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Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
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Rassegniamoci

Gli scolari anglofoni il problema degli accenti non l’hanno; in compenso devono affrontare ben altre difficoltà, tanto che in quei paesi esistono delle gare di spelling. In Francia, invece, il problema esiste, al punto che nel 1990 una commissione ha varato una riforma ortografica che ha abolito alcuni accenti considerati inutili; malgrado ciò, la situazione rimane piuttosto complessa. In Italia siamo più fortunati, basta vedere le tastiere dei computer. Praticamente dimenticato l’accento circonflesso (nessuno più scrive ozî, preludî, principî...), per 4 delle 5 vocali, se accentate, non c’è da scegliere, l’accento è sempre quello grave: così. Resta la e, ma anche con lei non dovremmo trovarci in difficoltà: i vari affinché, cosicché, finché, giacché, poiché, purché ecc. hanno tutti l’accento acuto, come pure né, sé ecc. E non resta molto altro (è, ahimè, cioè...). Questo accento, però, ha un difetto: per scriverlo sulla tastiera occorre pigiare due tasti anziché uno solo; così, a parte qualche perfezionista, anche chi conosce il proprio dovere spesso indulge alla pigrizia e sbaglia. Questo per quanto riguarda lo scrivere. Nel parlare, poi, le influenze dialettali provocano il caos e anche quando si conosce la pronuncia giusta, una forza irresistibile può portare allo sbaglio. Vedi il sottoscritto, che pronuncia dei perchè oscenamente aperti. E la cosa non riguarda solo le parole accentate sulla finale: anche le vocali in mezzo possono essere aperte o chiuse (bòtte e bótte sono cose diverse...). Ma qui c’infileremmo in un ginepraio senza uscita. Resta da dire che quando - ancora succede - si scrive con carta e penna, spesso fa la sua comparsa un terzo tipo di accento che non è né grave né acuto, ma che imparzialmente si sdraia sulla vocale, senza puntare né verso nord-est né verso nord-ovest, più o meno così: e; e di fronte ad una situazione ingovernabile, lo scoraggiamento induce ad accettare questo pragmatismo.