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QT n. 1, gennaio 2010 L’editoriale

La sinistra fra valli e città

Il Trentino non si è mai diviso tra nord e sud e nemmeno fra oriente e occidente, poiché le assi cartesiane su cui il nostro territorio si è nel tempo diviso, o ha cercato di trovare un equilibrio, è quello tra valli e città. Nelle valli abbiamo avuto gli austriacanti, i conservatori, i clericali e i democristiani, mentre nelle città si trovavano gli irredentisti, i progressisti, i laici, i socialisti con i liberali, i repubblicani e qualche comunista, fino ad arrivare ai giorni nostri con gli Amistadi e la retorica della periferia (come luogo mentale prima ancora che geografico) da un lato e con i sindaci di Trento, Rovereto e, non da ultimo, Riva, a rivendicare il ruolo chiave delle loro città nello sviluppo del Trentino.

Su un piano squisitamente politico si è posta nel tempo la questione di una sinistra sempre più cittadina e un centrodestra sempre più valligiano, senza peraltro trovare una chiave di lettura che ne spiegasse il perché.

Gli aspetti sociologici di tale realtà mi sono ignoti, ma da modesto osservatore politico è facile leggere i risultati elettorali e capire come il voto in Trentino, più stabile nelle città, si differenzi nelle valli a seconda della tornata elettorale. Si vota più facilmente a destra per le elezioni nazionali (a meno che sul territorio vi sia un personaggio in grado di essere eletto a Roma e da lì essere utile per la propria zona) ed europee, votando più volentieri per il centrosinistra alle provinciali. Ma se è così, e i dati elettorali sembrano confermarcelo, quale spiegazione si può dare se non quella per cui il cuore (o la mente, o la pancia) guarda a destra mentre il portafoglio guarda a quel centrosinistra (più centro che sinistra) che da sempre governa la Provincia?

L’impressione è di un Trentino troppo povero per secoli per non approfittare della recente manna autonomista di contributi a pioggia (termine ingiusto essendo per lo più contributi ben mirati) che, in qualche modo, hanno drogato il mercato economico ma anche quello politico. Contributi che, nella logica di una retorica della periferia sempre svantaggiata (anche Campiglio e la Val di Fassa?), ha prodotto una dipendenza economica dal potere politico di piazza Dante tale da indurre gli abitanti delle valli ad eleggere quella persona che meglio, a Trento, dovrebbe rappresentare gli interessi della propria valle, mentre quando invece si può votare “liberamente” allora si trovano i propri obiettivi meglio valorizzati nei partiti di destra.          

In questa perversa logica di “territorialità clientelare” della politica la sinistra, salvo sporadici casi individuali, non si è mai trovata a proprio agio, finendo con il privilegiare il voto cittadino (più ideologico e meno legato a tali logiche di territorio) lasciando al centro della propria alleanza di coltivare le vallate, in una preoccupante logica di scambio tra voti e contributi o piaceri a seconda dell’occasione. Logica inaccettabile e neppure completamente vincente se poi, come alle ultime politiche, le vallate più beneficiate di soldi e interventi pubblici hanno votato la destra decretando l’ira di chi, come sappiamo, avrebbe minacciato di alzare la “magnadora”.

Il recente voto a Cles (anche se alle votazioni comunali gioca un ruolo chiave la credibilità delle candidature) però lascia sperare che forse vi sia ancora la possibilità per la sinistra, o PD che dir si voglia, di non delegare ad altri la possibilità di rappresentare, accanto agli ideali universali, di libertà, fratellanza e uguaglianza, anche l’obiettivo di una crescita economica e sociale della propria comunità. A Cles, dove il PD si è presentato con un progetto chiaro e con persone credibili, la sinistra ha vinto anche per la sua capacità di capire il proprio territorio, di tradurre i propri ideali politici in proposte e scelte concrete. Una sinistra vincente nel cuore della Val di Non sarà da stimolo per un PD che, senza rifiutare l’alleanza con il centro, lo sappia fare con la consapevolezza della propria forza, dei propri ideali della propria capacità di rifiutare una politica fatta di contributi e di piaceri più o meno leciti ma comunque sempre inaccettabili.

Se la sinistra saprà guardare con maggiore fiducia a se stessa e saprà stare “sul territorio” senza dimenticare i propri ideali, allora forse non si limiterà a raccogliere voti nelle città ma potrà diventare punto di riferimento per un Trentino in grado finalmente di superare l’antica divisione tra le vallate e le città e così crescere nel suo complesso dimenticando una politica basata su un consenso dovuto più su uno scambio che sulla fiducia.