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Documentari a Bolzano

Festa di diploma alla scuola di documentario ZeLIG

Due giorni, 11 documentari presentati per la prima volta, invece che nella scuola, in un cinema, la sala grande del Filmclub di Bolzano: ZeLIG, la scuola di documentario, televisione e nuovi media di Bolzano ha festeggiato così - ma c’è stata anche una vera festa finale in un castello della città - alla fine del corso triennale di documentario, i 27 diplomati, articolati in tre gruppi fra camera, regia, montaggio. Anzitutto una festa, con la consegna dei diplomi, con i responsabili della scuola emozionati quanto gli studenti, i protagonisti commossi, la folla nella sala e nel cinema, sempre in movimento, perché parenti e amici, protagonisti e collaboratori di molto varia provenienza, entravano e uscivano dal cinema a ogni proiezione.

I risultati del lavoro dei giovani è davvero entusiasmante, anche per chi conosce da tempo la capacità di chi gestisce la scuola, riconosciuta ormai fra le prime del mondo, di far studiare e lavorare gli studenti che vi entrano dopo una severa selezione in un clima che unisce passione e impegno. Alle proiezioni hanno assistito numerosi fra i collaboratori e le collaboratrici stabili della scuola, noti cineasti, autori, registi, tecnici, provenienti da diversi paesi, essi stessi attivi spesso anche in ambiti di sperimentazione e nelle organizzazioni per la diffusione del genere documentaristico. Due giorni con la sala strapiena di un pubblico attento e appassionato. La sorpresa tuttavia è venuta dalle proiezioni dei film, che consegna un’immagine della realtà di ZeLIG di altissimo livello culturale e formativo, un esempio, raro se non unico di quell’opportunità che può offrire il Sudtirolo quando invece di chiudersi nelle sue miserie etniche, riesce a usare plurilinguismo e multiculturalità per superare i confini, e attrarre e far crescere un comune sentire e capire. I giovani, - 14 femmine e 13 maschi - hanno appreso la lezione di ZeLIG, impegnandosi nella forma, ma anche sui temi, e in alcuni casi sottoponendosi a esperienze difficili per realizzare i loro film. Alcuni dimostrano una già avanzata maturità professionale. È impossibile parlare di tutti i film, ma qualcuno va proprio citato.

Guañape Sur racconta il lavoro dei raccoglitori di guano su un’isola rocciosa del Perù, che avviene ogni 11 anni. Jànos Richter e Jakob Stark si sono imbarcati, filmando la traversata delle barche degli operai nel mare tempestoso, il lavoro sotto una pioggia di escrementi delle centinaia di migliaia di uccelli che rilasciano il prezioso ma tossico fertilizzante. Le voci sono quelle originali, la fotografia è bellissima, il montaggio perfetto, asciutto, essenziale. Una delle immagini più belle è quella dei visi dei lavoratori che guardano nelle ore libere i film sotto la tenda che li protegge dalla “pioggia”. Alla fine Helga Reidemeister interpreta il pensiero di molti: “Avrei voluto vedere di più”, dice. Un grande complimento. In Burlesque-Un sogno brillante, Brett Orloff e Melina Huppertz raccontano la passione per il burlesque di due ragazze. L’argomento è frivolo, il film fatto benissimo.

Forse non sempre perfetto, ma capace di dare molte emozioni è la bella storia di Laas-Revuca, in cui una contadina di Lasa in Val Venosta accoglie lavoratori stagionali per la raccolta delle mele dalla Slovacchia e va a trovare due di loro nel loro paese, e trova nella bellezza del paesaggio la ragione della loro nostalgia. Il rapporto con i lavoratori stranieri diventa occasione di conoscenza e rispetto.

Diverso è Unfinished Italy di Benoit Felici, Bastian Esser, Milena Holzknecht, un documentario geniale e inaspettatamente spiritoso sulle grande opere abbandonate che segnano disperatamente il paesaggio italiano. In Ladro di bambini Gianni Amelio aveva mostrato l’Italia devastata dal degrado urbanistico. Questo documentario riesce a raccontare splendidamente una realtà terribile che non si rassegna a vedere come irrimediabile. Per niente scontato il film Walden, oder leben in den bergen, in cui una regista di Città del Messico, Renata Medero Aguilar, insieme a Marina Baldo documenta la vita di due sudtirolesi che conducono una vita solitaria nella natura facendo con le proprie mani tutto ciò di cui hanno bisogno. La fotografia è bellissima anche per chi è abituato a vedere tante belle foto delle nostre montagne. Coraggioso il film di una regista originaria di Brindisi, che è tornata nella sua città per raccontarne la storia di città di contrabbando di sigarette. Per realizzare My Marlboro City Valentina Pedicini ha coinvolto fra gli altri protagonisti anche sua madre insegnante elementare in un quartiere difficile.

In comune i lavori dei diplomati di ZeLIG dimostrano grande delicatezza e rispetto per le persone che costituiscono l’oggetto dei loro lavori, una grande capacità di entrare nelle situazioni e si percepisce lo sforzo di non falsificare che qualche volta svela volutamente la presenza della camera. E, nota curiosa, in comune hanno anche l’amore per gli alberi, che compaiono in tutti il film. Perfino in Facebook’s Adorno changed my life, un montaggio da Internet, le pochissime immagini “esterne” sono costituite da alberi d’inverno.