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QT n. 6, giugno 2009 L’editoriale

La crisi è un’occasione

Copertina del numero di giugno 2009 in edicola da sabato 6 giugno.

La crisi economica è una grande occasione. Detta così, di fronte agli operai in cassa integrazione o ai giovani disoccupati, sembra una bestemmia. Eppure, se stavolta non si riesce a sfruttare questo momento per riflettere sul sistema economico che ha prodotto la crisi e non si azzarda a ripensarlo sino a rimetterlo in discussione, si rischierà di fare come chi, dopo una grande indigestione, dimentico dei dolori di stomaco, si rimetta ad abbuffarsi come prima.

Quello che si è sentito al Festival dell’Economia conferma la concretezza di questo rischio: dall’economista Innocenzo Cipolletta, che candidamente ha affermato che “lo spreco non è da condannare poiché è anche simbolo di ricchezza e di libertà”, ai molti osservatori mai davvero impegnati a ricercare le cause profonde della crisi, al di là del solito “è colpa dell’avidità degli operatori finanziari: basta mettere regole chiare al sistema finanziario e il momentaccio passerà”.

Due per lo più sono state le reazioni alla crisi. Da una parte, il “localismo” di chi sogna comunità chiuse in loro stesse, ostili a tutto ciò che è internazionale, mondiale, globale. Come la crisi, appunto. È quella che lo scienziato Wolfgang Sachs, intervenuto a Firenze in occasione di “Terra Futura” (festival delle buone pratiche di sostenibilità dove abbiamo rilevato una lucidità d’analisi maggiore di quella mostrata dal contemporaneo festival trentino) ha chiamato la risposta della “esclusione”. In questo senso si possono leggere le politiche xenofobe della Lega, la grettezza superficiale secondo la quale “va bene tutto, purché sia di casa nostra”, il richiamo a presunte radici pure e cristalline, sbandierate con orgoglio dai conservatori di ogni specie.

Dall’altra parte, invece, il “globalismo” di chi dice di non preoccuparsi, che la crisi è temporanea e che basterà affidarsi all’economia e al mercato per superarla. È la risposta di chi sogna un mondo uniforme, votato alla crescita infinita, in cui si vendano gli stessi prodotti, si parli la stessa lingua, si accetti lo stesso modello di vita. Il mondo del Grande Fratello: omologante, totalizzante, unico. E sottoposto alle leggi del capitalismo, per cui “business is business”, gli affari sono affari, e va bene tutto purché si crei guadagno e cresca il PIL. Questa è quella che Sachs chiama la risposta della “espansione”.

“Esclusione” ed “espansione” sono tuttavia due risposte inadeguate, perché non tengono conto di due aspetti fondamentali.

  1. La questione ambientale. Il sistema capitalistico globale è destinato a fallire perché inconciliabile con le leggi fisiche della limitatezza del nostro pianeta. Un modello di crescita infinita (come presuppone il capitalismo) non può sopravvivere in un sistema con risorse finite. E nessuno tiene conto che quando il sistema collasserà irreversibilmente, le scelte ambientaliste saranno obbligate e da attuarsi in fretta senza discutere, magari da una bella giunta autoritaria che inauguri il periodo di quelle che Serge Latouche chiama “eco-dittature”.
  2. La questione etico-politica. L’attuale sistema regge solo perché milioni di persone sono costrette ad abbandonare il loro modello di vita, adottando coattivamente quello più funzionale al sistema capitalistico. Così si costringono interi popoli a prostituirsi, svendendo le risorse naturali e rinunciando ai propri ritmi di vita. Come possiamo stupirci, poi, dei flussi migratori verso i paradisi perduti occidentali? Chi lo fa è ipocrita e meschino. Chi reagisce innalzando muri e fortezze, senza muovere un dito per fermare il saccheggio in atto, lo è altrettanto.

La crisi è dunque l’occasione per trovare finalmente quelle che, per rimanere alla riflessione di Sachs, sono le risposte della “efficienza” e della “sufficienza”. Ovvero: se le risorse sono scarse, cerchiamo di usarle meglio e di meno. Senza escludere gli altri dal loro uso, come vorrebbero i “localisti”, intenzionati, da novelli feudatari medievali, a governare con la paura sulle terre timorate di Dio e della Tradizione. Ma nemmeno pensando di poter trovarne sempre di nuove, come fanno i “globalisti”, che attendono solo il momento buono per mungere, come sempre, quello che resta da mungere, prima che il pianeta crolli sfinito.

Lasciare in mano a costoro le redini del governo politico, economico e culturale è scellerato, perché le loro risposte non offrono prospettive a lungo termine. Se non quelle di un mondo che rinuncia ai diritti civili, alla dignità umana, alla libertà di vivere in armonia con il pianeta e con la propria coscienza.