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QT n. 3, 11 febbraio 2006 Monitor

Il lavoro in mostra

Al Mart per il congresso della Cgil: 60 scatti di 15 fotografi sul tema del lavoro, di ieri e di oggi. Risultato: non convenzionale, di forte impatto.

In occasione del 16° Congresso della CGIL del Trentino, gli spazi esterni del Mart hanno ospitato una mostra fotografica relativa al tema del lavoro, di oggi come di ieri. "Lavori in corso" ha offerto sessanta scatti di quindici fotografi, alcuni giovani e alle prime armi, altri da tempo affermati e stimati, a iniziare da Flavio Faganello, recentemente scomparso.

Foto di Flavio Rudari.

L’ambivalenza del luogo espositivo, innanzitutto: da una parte un museo che si vuole aperto a tutti i linguaggi del contemporaneo, a tutte le forme di comunicazione; dall’altra lo stesso museo che recentemente è stato oggetto di lotte sindacali contro la precarizzazione del lavoro di molti suoi dipendenti. Tutt’altro che celebrativa e retorica, la mostra ha presentato le mille sfaccettature del mondo del lavoro in Trentino, cantandone ricchezze e miserie, passato e divenire; fotografie come occhio interpretativo, capace di essere al contempo personale e universale.

Nadia Baldo (1959) ha proposto una serie di scatti di mani come allegorie del lavoro, dall’agricoltura all’informatica, in cui gli arti sono sempre accompagnati da uno specifico attributo lavorativo, come germogli, chiodi o il mouse del computer. Lavori in fabbrica apparentemente classici quelli ritratti da Paolo Calzà (1969), se non che, leggendo le didascalie, si scopre che quelle grandi lamiere saldate, quei grossi perni fissati, sono in realtà sculture in divenire di importanti artisti come Bruno Munari, che, definito il progetto, ne affidano poi la realizzazione ad anonimi fabbri e saldatori.

Foto di Flavio Faganello.

Tutt’altro che classici i lavori borderline immortalati da Piero Cavagna (1959), che ha proposto uno sguardo smaliziato sulle spogliarelliste dei night. Al contrario, è l’innocenza dell’età più tenera il soggetto scelto da Monica Condini (1976): i sogni dei bambini, i "cosa farò da grande" in cui tutti abbiamo prima o poi sognato. Bagliori più prosaici ma non certo privi del loro fascino sono quelli ricercati da Alessandro Dardani (1954), da quelli dei forni delle vetrerie a quelli non meno scintillanti della fiamma ossidrica.

Adriano Eccel (1956) non illustra il lavoro, quanto, con i suoi quadri-fotografia, la dimensione concettuale dell’uomo, i suoi moti, le sue forme. Se non fosse per la piacevolezza delle sue opere, ci saremmo senz’altro chiesti cosa c’entri col tema… Flavio Faganello (1964-2005), uno dei più noti fotografi trentini, è testimoniato da alcune fotografie, che ci parlano, con la sua inconfondibile poesia, del lavoro antico come quello nei campi, e di quello contemporaneo, sintetizzato da un nordafricano con le sue carabattole - occhiali e accendini - che sembra quasi in posa con tutta la sua dignità di lavoratore davanti a una scritta che recita "Via i negri". I lavoratori extracomunitari sono pure al centro delle fotografie proposte da Romano Magrone, che ha indagato il sottoprecariato costituito da muratori, venditori ambulanti, mendicanti.

Foto di Fulvio Fiorini.

Nel centenario della CGIL non poteva mancare un aperto e simbolico omaggio alla classe lavoratrice, offerto da Fulvio Fiorini (1956): pugni chiusi e una timida bambina che stringe amorevolmente una chiave inglese. Giulio Malfer affianca a una serie di ritratti di volti noti in regione il dubbio sull’identità professionale, mutevole a seconda dei punti di vista. Così, si chiede, Donatello Baldo è idealista o stilista? E Gabriella Belli, che si nasconde dietro una pelliccia, è direttrice o attrice?

Ignoti, lontani da cronache politiche e mondane, sono invece i lavoratori ritratti da Flavio Rudari (1960): gli ultimi eredi dei duri lavori di montagna, ovvero pastori e malgari. Sempre legate alla tradizione, però operaia, sono invece le fotografie di Giorgio Salomon (1942), dedicate alla storia della Michelin.

Foto di Hugo Muñoz.

Dalle fabbriche alle strade, con le fotografie di Daniele Mosna (1981), incentrate sull’attività di un camionista, tutt’altro che leggera. Non che l’attività intellettuale sia una facile e comoda soluzione: la precarietà è un virus da cui pochi sono oggi immuni, e a ricordarcelo sono anche le fotografie di Dino Panato (1950), in cui si coglie il dramma per l’incertezza del domani.

A tirare le fila del discorso, a simbolizzare in alcuni scatti le derive dell’economia contemporanea sono però le fotografie di Hugo Muñoz (1971). L’uomo è forse giunto sulla vetta, ma non ha che il deserto attorno a sé; di fronte alla frenesia di competere, di arricchirsi, di ridurre i costi ed aumentare gli utili, di fronte a quotidiani mors tua vita mea, ai pochi sopravvissuti non rimane che l’ultimo, estremo atto: consumare se stessi, in cerca di un ultimo, disperato profitto.