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QT n. 1, gennaio 2014 La storia

Ritorno alla terra

L’esperienza dell’orto comunitario dei Richiedenti Terra. Tra agricoltura urbana ed impegno sociale.

L’agricoltura non è solo una forma di produzione di alimenti. E, da qualche anno, non è nemmeno più solo il passatempo di qualche pensionato che vive in campagna. Questo dicono, anzitutto, i dati. Come quelli dell’Osservatorio sull’agricoltura amatoriale di Nomisma, che stima siano circa 9 milioni gli italiani dediti alla cura di terreni, orti, giardini ed altro per scopi agricoli, e che il 53% delle persone con la passione per l’agricoltura appartenga a categorie diverse dai pensionati. Numeri, tra l’altro, in continuo aumento, soprattutto nelle aree urbane. Le spiegazioni di questo ritorno all’agricoltura sono molteplici: da un semplice hobby alla necessità di diminuire le spese per l’acquisto di alimenti, fino ad una precisa consapevolezza dell’insostenibilità del nostro sistema di produzione alimentare, tanto per l’ecosistema nel suo complesso quanto per la salute individuale. A volte, poi, a queste ragioni se ne sommano altre, come il desiderio di forme di convivialità e condivisione quasi sparite nella quotidianità odierna. È in questo modo che nascono gli orti comunitari, dove non sono singoli individui o famiglie, ma gruppi di persone, a volte molto eterogenei, ad occuparsi della lavorazione di un terreno. Anche in Trentino, provincia convinta di mantenere ancora un rapporto invidiabile tra uomo e natura, e tra produzione agricola e rispetto dell’ambiente e della salute, queste esigenze cominciano ad emergere. Sono nati così, negli ultimi anni, diversi collettivi dediti alla creazione e gestione di orti comunitari, come “OrtiCorti” a Rovereto o il Movimento per la Decrescita Felice dell’Alto Garda, che ne cura uno nella zona di Arco. O come i “Richiedenti Terra”, che lavorano invece a Trento. Con una storia molto particolare.

Che comincia, nel 2011, non in Trentino, ma in Libia; dove l’esplosione della guerra civile spinge in Italia migliaia di migranti forzati. Soprattutto giovani uomini di altri stati africani, come Mali, Somalia, Costa d’Avorio, che in Libia vivevano e lavoravano da anni. Alcuni di loro arrivano, come richiedenti asilo politico, proprio in Trentino, all’interno del progetto “Emergenza Nordafrica”. Qui, un gruppo di volontari in un progetto di servizio civile del Cinformi (Centro Informativo per l’Immigrazione) ha il compito di sostenerli nel percorso d’integrazione. È a loro che viene l’idea dell’orto comunitario: una possibilità di condivisione di tempo ed attività che possa risvegliare anche l’interesse della cittadinanza.

Nel gennaio 2012 il collettivo muove i primi passi. E le risposte dalle realtà sociali sono positive. Il Centro Sociale Bruno, dove da tempo in molti hanno sviluppato interesse per i temi della sovranità alimentare, offre il supporto organizzativo e le sale dove tenere le prime assemblee. Alcuni agricoltori trentini, professionisti e non, mettono volentieri in campo le loro competenze, e viene così organizzato un primo corso di agricoltura biodinamica. Anche l’Opera Universitaria si mostra disponibile, e mette a disposizione un piccolo terreno presso lo studentato di San Bartolameo. È lì che cominciano gli incontri settimanali per lavorare la terra. Fino a che, all’incirca un anno dopo, le pressioni del collettivo sull’autorità pubblica portano a un risultato. Il Comune individua infatti un terreno espropriato anni prima per i lavori di ampliamento della stazione ferroviaria di Villazzano, inattivo ma coltivabile; e lo assegna al collettivo. Nasce così l’orto villano.

“A Villazzano - mi racconta Tommaso, studente universitario, uno dei membri più attivi dell’Associazione - pratichiamo l’agricoltura sinergica, un concetto che va oltre quello di biologico, dove è l’equilibrio che si viene a creare tra i vari elementi naturali a garantire la concimazione ed evitare l’arrivo di parassiti”. Un equilibrio che non dipende solo dalla precisa collocazione degli ortaggi, ma anche dalla presenza di animali come insetti e rospi. Uno dei più recenti successi, all’orto villano, è stata infatti l’inaugurazione di uno stagno, le cui caratteristiche (profondità, collocazione, piante che vi crescono all’interno) sono state minuziosamente selezionate in maniera da favorire la creazione di un ecosistema in equilibrio. Un sistema non banale e non perfetto, ma che vale la pena di essere sperimentato su terreni di piccole dimensioni, e che offre importanti vantaggi in un orto comunitario, dove anche gli assoluti principianti sono benvenuti.

“Nell’agricoltura sinergica - continua Tommaso - si coltiva su cumuli, strisce di terra che presentano vari vantaggi per la crescita delle piante. Tra questi anche il fatto che chiunque li può riconoscere ed evitare di calpestarli”. Le attività innovative del gruppo, dal punto di vista agricolo, non si fermano alle modalità di coltivazione. È anche in atto, infatti, una collaborazione con l’Associazione “Lapimpinella biodiversità”, che si occupa della sopravvivenza e valorizzazione di antiche sementi del Trentino, alcune delle quali sono state seminate proprio a Villazzano.

In due anni, l’iniziativa dei richiedenti terra ha già portato i suoi risultati. A partire dalla produzione agricola. “Avremmo voluto quantificare la produzione dell’orto, ma non siamo riusciti a farlo. Di certo c’è che le 10-15 persone più attive in estate non hanno dovuto acquistare verdure. Alcuni ortaggi, poi, come le zucchine, abbiamo dovuto metterci a regalarli”. Di recente, il progetto ha avuto anche un riconoscimento ufficiale. Ha infatti vinto il terzo premio del concorso “Ambiente Euregio” per progetti di utilità e sensibilizzazione ambientale realizzati tra Trentino Alto Adige e Tirolo.

C’è poi l’aspetto della convivialità. “Grazie a questa esperienza ho effettuato un percorso comune con persone che non avrei conosciuto altrimenti” - mi dice Maria, bibliotecaria. Più dubbi sorgono quando si tratta di valutare uno degli scopi originari del progetto: offrire un’opportunità d’integrazione a giovani richiedenti asilo. Molti di loro, oggi in possesso di permesso di soggiorno, stanno proseguendo il loro percorso tra le mille difficoltà che incontra oggi uno straniero che voglia farsi una vita in Italia. “Non sempre i ragazzi africani hanno interesse nell’orto. - continua Maria - Quest’attività di ritorno alla terra mi sembra un’aspirazione molto più nostra che loro”.

“Il coinvolgimento non è stato sempre facile; - conferma Tommaso - d’altronde, i loro interessi sono comprensibilmente diversi. Comunque, grazie a questo progetto si sono create delle relazioni importanti, che possiamo ben chiamare integrazione. E in ogni caso, ci sono sempre ragazzi africani che vengono ad aiutarci all’orto e frequentano il nostro gruppo”.

Un gruppo che, oltretutto, non vuole limitare l’aspetto conviviale al semplice stare in compagnia, ma vuole condividere valori precisi e rivendicazioni anche radicali. “Siamo - prosegue Tommaso - per una cittadinanza attiva critica e consapevole, che si batta per la sovranità alimentare e contro lo sfruttamento del territorio, che è intenso e devastante anche in Trentino, con le monocolture di viti e mele. E che sia abbinata alla lotta per la giustizia sociale, perché non ci interessano le rivendicazioni monotematiche”.

Un collettivo dagli obiettivi molto ambiziosi e di larghissimo respiro. Ma che ha già percorso una buona porzione di strada.

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