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QT n. 2, 26 gennaio 2008 Servizi

Scempio in collina: i furbi premiati

Andrea Pagano

Ospitiamo questo intervento del dott. Andrea Pagano, presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione, ancora sulle grossolane irregolarità attorno al "mostro" in località Cernidor. Il dottor Pagano, la cui casa confina con il mostro, ha avviato assieme ad altri cittadini della zona, una serie di azioni, sul piano penale ed amministrativo, nel tentativo di contrastare lo scempio. E’ anche qui, come in via alla Val, grazie al lavoro di indagine di questi cittadini, non tutelati da nessuno se non da se stessi, che sono emerse le incredibili illegittimità sistematicamente avallate dal Comune di Trento, e che noi abbiamo raccontato nei nostri servizi sul "marcio nel Comune".

Il "mostro" del Cernidor.

Nell’intervento di Pagano, si affronta un problema molto particolare del "mostro", la costruzione di un ponte sul rio Valnigra (finalizzato a dare uno sbocco alle macchine dei futuri inquilini del mostro), autorizzato nonostante la documentazione portata a supporto fosse fasulla, incamerando nella proprietà del mostro il rio stesso (di proprietà demaniale), via Falzolgher (di proprietà dei confinanti) e parte di un giardino (di proprietà Pagano). Bene: il Comune non si accorge di questi macroscopici "errori" (acclarati invece in seguito in un procedimento penale) e dà il via libera al ponte.

Ma il fatto forse più grave è il seguito: i cittadini ricorrono al TAR per la revoca della concessione. Il quale TAR, come qui spiega Pagano, dà loro torto, affermando che il comune non è tenuto a verificare l’esattezza delle documentazioni prodotte, e in base a questa valutazione si rifiuta di annullare la concessione. Decisione pericolosissima, perché premia oltre ogni misura i furbi.

Al TAR c’è stato un recente cambio di guardia: al posto del dott. Paolo Numerico, c’è ora un nuovo presidente, il dott. Francesco Mariuzzo. Con Numerico, il TAR si era distinto per alcune sentenze (vedi via alla Val) che proteggevano i cittadini dagli abusi delle amministrazioni. Con questa sentenza, l’inizio della presidenza Mariuzzo ci sembra incanalata lungo una china preoccupante.  (Ettore Paris)

Ancora una volta si torna a parlare della zona di Cernidor, di una collina destinata agli insediamenti urbanistici di cui la cronaca si è interessata più volte per gli abusi edilizi che si sarebbero verificati. Ancora una volta si torna a parlare del Comune di Trento che avrebbe concesso permessi di costruire irregolari.

I fatti sono questi. I signori B, proprietari di una particella edificiale (la 340), in località Cernidor, su cui alcuni decenni fa fu costruita una villetta unifamiliare a due piani, con intorno un piccolo giardino, decisero, imitando altri proprietari della zona, di sfruttare il più possibile il terreno, vendendolo ad un’immobiliare per farvi costruire sopra un edificio di 8 appartamenti. Ma gli otto futuri proprietari erano troppi e con le loro macchine potevano creare problemi di circolazione, visto che quasi tutto il giardino era scomparso, sostituito dal nuovo edificio. E allora i signori B ebbero una pensata straordinaria: il loro fondo confina, per un lato, con un fiumicello (il rio Valnigra) appartenente al demanio della Provincia ed è separato da esso da un muro su cui è fissata una cancellata. Di là del fiume vi è poi via Falzolgher. La pensata fu questa: far defluire su via Falzolgher il traffico creato dal nuovo edificio, scavalcando il rio Valnigra con un ponte. Il 25 agosto 2005 chiesero pertanto alla Provincia la concessione a costruire il ponte. La Provincia fu favorevole. Contemporaneamente i signori B chiesero anche al Comune di Trento la concessione a costruire il ponte, come previsto dalla legge, e allegarono alla domanda alcune planimetrie - in cui via Falzolgher risultava strada comunale - e un tipo di frazionamento redatto dal geom. Klaus Caliman "in base a rilievi sopralluogo", come scritto nell’atto. Da esso risultava che la p.ed. 340 dei signori B si estendeva oltre il muro di cinta e la cancellata montata su di esso, sino a inglobare il rio Valnigra, la parte iniziale di via Falzolgher e una porzione del giardino che fa parte di una villa situata sul lato opposto di via Falzolgher.

Il Comune non si rese conto dei due errori contenuti negli atti e cioè che via Falzolgher non era una strada municipale ma privata e (cosa molto più grave) che un fiume appartenente al demanio provinciale non poteva appartenere a privati e autorizzò la costruzione del ponte con un provvedimento del 5 maggio ‘06, senza comunicare ai vicini interessati l’avvio del procedimento, come previsto dall’art. 7 della legge 241/90. Né a questo onere provvide la Provincia, alla quale pure era stato chiesto, come si è detto, la concessione a costruire il ponte.

I lavori iniziarono; l’impresa a cui era stato affidato l’incarico sbarcò su via Falzolgher, cominciò a modificarne la massicciata e gettò il ponte. Quando l’opera fu finita, il ponte venne aperto al traffico degli automezzi usati per la costruzione del nuovo edificio.

A questo punto, delle nuove opere si resero conto alcuni proprietari di via Falzolgher, che da esse ricevevano maggior danno, e protestarono: era incredibile la pretesa dei signori B di essere proprietari (esclusivi addirittura) della parte iniziale di via Falzolgher; ed era contraddittorio che essi indicassero quella via come appartenente al Comune di Trento. Mai, inoltre, i signori B avevano frequentato via Falzolgher, perché non utile per le loro necessità, mai avevano avanzato pretese su di essa, mai avevano partecipato alle spese della sua manutenzione. Denunciarono perciò i signori B alla Procura della Repubblica per l’invasione di via Falzolgher e iniziarono un processo possessorio, ora parzialmente deciso, in cui le loro richieste sono state accolte. Il giudice ha dichiarato che via Falzolgher è una strada privata su cui i signori B non potevano convogliare il traffico che sarebbe sorto dal nuovo edificio, una volta ultimato, e ha ordinato la chiusura del ponte.

Il “mostro” e il ponte su rio Falzolgher costruito su proprietà private altrui grazie a carte fasulle.

I vicini si rivolsero poi al TAR per contestare sia la concessione rilasciata dalla Provincia ai signori B per scavalcare il rio Valnigra, sia la concessione edilizia rilasciata dal Comune per la costruzione del ponte.

Essi lamentavano in particolare che il Comune aveva autorizzato la costruzione del ponte, senza tenere conto che una estremità di esso appoggiava su via Falzolgher, strada privata, sulla quale i signori B non vantavano alcun diritto, nemmeno possessorio; e che su questa via privata i signori B intendevano dirottare il traffico che sarebbe nato dal nuovo edificio, a costruzione ultimata; e infine di non essere stati avvertiti di tutto questo dal Comune.

Il ricorso è stato respinto dal TAR con la sentenza n. 184/007 reg sent e n. 43/2006 reg. ric., pubblicata il 10 dic. 2007.

Con essa il TAR ha affermato:

- che i signori B apparivano "formalmente legittimati" a costruire il ponte

- che il Comune aveva svolto tutta l’istruttoria necessaria, per cui non gli "può essere mosso alcun giuridico addebito sotto il profilo istruttorio";

- che un Comune "nel corso dell’istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull’immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia". Però "deve comunque escludersi la sussistenza di un obbligo in capo al Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti l’immobile in considerazione, con particolare riferimento all’esistenza di servitù o di altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria dell’immobile".

Precisato questo in teoria, la sentenza affermava che il Comune aveva esattamente applicato tali principi. Infatti i signori B avevano dichiarato di essere comproprietari dell’area interessata e "la documentazione progettuale e gli estratti catastali allegati alla domanda confermano tale dichiarazione". Che poi tale documentazione non fosse veritiera, per il TAR è irrilevante. Il Comune, a fronte di dichiarazioni anche assurde e illegittime, non ha alcun obbligo di verifica, e può solo dare il provvedimento chiesto.

Quanto queste ultime affermazioni del TAR siano, per così dire, ardite e pericolose si cercherà di dimostrare nelle righe seguenti.

Ma sui principi affermati nella sentenza si può essere d’accordo: prima di rilasciare la concessione edilizia, il Comune non è tenuto a eseguire accertamenti complessi, né a rifare la storia del fondo su cui si chiede di costruire. Ma accertare che esiste il titolo per intervenire sull’immobile, questo il Comune deve farlo, lo richiedono le leggi che si occupano dell’argomento, esattamente indicate dal TAR. Ma il Comune di Trento non ha fatto niente di tutto ciò, ha preso per buona la dichiarazione dei signori B di essere proprietari anche del rio Valnigra (!), della parte iniziale di via Falzolgher, di parte del giardino della villa che affaccia su di essa. Perciò il controllo del Comune per accertare se la p.ed. 340 aveva l’estensione che appariva nel tipo di frazionamento prodotto è mancato. E l’omissione è tanto più seria se si pensa a tutti i motivi di dubbio che la situazione presentava e che si possono così riassumere:

1) le planimetrie e i disegni prodotti dai signori B non hanno quasi nessun valore, non provano né la loro pretesa proprietà del rio, né della parte iniziale di via Falzolgher, né di parte del giardino appartenente alla casa posta al di là di essa. Non basta a creare il diritto di proprietà una semplice mappa, che chiunque può compilare a suo piacimento.

2) Il Comune doveva rilevare che i signori B non potevano essere proprietari di un fiumicello appartenente al demanio della Provincia, iscritto al n. 186 del’elenco delle acque pubbliche Questo accertamento non richiedeva ricerche complesse. Bastava essere a conoscenza di una norma secondo la quale le acque demaniali non possono appartenere a privati;

3) il Comune doveva rilevare che via Falzolgher non era una strada comunale, come invece appariva nelle planimetrie mostrate dai signori B. E’ una strada privata;

4) il Comune doveva rilevare – infine - la contraddizione in cui erano caduti i signori B, che dopo avere fatto risultare che via Falzolgher era una strada comunale, dichiaravano di essere proprietari della parte iniziale di essa.

Si può quindi dire che nell’operato del Comune è mancata una fase del procedimento amministrativo: quella istruttoria. Il Comune si è limitato ad accettare i documenti prodotti dai signori B e ha dato la concessione edilizia senza alcuna valutazione critica. Non è vero, perciò, quanto afferma il TAR, che al Comune "non può essere mosso alcun addebito sotto il profilo istruttorio". Altro che!

Dunque si può ben dire che il Comune, nel rilasciare la concessione edilizia ai signori B, è caduto in diversi errori relativi ai luoghi su cui doveva essere costruito il nuovo edificio. Che fare, allora?

Secondo il diritto civile, se un contraente cade in errore, il negozio da lui concluso può essere annullato (art. 1427). Ma anche un provvedimento amministrativo può essere annullato se è frutto di un errore, spontaneo o indotto. Il diritto amministrativo non parla a questo proposito di errore, come fa il codice civile, ma di "eccesso di potere per travisamento dei fatti". L’eccesso di potere può assumere numerose forme per manifestarsi, ma nella specie rileva l’eccesso di potere consistente in una rappresentazione inesatta della realtà da valutarsi.

P. Gasparri, nell’Enciclopedia del Diritto (vol. XIV, p.129) scrive: "L’eccesso di potere può essere in tutte le sue forme, il frutto di un errore... Si tratterà di un errore di fatto, quando l’organo è sviato dalla linea di condotta legalmente corretta rispetto alla realtà, perciò che esso, per sua negligenza o per inevitabile disguido non ad esso imputabile, fa le sue valutazioni in base ad una rappresentazione della realtà che esso ritiene esatta, mentre tale non è".

In questi casi sia il TAR che il Consiglio di Stato hanno il compito di annullare il provvedimento viziato da eccesso di potere. E debbono annullarlo anche se l’amministrazione che l’ha adottato, è senza colpa. L’autore sopra citato scrive: "Anche nel caso in cui il travisamento dei fatti sia certo, potrà rimanere il dubbio se sia intenzionale o se sia frutto di errore. Ma anche qui il dubbio non incide sul problema della validità dell’atto, ma solo su quello delle valutazioni da fare e dei provvedimenti da prendere riguardo alla persona del funzionario".

Infine, i vicini lamentano che né il Comune, né la Provincia comunicarono loro l’avvio del procedimento, come prescritto dalla legge. In un breve inciso della sentenza, il TAR spiega perché neanche questa lagnanza è fondata: "Tale lagnanza muove dall’inesistente presupposto che l’opera venga a ricadere anche sulla proprietà dei ricorrenti, circostanza non suffragata da quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio". Quindi secondo il TAR dovevano essere i vicini a produrre documenti necessari a dimostrare di essere proprietari. Ma - a parte il fatto che i vicini questa dimostrazione l’avevano data - secondo le leggi citate dal TAR deve essere colui che chiede la concessione edilizia a dimostrare di essere in possesso del titolo che lo abilita al conseguimento di essa, secondo un principio fondamentale relativo all’onere della prova. L’art. 2697 c.c. stabilisce infatti: "Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento".

L'aula del TAR di Trento.

Il TAR ritiene poi che per avere diritto alla comunicazione dell’avvio del procedimento bisognava che l’opera intrapresa dai signori B ricadesse sulla proprietà dei ricorrenti, cioè che l’opera danneggiasse, coinvolgesse direttamente la proprietà dei ricorrenti. E neanche questo è esatto. L’art. 7 della citata legge 241/90 stabilisce che l’avvio del procedimento dev’essere comunicato ai soggetti "nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti". Ciò avviene nel nostro caso, poiché un’estremità del ponte costruito dai signori B appoggia su via Falzolgher, sulla via appartenente ai vicini e quindi il provvedimento produce effetti diretti nei loro confronti.

Non solo: la seconda parte dell’art.7, prevede che l’avvio del procedimento va comunicato anche "a quei soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari ai quali dal provvedimento possa derivare un pregiudizio." Tra questi altri soggetti rientrano certamente i vicini.

Si è detto che l’orientamento del TAR può essere pericoloso. Un esempio: una persona poco scrupolosa vuole costruire un edificio su un lotto di sua proprietà e dichiara che il lotto ha una superficie maggiore di quella reale; così può costruire con un volume maggiore di quello consentito. Il Comune approva il progetto senza indagare, come è avvenuto qui. L’edificio viene costruito e contro la concessione edilizia, rilasciata su dati errati, i vicini ricorrono al TAR, chiedendo l’annullamento di essa. Ma il TAR, pur riconoscendo che il provvedimento è affetto da errori, non lo annulla perché, a suo parere, al Comune "non può essere mosso alcun addebito sotto il profilo istruttorio" Così l’edificio resta, il provvedimento resta, il costruttore gode e i vicini sono gabbati, perché il TAR ritiene che una concessione edilizia non possa essere annullata se è stata adottata dall’ente pubblico dopo una certa istruttoria. Il che è abnorme; e non è vero, perché un provvedimento affetto da vizi va annullato, anche se nessun rimprovero si può muovere all’ente pubblico. Si può allora concludere dicendo che ha sbagliato il Comune a rilasciare una concessione edilizia senza procedere ad alcun controllo sull’estensione della p.ed 340, nonostante le irregolarità che apparivano. E ha sbagliato il TAR a non annullare un provvedimento adottato dal Comune su una falsa rappresentazione dei luoghi.

Come si può rimediare ora a questa situazione? L’ordinamento prevede il ricorso al Consiglio di Stato per impugnare la sentenza del TAR. Ma un processo richiede tempi lunghi e costi rilevanti (i vicini sono stati condannati dal TAR a pagare oltre 20 milioni di lire per spese processuali). E allora, ne vale la pena?