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QT n. 2, febbraio 2013 Servizi

Per l’acqua pubblica

Un esempio di come mantenere le risorse idriche al riparo dallo sfruttamento privato

Su QT l’argomento di un nuovo ente gestore pubblico per l’acqua a Trento e Rovereto, nascente dallo scorporo del ramo acquedotti di Dolomiti Energia (che invece è una società mista, con dentro privati, e con l’obiettivo della quotazione in Borsa), è stato già trattato varie volte, ma il percorso, aperto dal referendum del 2011, ha avuto una lunga e travagliata trafila. Che sembrerebbe giunta ad un altro giro: su L’Adige del 19 gennaio il sindaco di Trento Andreatta, che in passato aveva espresso l’intenzione di una autonoma messa all’asta della raccolta dei rifiuti, “ha estratto dal cilindro l’idea della società con due binari: Trento e Rovereto” e con il duplice fine degli acquedotti e della gestione dei rifiuti, anche se non ha voluto precisare altro: “Siamo a buon punto, ma di più non posso dire”, rimandando l’appuntamento alla fine del 2013. Il giornale commenta: “È, quella dell’assetto societario, una delle questioni calde di cui si discuterà nei prossimi mesi, nei due Comuni e in Provincia”.

Il comitato promotore nazionale del referendum ha sempre raccomandato la gestione degli acquedotti tramite enti di diritto pubblico, che sono controllabili davvero dagli enti locali interessati dal servizio, mentre una società per azioni, anche se magari con le azioni tutte in mano pubblica, ha una sua sostanziale non-trasparenza, essendo un soggetto commerciale autonomo, che non deve render conto al cittadino delle scelte. È la via battuta, dopo il referendum, dalla amministrazione Demagistris a Napoli, che però ha avuto a che fare con una società per azioni, ma controllata completamente dal comune di Napoli. Mentre da noi, interessati al processo dello scorporo del ramo acquedotti da Dolomiti Energia, ci sono oltre una quindicina di comuni, e si tratterebbe dunque, eventualmente, di costruire un consorzio. Abbiamo visto cosa è successo quando la Provincia ha provato a forzare la mano sulle gestioni associate: una mezza rivolta dei sindaci. La via di una gestione consortile in Trentino è indubbiamente più complicata; oltretutto al governo locale non ci sono “arancioni” che hanno messo l’acqua pubblica sulla propria bandiera, come a Napoli. Ma certo se il risultato finale fosse solamente il passaggio da una società per azioni mista come Dolomiti Energia – ma comunque già a maggioranza pubblica – ad un’altra, sempre per azioni, sarebbe la classica montagna che partorisce il topolino. Perché una volta costituita la nuova società, anche se all’inizio le quote fossero tutte in mano pubblica, niente ne garantirebbe la permanenza: le azioni si comprano e vendono, basterebbe che qualcheduno dei soggetti promotori in un secondo momento ci ripensasse (magari dopo un cambio d’amministrazione) e volesse vendere, e saremmo esattamente al punto di partenza (o magari anche peggio).

È un problema che qualcuno ha già risolto: per esempio la società piemontese SMAT (Società Metropolitana Acque Torino s.p.a), che ha inserito nel proprio statuto sociale, all’art. 91, il divieto di vendita delle azioni a privati: “Il capitale della società è interamente pubblico… Possono entrare nella società gli enti locali o loro forme associative il cui territorio sia compreso nell’Ambito Territoriale Ottimale n. 3 Torinese (A.A.T.O. 3)”, e, all’art. 10.1: “I Comuni possono trasferire le proprie azioni esclusivamente a favore di enti locali o loro forme associative compresi nell’Ambito Territoriale Ottimale n. 3 Torinese”.

Inserire clausole del genere anche nello statuto della nuova società trentino-roveretana garantirebbe intanto quantomeno la blindatura della natura pubblica della società, la garanzia che gli acquedotti non sfuggano più dalle mani dei cittadini-utenti. E se poi ci fossero le condizioni di una gestione consortile e si volesse cambiare forma giuridica, la porta resterebbe sempre aperta, si tratterebbe di passare nuovamente dal notaio.

Lo statuto sociale della SMAT.

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Corrado Oddi

Commenti (2)

Roberto Antolini

per una ragione molto semplice: la gestione degli acquedotti è una attività industriale, e servono strutture industriali (e quindi personale tecnico) per gestirli. Non si tratta più, solo, di chiudere i buchi quando se ne forma uno in qualche canna (e già di quelli ce ne sono un bel po') ma di monitorare, programmare e gestire continuamente con modalità industriali il servizio. Il problema della natura pubblica o privatistica riguarda il fatto se questa attività industriale debba rendere profitti a qualche privato o se sulle bollette devono venir caricati solo i costi di gestione (compresi ovviamente gli investimenti anche di lungo periodo). Quindi la struttura industriale ci vuole, non è in discussione, il dibattito politico riguarda la forma giuridica della stessa, dunque il tipo di controllo.

MARCELLO

Ma se l'acqua per referendum deve rimanere pubblica perchè tutti questi giri, società sì società no, per azioni, consortile, norme statutarie, deroghe.
L'acqua è pubblica e la gestisce il soggetto pubblico!!
I comuni si attrezzano con un ufficio dedicato. C'è da fare la manutenzione: prendiamo il privato cghe ci fa il miglior prezzo, ci sono da fare lavori straordinari? li facciamo fare al privato ma il controllo resta comunale. Anche perchè una spa è solo un moltiplicatore di poltrone.
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