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QT n. 13, 26 giugno 2004 Servizi

Il duro inverno della fauna trentina

La cattiva gestione della fauna, in mano ai cacciatori, ha fatto più strage delle pur abbondanti nevicate.

Quello trascorso è stato un inverno difficile per la fauna selvatica: le nevicate si sono susseguite a ritmi regolari fino a quote basse, alcune di queste hanno assunto una consistenza importante e da ottobre a fine aprile i giorni di tregua sono stati pochissimi. Specialmente per i caprioli, ma anche per animali più resistenti, come i camosci ed i cervi, le difficoltà di spostamento e reperimento del cibo si sono accentuate con il trascorrere delle settimane, fino a divenire impossibili.

A fine inverno su tutto il territorio provinciale sono state rinvenute centinaia di capi vittime degli stenti; la maggioranza dei ritrovamenti non viene conteggiato e nemmeno rilevato perché non si è trovato il trofeo, e quindi non viene inserito fra i capi da togliere negli abbattimenti assegnati alla specifica riserva. Accade così che le statistiche dei servizi provinciali non offrano una reale risposta alla drammaticità della situazione.

Ci affidiamo quindi all’esperienza dei cacciatori più seri o di figure professionali specializzate che in condizioni di sempre maggiore difficoltà operano sul territorio: costoro senza incertezze ci dicono e documentano che almeno il 50% della popolazione di caprioli non è sopravvissuta all’inverno e che anche i camosci e i cervi hanno subito una moria elevatissima, non consueta, stimabile attorno al 20-25%.

Nel Trentino Orientale, specie in valle di Fassa, è arrivata anche la rogna ad acuire i problemi: se nei camosci la selezione è stata circoscritta, la popolazione degli stambecchi che vivono sul gruppo della Marmolada è stata decimata. Gli stambecchi erano stati reintrodotti abusivamente dai cacciatori di Pozza di Fassa sul finire degli anni Sessanta: è comunque l’unica reintroduzione sensata effettuata sul nostro territorio. Da allora, i singoli capi si sono riprodotti in un’area esigua, fino a superare i cinquecento esemplari. Il ceppo genetico sempre più immiserito, l’assenza di altre reintroduzioni, lo spazio limitato, hanno creato le condizioni perché la rogna operi in modo distruttivo: con buone probabilità, con il prossimo autunno il gruppo di stambecchi si troverà ridotto a 50-80 capi.

Se la situazione degli stambecchi è particolare, e quanto avvenuto un caso atteso, i numeri dei capi morti di caprioli e cervi, tanto importanti, ci devono far riflettere sull’effettivo stato di salute della fauna selvatica trentina e sui criteri di "selezione" , quindi di gestione adottati dall’associazione venatoria provinciale. Le responsabilità di una selezione invernale tanto pesante non si possono imputare solo ad un inverno difficile; quanto è accaduto indica che la popolazione era debole, che non c’era equilibrio di presenze fra sessi e classi di età, che si uccidono i capi più forti e si lasciano vivere quelli fragili.

In montagna incontriamo spesso cacciatori e questi, proprio a noi ambientalisti, trovano il coraggio di esprimere le loro frustrazioni su un mondo, quello venatorio, che non sentono più loro, che sentono lontano, più fucina di potere e di interessi personali che non associazione di persone che dovrebbero gestire al meglio la fauna selvatica.

Vedono la montagna sempre più immiserita e abbandonata allo strapotere degli impiantisti e degli albergatori, vedono assente l’impegno della loro associazione nel difendere l’habitat dai disturbi causati dai motori sulle strade, dall’innevamento artificiale, dai rifugi ormai aperti fino a tarda notte, con le motoslitte che scorazzano ovunque. Vedono proliferare strade forestali, ormai una più inutile dell’altra, e si chiedono perché il mondo venatorio trentino non trovi su questi temi alleanze decisive con l’ambientalismo, come accade ovunque, in Francia, in Germania, in Austria.

Non si tratta di singole persone "superate dai tempi", come vengono descritte dai vertici della Associazione dei Cacciatori: lo scontento si diffonde, ma viene impedita ogni possibilità di organizzazione alternativa.

Lamentano la trasformazione della caccia in "rally-safari". Ci sono cacciatori che ormai si spostano sulle strade forestali, su ogni pista di bosco o di pascolo, esclusivamente seduti sulle potenti fuoristrada.

Lamentano l’eccessiva ostentazione del potere economico di certa lobby di cacciatori: cannocchiali potentissimi, costosi fucili sempre più elaborati e cambiati anno dopo anno, un vestiario da boutique, l’abuso di saline e situazioni di foraggiamento artificioso.

Ma lamentano anche i criteri di abbattimento: è sufficiente recarsi ad una mostra dei trofei di valle per verificare lo stato di decadimento della qualità della presenza faunistica sul territorio. Non è un caso che l’Associazione dei Cacciatori Trentini, quando tenta di rispondere alle obiezioni degli ambientalisti, riduca l’autodifesa ad un arido elenco di cifre (numero di caprioli, cervi, camosci) e tralasci altri dati significativi: si parla solo di ungulati e si tace su altra fauna pregiata, quale i tetraonidi, o la piccola fauna, o la situazione dei boschi e dei nostri pascoli.

In questi giorni molti cacciatori, specie quelli delle riserve poste sopra gli 800 metri di quota, chiedono la chiusura della caccia al capriolo per almeno un anno, e una forte riduzione degli abbattimenti dei camosci.

I "rally-safaristi" rispondono immediatamente con un diniego assoluto; anzi, rilanciano. Laddove è presente la rogna, come in valle di Fassa, si dovranno abbattere più camosci e si dovrà riaprire la caccia allo stambecco, in Fiemme e in valle di Sole si devono abbattere più cervi perché questi "fanno fuggire i caprioli", la caccia al capriolo non si può sospendere nemmeno un anno, perché così si interrompe l’ attività selettiva.

In questa situazione di conflitto e di liti interne, è assente la voce del cittadino; solo le associazioni ambientaliste trovano la forza di rilanciare la questione centrale, che rappresenta una vergogna per i Trentino, la gestione della fauna, selvatica, che non può essere delegata al mondo venatorio, perché questo ambiente la trasforma e la riduce alla pura valutazione dei piani di abbattimento annuali, perché la chiude in una logica egoistica e di puro potere che impedisce sempre più alla politica il controllo ed l’indirizzo scientifico verso la qualità.

Qon contenti di una situazione già delicata, i cacciatori chiedono a Dellai e alla Provincia lo smantellamento completo della rete dei controlli ed ulteriori fondi pubblici alla loro associazione. E Dellai, nascondendo i provvedimenti fra le oscure righe di leggi finanziarie, o affidandosi ad emendamenti di consiglieri della Margherita alleati con quelli della destra come il consigliere Giovanazzi, da tempo ha scelto di stare dalla parte dei cacciatori e di umiliare, con impressionante continuità, la sensibilità della maggioranza della popolazione trentina che è contraria alla caccia.

I vertici dei Servizi forestali o faunistici vengono affidati solo a dirigenti cacciatori, certamente capaci, ma emotivamente coinvolti e quindi impossibilitati ad accogliere anche le proposte minime degli ambientalisti che provano a mantenere centrale la questione della gestione della fauna e a non trasformare questo settore in banale attività di caccia.

La sinistra tace, si limita a qualche mugugno, ma non prova nemmeno a costruire proposte diverse, alternative, a legare attorno a sé l’insieme delle sensibilità diverse del Trentino, la forza delle ragioni scientifiche.

Solo l’Unione dei Cacciatori si oppone a questo disegno di chiusura: questa associazione minoritaria nel mondo venatorio chiede che tutta la sorveglianza venatoria divenga pubblica, che i censimenti rimangano pubblici e aperti a tutti i soggetti titolati a svolgerli, quindi con il contributo e la presenza delle associazioni ambientaliste e animaliste; in pratica chiede trasparenza.

Proprio partendo dalle incredibili chiusure del mondo venatorio, dalle difficoltà create da un inverno non certo pesantissimo, dovrebbe aprirsi una riflessione coraggiosa sui limiti della gestione della fauna selvatica trentina, bene pubblico - lo ricordiamo -, e dovrebbero trovare voce, diritto di ascolto e di proposta, anche altre sensibilità ed altri bisogni, sempre più diffusi anche nella nostra provincia.