti";

2. la confessionalità dei contenuti. "Questo vuol dire, comunque, che non può reggere la formula concordataria, secondo cui è l’autorità ecclesiastica a stabilire l’idoneità all’insegnamento, revocabile se non accompagnato da comportamenti consoni - come stabilisce il diritto canonico - di testimonianza di vita cristiana e di retta dottrina…";

3. la moltiplicazione degli insegnamenti confessionali. E’ presumibile che altre confessioni religiose pretenderanno dallo Stato, per la "par condicio", l’istituzione nella scuola pubblica di altrettanti insegnamenti religiosi, "ghetti paralleli e incomunicanti proprio su un tema che, per sua natura, richiede la conoscenza reciproca". Naturalmente ogni confessione pretenderebbe di scegliersi gli insegnanti, mentre la spesa ricadrebbe sul bilancio statale;

4. la formazione degli insegnanti di religione, "col necessario inserimento nel curriculum dello studio delle altre religioni". Specialmente oggi che questi insegnanti ("per grazia ricevuta", come titolava il Corriere della sera del 22 luglio 2000) possono essere immessi nei ruoli. In provincia di Trento la legge è già stata approvata; a livello nazionale è in procinto di esserlo.