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W la Rai, nonostante tutto

Breve panoramica sulla fauna di viale Mazzini.

Secondo una personale reinterpretazione della dottrina
darwiniana esistono 3 specie di impiegati - funzionari nell’ente pubblico.

La presidente della Rai, Lucia Annunziata.

1. I campioni dell’adattamento. Gli appartenenti a questa specie vincente e inestinguibile possiedono i geni necessari per prosperare in eterno sotto le logiche vitali dell’ente. Hanno interiorizzato la nozione che anche il minimo sforzo non solo produce noia e affaticamento ma più pericolosamente può metterli al centro di responsabilità, che per quanto limitate, rappresentano una sincope insopportabile nel loro placido ritmo esistenziale. Sono esseri evolutivamente perfetti. Come le mosche e le vespe sanno adattarsi ai cambiamenti anche estremi dell’ambiente conservando morfologia e comportamenti ancestrali.

2. I mutanti. Specie interessante: sono entrati nel mondo del lavoro con voglia di fare e senso di responsabilità ma col tempo si sono dovuti piegare alle ferree leggi di natura, spegnendo gli ardori e armonizzandosi con l’ambiente. Li riconosci dallo sguardo, problematico e rassegnato.

3. Le specie a rischio. Nonostante la corrente inesorabilmente li spinga verso valle, loro si ostinano a risalirla. Si danno da fare, si impegnano e producono a dispetto delle ostilità ambientali. Un comportamento innaturale, energeticamente dispendioso, disseminato di ostacoli e insidie.

Questa teoria (le cui basi derivano da una mia sgradevole esperienza giovanile nel settore pubblico) l’ho ripresa in occasione di una recente collaborazione musicale con la RAI. Alla RAI è ben rappresentato il bestiario di cui sopra. Ho avuto il privilegio di lavorare con qualche esemplare di specie a rischio (ma ahimè non protetta). Si tratta di registi e tecnici che sono contenti quando lavorano e producono, ma che in questa loro anomala condotta non sono assecondati dall’ambiente: anzi, a volte il loro impegno è mal tollerato, quasi come fosse un fattore di disturbo in quell’eden dove tutto deve scorrere con serena uniformità… L’immobilismo coinvolge tutti i livelli, dai bassi funzionari fino ai capi.

In passato sono andato per lavoro un paio di volte in viale Mazzini. Un edificio enorme con corridoi lunghissimi che tu puoi percorrere per decine di metri senza incontrare anima viva. Se guardi oltre le infinite porte che si affacciano sui corridoi vedi la classica scrivania, incasinata di carte e giornali spalancati, senza nessuno dietro. Il dottore è sempre fuori stanza. Dove vadano a finire tutti questi dottori inquieti è un mistero. Sono più di diecimila gli impiegati di questo dinosauro che si snoda tra Roma, i centri di produzione decentrati e le sedi regionali. Già, le sedi regionali! Un patrimonio di fior di professionisti, ingegni brillanti, mezzi e opportunità creative quasi inutilizzato. Un’organizzazione pletorica e costosa per produrre un quarto d’ora di tg. Risorse assurdamente tratte nel cesso.

Per i manager, che dovrebbero dare impulso e motivazioni al carrozzone, la consegna è ferrea: più risparmi sul budget più sei bravo. E così accade che si paghi profumatamente qualcuno non tanto per gestire ma per risparmiare sempre e comunque. Con questo perseguire l’economia in modo non progettuale e indiscriminato, la struttura produce sempre meno, le maestranze si demotivano, e ci si avvia verso il coma.

Conservo da ex-imprenditore un rispetto per la produttività e l’efficienza. Considero il settore pubblico uno spazio economico che deve essere più circoscritto in quanto fonte di sprechi e di squilibri nel mercato. Però è importante che una parte del pubblico non scompaia, ma anzi sia rilanciata e rivitalizzata.

In un panorama economico auspicabile la RAI dovrebbe essere ridimensionata nelle sue strutture e velleità commerciali, ma nello stesso tempo ben ricompattata e finanziata per produrre ciò che fisiologicamente le si addice e che le televisioni commerciali non possono se non occasionalmente produrre: informazione e cultura.

E’ una prospettiva possibile a breve? No, purtroppo, per mille ragioni legate a logiche, privilegi e usucapioni politiche, ma anche e soprattutto per un motivo essenziale: finché incomberà uno squilibrio tanto accentuato e invasivo nel settore mediatico-economico-politico provocato dall’impero berlusconiano sarebbe esiziale la venuta meno di un polo concorrenziale (seppure anomalo) come la RAI. Esiziale per il cammino delle libertà democratiche, che si arresterebbe se rimanesse uno solo (per giunta lesto e spregiudicato) a parlare al megafono. Per fare assumere alla RAI il ruolo pubblico autorevole che le compete paradossalmente è necessario che prima si sviluppi un settore televisivo privato polifonico, che fioriscano nuove realtà imprenditoriali in grado di contendere seriamente nel mercato delle comunicazioni.

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