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QT n. 19, 12 novembre 2005 Monitor

Vittore Grubicy alle Albere

"Vittore Grubicy e l’Europa: alle radici del divisionismo" la mostra sul contesto artistico, il ruolo e l'opera del mercante, critico, pittore, maestro del primo divisionismo.

"Sono io o non sono da ritenere competente nell’apprezzare l’esistenza o meno del talento artistico in un individuo? E se lo sono: conviene o no con la prospettiva dei tempi pel commercio d’arte disporre di una piccola somma per lasciarmi esercitare questa speciale industria di ‘entrainage’ o di lavorazione di questi brillanti qualora la fortuna me ne facesse incontrare?" Sono parole di Vittore Grubicy al fratello, 1889. E dicono varie cose: del contrasto tra i due che sfocerà poco dopo nell’estromissione di Vittore dalla Galleria, costringendolo a reinventarsi una "ragion d’essere" e di fatto avviandolo a diventare pittore egli stesso. Ma dicono soprattutto come Vittore intendeva il lavoro di mercante d’arte per il quale si sentiva portato: scoprire i giovani talenti, accompagnarli nella crescita, aiutarli a dare il meglio di sé, insomma un ruolo di mentore, di critico e di intellettuale più e prima che di mediatore d’affari.

Giovanni Segantini, Ritratto di Vittore Grubicy (1887).

La mostra in corso a Palazzo delle Albere ("Vittore Grubicy e l’Europa: alle radici del divisionismo", fino al 15 gennaio) aiuta a far luce su una figura che ha contribuito in vari modi al rinnovamento dell’arte italiana negli ultimi due decenni dell’Ottocento e agli inizi del nuovo secolo, prima nella sua veste diciamo formativa che in quella di artista.

Curata da Annie-Paule Quinsac, un’autorità nel campo degli studi sul divisionismo, la mostra nasce dalla collaborazione del Mart con la Galleria di Arte Moderna di Torino e le Civiche Raccolte di Milano, ed è in realtà anche il frutto delle ricerche rese possibili dal riordino e dall’analisi dell’ampio carteggio di Grubicy acquistato alcuni anni fa dal Mart, ricerche che hanno prodotto, in parallelo alla mostra, un catalogo ricchissimo di aggiornamenti e documentazione. Lavoro dal quale emergono i vari aspetti della figura e del ruolo storico di Grubicy: il "mercante", il critico, il pittore. I primi due, ovviamente, messi in luce soprattutto nei testi scritti, l’ultimo anche dalla mostra. La quale è stata tuttavia giustamente concepita (nella sede trentina) in modo da illuminare il contesto, o meglio i contesti, in cui Vittore si trovò ad agire o che si possono assumere come termini di confronto per la sua concezione estetica, ed è perciò scandita in alcune parti: un’introduzione di cinque ritratti di Vittore eseguiti in varie epoche da autori diversi; la mostra di Daniele Ranzoni, uno dei protagonisti della scapigliatura lombarda accanto a Tranquillo Cremona, organizzata da Grubicy subito dopo la morte precoce dell’artista (1889); una selezione di opere dei pittori olandesi frequentati da Vittore nel corso del suo soggiorno di alcuni anni a L’Aia (1882-1885), dapprima nella sua veste di mercante ma poi anche come principiante in pittura; 36 dipinti e 14 acquaforti realizzati da Grubicy, non un’antologica ma la scelta delle opere che egli stesso riteneva il proprio testamento spirituale; infine, una selezione di opere dei pittori attivi a Bruxelles, posteriori al 1887 (anno in cui fu esposto il famoso quadro-simbolo della stagione neo-impressionista, "La Grande Jatte" di Seurat) come termine di paragone tra lo sviluppo della "pittura divisa" di diretta derivazione francese e, invece, la modalità del tutto "sui generis" del divisionismo praticato da Grubicy.

I ritratti sono utili per intendere una tendenza alla mitizzazione del personaggio alla quale egli era tutt’altro che estraneo. La Quinsac ci ricorda l’impatto tremendo che ebbe su di lui la morte precoce (41 anni) di Segantini (1899), probabilmente il giovane pittore verso il quale più si era esercitata la funzione formativa di Vittore, lo stimolo ad adottare i modi divisionisti (e il ruolo ingombrante, se è vero che pretendeva di stabilire lui quando un’opera era "finita", fin quando Segantini se ne emancipò). Fu la più grave, ma non l’unica perdita a segnare Vittore: anche Cremona (che apparteneva alla sua cosiddetta "scuderia") morì giovane, di Ranzoni si è detto, infine anche il suo amico pittore olandese, Mauve, morirà precocemente. Fatto sta che da quella data Grubicy è come preso dall’ossessione di non avere il tempo sufficiente a definire un proprio adeguato testamento pittorico. Forse il solo ritratto che lo vede in una luce oggettiva, non mitizzante, è proprio quello di Segantini (1887), opera pre-divisionista, pregevole. Poi iniziano ritratti che sono monumenti ad una figura di patriarca-profeta, autori che nutrono una forma di sacro rispetto, con l’eccezione forse di Adolfo de Maria (1922, ritratto postumo) il quale calca con mano non innocente su tratti selvaggi come da "eroe dei Nibelunghi".

Veniamo alla sua pittura. Gli mancava una formazione specifica, il disegno di figura non gli era congeniale, ma le sue fonti di ispirazione erano altre, lo spettacolo della natura, il paesaggio colto nella luce mattutina o serale, propriamente crepuscolare, osservato dal vero ma poi via via liberato da riferimenti topografici troppo stretti, smaterializzato, per lasciar vibrare solo le corde di una solitudine malinconica, di un sentimento "panteista", come lo chiamava. Questa pittura crea qualche problema a chi osserva, i toni vibrano talvolta su una nota così bassa da rendere poco leggibile una superficie. Questa difficoltà, la percezione di qualcosa che sotto la levigatezza della materia non giova alla freschezza dell’immagine, trova in parte spiegazione nella genesi tutta particolare di quasi tutte le sue opere: il fatto di continuare per decenni, in modo dichiarato, a ripassare i quadri fatti, sovrapponendo ai modi coloristici tradizionali (le mescolanze) strati di vernici e ritocchi di pennellate divise, che li portassero più vicini a quell’ideale di smaterializzazione "neoplatonico" da tramandare come propria testimonianza.

La tecnica, e i suoi inganni (incluso il processo di ossidazione di queste sovrapposizioni) non l’hanno sempre aiutato.