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Il tabù del P.I.L.

L’antropologo americano Robert Netting, dimostrava in uno studio oramai divenuto un classico dell’ecologia alpina, "In equilibrio sopra un’Alpe", edito dal nostro Museo degli Usi e Costumi, come nel paese di Törbel nel Vallese (Svizzera) a crescita di popolazione rapida seguissero matrimoni tardivi e un alto tasso di celibato. Inoltre, l’estrema stabilità delle linee di famiglia a Törbel era dovuta alle regole che controllavano l’eredità di proprietà produttiva sempre piuttosto scarsa, alla conseguente endogamia di villaggio e a una legge codificata che limitava la migrazione e concedeva i vantaggi della cittadinanza locale solo ai discendenti in linea maschile. A ben guardare, un po’ tutte le comunità rurali dell’arco alpino funzionavano così: per far fronte a possibili squilibri tra popolazione e risorse disponibili vigevano dei meccanismi "omeostatici" di autoregolamentazione.

La società industriale liberista contemporanea ha del tutto perduto questa antica costumanza, anzi ha impresso nella società un tabù, che per brevità chiameremo il tabù del Pil (prodotto interno lordo), il quale, ben lo sappiamo, non deve mai essere in contrazione. L’economia deve crescere, il Pil deve crescere, e politici ed economisti quotidianamente fanno a gara per trovare le soluzioni a ciò più idonee: più competitività, miglioramento della produttività, aumento dei consumi interni. E se il meccanismo s’inceppa, quali sono i rimedi "omeostatici" della società capitalista? Nessuno: la crescita economica deve proseguire, chi vi si oppone è un nemico del sistema, un utopista, uno che non si cala nella realtà.

Ma invece è proprio qui il nocciolo della questione. Quali costi stiamo pagando per onorare il tabù della crescita del Pil? E’ bene continuare a correre fingendo di non accorgersi che c’è una parte del mondo che non ce la fa, oppure è lecito iniziare a pensare a dei meccanismi di "rallentamento" che, eventualmente, la politica sarebbe chiamata ad implementare?

Ho paura che la velocità che sta alla base del nostro sistema economico comprima anche la nostra capacità critica, di modo che ci va per esempio bene discutere dell’esportazione della democrazia in Irak, quasi fosse quello il movente dell’intervento armato in quel Paese. Si gioca a diluire nell’oblio che mesi prima del fatidico attacco delle truppe anglo-statunitensi la situazione economica degli Stati Uniti era preoccupante, il Pil era ai minimi storici: calo dei consumi interni, calo delle esportazioni. Greenspan, il presidente della Federal Reserve, continuava ad abbassare il tasso di sconto per ridurre il prezzo del denaro.

Ciò nonostante, gli americani consumavano di meno o comunque non consumavano abbastanza e le imprese non investivano.

Nel contesto del tabù del Pil non c’era che una scelta: abbassare e controllare il costo di una materia prima essenziale all’economia liberista, l’oro nero appunto, quel petrolio le cui maggiori riserve al mondo si trovano in Irak. Si è montata una campagna di propaganda bellicista fatta di menzogne e si è invaso l’Irak. I problemi dell’economia occidentale non sono risolti, si è tirato un sospiro di sollievo, anche se attualmente l’oro nero s’impenna di nuovo vanificando gli sforzi dei mandanti della guerra irakena.

Fa piacere però notare che piano piano si stia infrangendo il tabù del Pil e che ci siano intellettuali ed anche alcuni politici che introducono nei loro discorsi "l’eresia" della parola decrescita, che in qualche modo ci rimanda ai meccanismi di regolamentazione delle comunità rurali di cui abbiamo parlato sopra. Riscalda l’animo leggere in un commento sull’Adige dell’11 febbraio, il consigliere provinciale Viganò elevare una serie di denunce sulla perversione del nostro sistema economico, cui fa da contrappunto un lucido intervento di Ruben Frizzera del 26 febbraio su sviluppo e salute, che va nella stessa direzione.

E con Frizzera mi trovo d’accordo nel dire che non si può tornare indietro, ma certo nemmeno così si può andare avanti.

Sull’altare del Pil stiamo sacrificando la qualità dell’aria di cui misuriamo quotidianamente la concentrazione di PM10, PM2.5, benzene e quant’altro, perdiamo di vista la solidarietà tra le persone, non abbiamo tempo per l’anziano o per giocare coi bambini, perché prima c’è l’economia postfordista, c’è il just in time. Tutto e subito e così anche i nostri figli ci scimmiottano e spendono i loro soldi al cellulare regalatogli a Natale in inutili sms, o chattano per ore davanti ad uno schermo, credendo di essere liberi e fortunati ed invece anche loro, inconsapevoli, altro non fanno che servire i dettami del signor Pil.