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Un pezzo di Rovereto cancellato

Liliana Ragnini

Correvano gli anni ‘57-’59; io frequentavo le scuole medie presso il nuovo, modernissimo edificio delle “Paolo Orsi”, dopo aver frequentato le elementari all’Istituto delle Dame Inglesi. Alcune mie compagne di scuola erano rimaste alle Dame Inglesi, altre si erano distribuite fra le medie “Orsi”, le scuole commerciali e - soltanto i maschi - alle industriali. Dopo le ore trascorse a scuola eravamo soliti ritrovarci nel bar della stazione delle corriere, dove aspettavamo l’arrivo dei mezzi di trasporto che riportavano i nostri compagni nei vari paesi del circondario.

Pochi i consumi al bar: qualche panino divorato in fretta da chi, probabilmente, a casa un pranzo non l’avrebbe trovato più. Lì ci si riuniva soprattutto attorno al primo e unico juke box della città, dove con 50 lire si potevano ascoltare tre dischi: “Diana”, “Only you”, “Tutti Frutti”, “Tom Dooley”... C’era un amore sviscerato non solo della musica, ma di tutto ciò che era americano; del resto le ferite della guerra erano ancora recenti e noi, che non l’avevamo vissuta, di quegli eventi tragici conoscevamo forse soltanto la parte eroica ed esaltante della liberazione e della ricostruzione, quella che captavamo dai racconti dei nostri genitori, filtrata da tutti quei fenomeni di rimozione che la natura e l’istinto di sopravvivenza avevano cancellato dalla loro memoria.

In quella piazza e in quel bar si consumava la nostra adolescenza povera e felice, e un po’ anche la vita dei nostri padri che, negli intervalli di lavoro o quando le mogli portavano i bambini in vacanza, si recavano a pranzare in una piccola, economica trattoria, esteticamente poco invitante, ma dove, quando si entrava, il cibo e l’accoglienza dell’indimenticabile Pierino ti facevano sentire in un ristorante a quattro stelle.

Sarà anche vero che più s’invecchia e più ci si culla nei ricordi del passato, quelli più spensierati e felici dell’infanzia e dell’adolescenza, e tutto ciò che riguarda quei periodi sembra più bello, anche i luoghi, anche quelli - come la nostra vecchia stazioncina - che negli ultimi anni tutti i mezzi di informazione hanno definito con i termini più dispregiativi: buco nero, vergogna della città, zona degradata...

Ed ecco, finalmente che si gira pagina e sotto gli occhi di numerosi e soddisfatti spettatori una parte della nostra città è stata cancellata: il vecchio fabbricato è stato demolito e al suo posto sorgerà un enorme blocco di cemento, metallo e vetro, di cui Rovereto, satura di cattedrali nel deserto, proprio non aveva bisogno. Ed un’altra voragine ci regalerà il sesto o settimo parcheggio interrato, aumentando il traffico e l’inquinamento in pieno centro.

In questi anni ho potuto ammirare diversi progetti e concorsi d’idee relativi al recupero di quell’area, ma nessuno mi è sembrato bello ed armonico come quello degli anni ‘50 dell’architetto Kiniger, elegante e fedele sia allo stile dell’epoca che alla memoria storica del luogo: con pochissime risorse economiche sarebbe stato possibile ripristinarlo, conservando nello stesso tempo tutto lo spazio della piazza, opportunamente pavimentata ed abbellita.

Non voglio esprimere giudizi sul progetto prescelto, di cui non ho visto il plastico ma solo qualche fotografia; potrà anche essere un capolavoro, ma è certo che della piazza resterà ben poco, quasi completamente fagocitata dai fabbricati di destra e di sinistra, per giunta collegati da una struttura-ponte che coprirà, oscurandolo, tutto lo spazio disponibile. Sarà così cancellata per sempre quell’unica finestra su corso Rosmini che svelava, illuminate dalla luce del mattino, le colline circostanti con i colori delle stagioni, mentre, dietro, le cime innevate sembravano un quadro di Segantini.

Ebbene, tutto questo non si vedrà più: avremo un corso oscurato e tetro, ristretto fra un palazzo d’epoca Liberty (opportunamente assassinato qualche decennio fa) ed un fabbricato ultramoderno che nulla, salvo la concorrenza al commercio del centro storico, arrecherà alla socialità dei cittadini e al bisogno di spazi di aggregazione.

Non male per l’Amministrazione delle 10 piazze, la più centrale e importante delle quali ce la siamo già giocata.

I roveretani se ne lamenteranno, come al solito, troppo tardi, accusando tutto e tutti di non aver contrastato decisioni calate dall’alto.

Ebbene, io rimorsi non ne avrò, perché, nel mio piccolo, da semplice cittadina che non conta nulla, in questi ultimi dieci-quindici anni ho fatto tutto il possibile per conservare la nostra piazzetta, sia con vari interventi sui quotidiani locali, sia promuovendo (assieme a Pozzer, Michelotto, ecc.) un referendum popolare, che purtroppo non ha raggiunto il quorum causa la scarsità di fondi, necessari per una efficace pubblicità. È stato comunque chiaro il risultato e l’opinione dei cittadini votanti, che si sono espressi, quasi all’unanimità, per il mantenimento della piazza, libera da inutili e impattanti costruzioni, fra cui quelle demenziali sostenute dalle Amministrazioni dell’epoca (un paio di condomini di 13-15 piani).

A questo punto mi sorgono spontanee alcune domande: le piazze e le strade possono essere considerate terreni ad arbitraria disposizione delle amministrazioni pubbliche, o non sono piuttosto proprietà della città e dei cittadini, che attraverso la fiscalità hanno consentito la regolare manutenzione, l’abbellimento, l’arredo, la costruzione stessa per la fruizione comune?

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