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QT n. 4, aprile 2013 Trentagiorni

Una firma contro la tortura

È forse il più abominevole vuoto normativo del nostro Paese, pur non mancandogli la concorrenza. L’assenza, nell’ordinamento italiano, di un reato di tortura, che disciplini e punisca cioè la violenza eccessiva od ingiustificata dei rappresentanti dello Stato, fa da sfondo ad alcune delle più drammatiche vicende dell’Italia contemporanea. Dall’impossibilità di condannare in maniera esemplare i responsabili delle violenze della Diaz e della caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova (ed impedirne così carriere e promozioni che ci sono invece state), alla difficoltà di sanzionare la drammatica situazione che vivono i carcerati italiani, anch’essa classificabile, ed infatti classificata da varie istituzioni internazionali competenti, come tortura. Fino alla tragedia della morte di Federico Aldrovandi, finita di recente alla ribalta delle cronache a causa della vergognosa manifestazione di solidarietà di un sindacato di Polizia nei confronti dei quattro poliziotti che lo ammazzarono nel 2009. Un problema che sembra tutt’altro che tra le priorità della politica, nonostante l’introduzione di un reato di tortura rappresenti, per l’Italia, un obbligo internazionale. L’ennesimo tentativo di mettere a posto questa situazione avverrà martedì 9 aprile davanti a molti tribunali d’Italia, Trento compresa. Dalle 9 alle 13 sarà possibile, davanti al palazzo di giustizia di Largo Pigarelli 1, firmare per sostenere tre disegni di legge di iniziativa popolare, tutti riguardanti il tema della giustizia. Il primo prevede appunto l’introduzione del reato di tortura. Gli altri due, ad esso strettamente collegati, trattano la legalità ed il rispetto della Costituzione nelle carceri ed alcune modifiche in senso liberale alla legge Fini- Giovanardi sulle droghe, la cui insensata severità nel trattare i tossicodipendenti come delinquenti e non come malati è tra le maggiori cause del sovraffollamento carcerario. Sul sito www.3leggi.it è possibile conoscere i promotori della raccolta di firme ed ottenere maggiori informazioni su un’iniziativa d’importanza cruciale. Perché uno Stato che non sa e non vuole contrastare le violenze dei suoi rappresentanti non può dirsi democratico.

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Commenti (1)

Remo

l'Italia non può dirsi un paese civile, e la nostra Costituzione non ha piena attuazione, finchè non verrà previsto il reato nel nostro codice penale il reato di tortura, "speriamo il più presto possibile".!
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