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Art. 18 per tutti?

Tommaso Iori

Sig. Cova, Lei (QT, n. 6, Co.co.co. e articolo 18) sbaglia interlocutore. Mi permetta, ma per quale motivo chiede ai promotori del referendum per l’estensione dell’art.18 alle aziende che non superano la soglia dei 15 dipendenti "che ne sarà della pletora dei co.co.co."?

Certo, è un problema che Rifondazione Comunista, la sinistra sindacale, i Verdi (nazionali, sic), Socialismo 2000 si sono posti: nessuno è infatti convinto, e nessuno di conseguenza lo ha mai affermato, che il referendum estensivo prenda direttamente in considerazione i cosiddetti lavoratori atipici (precari, interinali, stagionali, a tempo determinato... non sono solo co.co.co., e il sig. Cova certamente lo sa) e risolva i loro problemi legati alla precarietà dei loro contratti e quindi all’instabilità di un’esistenza vissuta senza certezze e prospettive dignitose.

Nel suo intervento Cova ha descritto molto bene qual è la condizione lavorativa di un collaboratore coordinato e continuativo: doveri (molti) e diritti (nessuno, ahimè). Ma alla luce della sua conoscenza approfondita della materia mi riesce ancora più difficile spiegarmi perché il sig. Cova non riesca a trovare il nesso tra l’aumento esponenziale della precarietà di cui i co.co.co sono emblema e l’attacco che le destre e il padronato stanno portando avanti nei confronti del mondo del lavoro. Siamo di fronte ad un attacco senza precedenti, dalla strategia quasi militaresca: prima si disarticola la realtà del lavoro dipendente, con una serie di pseudo-innovazioni a livello contrattuale che, lungi dall’essere tali, smembrano l’insieme del lavoro subordinato mitigandone la forza conflittuale, poi si prendono di mira i diritti acquisiti in decenni di lotte.

Non a caso la legge delega 848, approvata in Senato il 5 febbraio, precede la 848 bis, il cui esame si svolge in questo periodo: la prima infatti crea una serie di nuove figure contrattuali superflessibili, come il lavoro a chiamata (job on call) o il lavoro in affitto (staff leasing), liberalizza il collocamento privato, facilita la cessione di rami d’azienda (out-sourcing) eludendo l’art.18; la seconda, oltre alla riforma degli ammortizzatori sociali, prevede la modifica all’art.18.

Una volta passata anche questa oscenità, la tanto osannata Riforma del Lavoro sarà ultimata.

Ora, come si risponde a questo?

Analizzando i casi particolari o facendo emergere una questione di principio, che è semplice, immediata, e sulla quale milioni di lavoratori e lavoratrici sono scesi in piazza e hanno incrociato le braccia per più di un anno? Il principio secondo il quale un diritto o è universale o non è, o e di tutti o è un privilegio, o appartiene al mondo del lavoro tout court o è debole e facilmente attaccabile.

Diceva Marx che la libertà di un individuo inizia dove comincia l’altro: il diritto di una persona è dunque tale se appartiene anche alla persona che lo affianca, a maggior ragione se questi sono colleghi di lavoro. Non è raro trovare infatti affiancati, all’interno della stessa azienda e con identiche mansioni, lavoratori tutelati e lavoratori privi di garanzie.

Questi ultimi, nuove figure sociali, in fondo non sono altro che nuove espressioni di lavoro subordinato, e le lotte che intraprendono sono finalizzate ad acquisire diritti e dignità che non vengono loro riconosciuti: chi si organizza nei call-center o all’interno di un McDonald’s reclama garanzie, tutele, sicurezza, e non si sente così estraneo alla condizione lavorativa e sociale di un operaio di un calzaturificio veneto con 14 dipendenti.

Per questo un co.co.co. deve andare a votare, e deve votare Sì: il referendum va vinto, si può e si deve vincere, per arginare quella falla nella diga dei diritti che i padroni si stanno aprendo e per spianare la strada a nuove lotte di trasformazione sociale.