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Beethoven e Schubert alla Filarmonica

Programma stimolante ed esibizione impeccabile del Philarmonisches Oktet di Berlino.

Sta diventando sempre più usuale trovare un pubblico numeroso alla sala della società Filarmonica di Trento, tanto che anche le sedie poste in fondo, ultimissima fila dietro alle poltrone regolari, vengono tutte occupate addirittura dieci minuti prima dell’inizio del concerto. Nel caso del 10 febbraio, come del resto per i precedenti appuntamenti, c’era più di una ragione per tale entusiastica partecipazione: innanzitutto si trattava di farsi accarezzare i timpani dai solisti di una delle migliori orchestre del mondo, e poi la presenza di un ensemble numeroso (ben otto musicisti) dava alla serata, dedicata alla musica da camera, un respiro da piccola orchestra. Senza considerare, poi, il programma proposto, interessante e non troppo sfruttato.

Nella prima parte della serata è stato possibile ascoltare il Settimino op.20 in Mi bemolle maggiore di Beethoven, scritto fra 1799 e 1800. I sette strumentisti, Lorenz Nastunca (primo violino), Wilfried Strehle (viola), Wolfgang Boettcher (violoncello), Esko Laine (Contrabbasso), Alois Brandhofer (clarinetto), Daniele Damiano (fagotto) e Stefan Jezierski (corno) sono arrivati sul palco senza grande clamore, puntualmente, e il pubblico ha cominciato subito ad applaudire. Questo componimento di Beethoven è un evidente prodotto della prima fase della carriera del genio tedesco. Fin da subito un triplo accordo introduce solennemente il primo movimento, il violino espone rapido il tema, ripreso subito dai fiati. In contrappunto giocoso entrano nell’esposizione tutti gli altri strumenti. Pur aderendo con convinzione ad una forma e a degli schemi tipicamente settecenteschi, il Settimino è impregnato di tutta la ricchezza e originalità della scrittura di un compositore ancora giovane, e presenta quindi non poche difficoltà per l’ascoltatore, anche quando si tratti di un appassionato di musica, che, idealmente, conosce quasi tutta la partitura. Quello che mi ha sorpresa, ancora una volta, è come il pubblico di Trento consideri la sala da concerto un luogo adatto al chiacchiericcio. Fortunatamente sono state delle interferenze brevi e circoscritte, ma, come sempre, mi sono trovata a domandarmi come mai questo pubblico di amanti della musica non riesca ad aspettare almeno la fine del movimento per chiocciare con gli amici.

Consola pensare che, almeno in questo concerto, il numero dei musicisti creava una buona massa di suono. Per una volta, nemmeno i rumori dalla strada sono risultati fastidiosi.

Era veramente difficile distogliere l’attenzione dall’energica partitura di Beethoven. Il Philarmonisches Oktet Berlin si è esibito in maniera impeccabile, con brio ed enfasi nei movimenti vivaci e pensosa sobrietà, mai inquinata da un eccessivo patetismo nei movimenti più lenti. Con l’aggiunta del secondo violino Peter Brem, dopo l’intervallo, il pubblico ha avuto modo di apprezzare quanto simili e diversi fossero i due brani in programma. Infatti la seconda parte del concerto è stata dedicata interamente all’Ottetto op.166 in Fa maggiore D803 di Schubert. Come metteva in risalto il pregevole programma di sala, c’è un rapporto di diretta discendenza fra l’opera di Beethoven e quella di Schubert, che aveva composto il pezzo avendo a mente l’illustre predecessore.

Scritto su commissione di Ferdinand Troyer, intendente dell’arciduca Rodolfo e clarinettista, questo brano di Schubert ha inizio esattamente con lo stesso tipo di accordo che efficacemente introduce il primo movimento del Settimino; ne conserva inoltre le suddivisioni e i tempi, ma nel mondo di Schubert non è più possibile affidarsi totalmente ai modelli settecenteschi: i ruoli degli strumenti non sono quelli che si avevano in passato e la preminenza di violino o clarinetto è diretta conseguenza delle esigenze del compositore. L’ Ottetto, nato nel 1824, è più pensoso del Settimino, vi si avverte una maggiore problematicità di fondo, e le soluzioni sonore preludono a quelle che tanta fortuna avranno a distanza di pochi anni dalla data di edizione di questa piccola gemma.

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