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QT n. 10, ottobre 2015 Servizi

Urbanistica: cambia tutto. Ma sarà poi vero?

Basta con il consumo di suolo, centralità del paesaggio, semplificazione burocratica. Ottime intenzioni e risultati incerti dell’innovativa legge urbanistica dell’assessore Daldoss.

“Una nuova legge sull’urbanistica? Ma per favore!” Non ci meraviglieremmo se un lettore di QT uscisse con questa battuta (e magari neanche iniziasse a leggere questo articolo). Troppo abbiamo scritto - e dimostrato - sulla vacuità degli altisonanti proclami che accompagnano leggi e piani regolatori, che regolarmente poi risultano carta straccia quando il vincolo, la previsione, va ad intaccare gli interessi non solo dei potenti come Isa (avete presente la biblioteca universitaria? Bloccata per anni in commissione urbanistica nonostante le urla e gli strepiti del rettore Bassi e poi approvata in un batter d’occhio quando si è deciso di costruirla in una zona senza senso alcuno, ma dove faceva comodo alla fallimentare maxi-speculazione delle Albere), ma anche dei diffusi piccoli poteri degli immobiliaristi e costruttori ammanicati (il caso dei mostri edilizi sulla collina di Trento, possibili perché in Comune si erano messi in un cassetto gli articoli del PRG che non li permettevano). E tutto questo alla faccia di opinionisti e architetti, che regolarmente aprono patetici dibattiti sul “futuro della città”, al massimo foglie di fico sui più consistenti affarismi che invece disegnano davvero - e malamente - l’aspetto e le funzionalità urbane.

E allora, perché occuparsi di una legge urbanistica? Per partecipare al solito fastidioso bla bla? Per aggiungere un’altra scontata denuncia? Per scrivere sì, però, forse, vedremo...?

L’assessore Carlo Daldoss

Il fatto è invece che la riforma dell’assessore Carlo Daldoss, che ha visto la luce lo scorso 4 agosto, riesce a spiazzare queste perplessità.

Anzitutto perché è stata redatta al termine di un confronto politico e di una partecipazione sociale ampi, e quasi altrettanto ampio è il consenso trovato dalla sua stesura finale.

“È una riforma che cambia tutto- afferma l’arch. Bruno Zanon, docente di Urbanistica all’Università di Trento, uno dei “tre saggi” a suo tempo prima incaricati di redigere il PRG del capoluogo e poi scaricati per scarsa condiscendenza verso la speculazione - Ora, è vero che mentre all’estero del rapporto tra urbanistica ed affari si tiene sempre conto, mentre da noi se ne prescinde e si discute astrattamente di ‘disegno urbano’; però questa nuova legge contiene novità tali da poter cambiare il quadro. Finora i piani regolatori si facevano con il sindaco che assieme a un tecnico decideva quali terreni diventassero edificabili”.

Da qui, aggiungiamo noi, il vero potere del sindaco, quello di poter rendere ricchi alcuni cittadini, e quindi le radici del connubio tra politica e immobiliari. “Ora invece la legge - prosegue Zanon - taglia alle radici questo sistema, dice basta, è finita l’espansione delle città e quindi le trasformazioni dei terreni in edificabili; da ora in poi si lavora recuperando le aree dismesse”.

Sembra una rivoluzione, che cambia le carte in tavola nell’idea di territorio, di città, e nei rapporti tra politica e poteri economici. Ovviamente non è un’idea partorita dalla sola mente dell’assessore Daldoss, ma un’evoluzione nella disciplina urbanistica, che negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con almeno due fenomeni tra loro strettamente connessi: la crisi della città industriale/moderna e l’evoluzione del concetto di paesaggio. Infatti, se per effetto della dismissione di molti dei luoghi della produzione che avevano caratterizzato lo sviluppo industriale, le nostre città si sono riempite di manufatti abbandonati e degradati, d’altro canto l’attenzione per il paesaggio è diventata una condizione imprescindibile anche per l’urbanistica. Un effetto, quest’ultimo, del profondo mutamento apportato dalla Convenzione Europea del Paesaggio, che ha svincolato il concetto di paesaggio da quello di natura/ambiente riferendolo anche - come in fondo è logico - alla realtà urbana. Di conseguenza, l’urbanistica si trova al centro di un processo di radicale rinnovamento, indispensabile in quanto essa, anche a prescindere dalle storture introdotte dalla speculazione, non riesce a stare al passo con i mutamenti sempre più rapidi della società e dei suoi stili di vita, con tutta una serie di conseguenze negative, il consumo di suolo in primis, ma non solo.

Solo che qui la politica nazionale ha finora fatto flop (le vicende legate al DdL sul contenimento del consumo di suolo sono a dir poco parossistiche) e allora gli Enti locali hanno lodevolmente iniziato a provvedere con norme proprie. Lombardia, Toscana, Piemonte, l’elenco delle regioni che hanno già varato una legge per frenare il consumo di suolo, o hanno in discussione un progetto in tal senso, è in continuo aggiornamento. In questo contesto si colloca il provvedimento trentino, che inoltre inserisce tali nuove norme in una legge quadro dell’urbanistica provinciale. Con un ambizioso obiettivo: raggiungere un consumo di suolo pari a zero entro il 2020, addirittura con 30 anni di anticipo rispetto alla tempistica fissata dalla Commissione europea.

È un obiettivo che potrà essere effettivamente raggiunto? La legge poggia su alcuni principi generali: oltre al contenimento del consumo del suolo, la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, l’assunzione di una centralità del paesaggio, la semplificazione delle procedure.

Gli ostacoli

Ma tra il dire e il fare c’è in mezzo, come noto, una distanza spesso scoraggiante, nello specifico gli interessi grandi e piccoli, e una cultura del territorio tutta da innovare. Come è logico, il successo della Daldoss dipenderà essenzialmente da quanto e come essa troverà applicazione, a iniziare dagli strumenti attuativi che dovranno essere prossimamente approvati, e in cui si spera possano essere superate molte delle imperfezioni già rilevate.

Per chiarire alcuni di questi aspetti rimandiamo alla scheda a fondo pagina che illustra alcuni concetti e temi chiave.

Qui sentiamo il giudizio complessivo del professor Zanon (che integriamo con il punto di vista, decisamente più critico, del presidente di Italia Nostra arch. Beppo Toffolon): “Non far più espandere le città, ed attivare interessi che portino in questa direzione (dagli accordi urbanistici alla perequazione, vedi scheda, n.d.r.) non è ovviamente un processo scontato, ma una vera scommessa. Ed è vero che il contenimento dell’uso del suolo non è rigidamente definito. Ma attenzione, le norme troppo rigide rischiano poi di non funzionare. e in ogni caso questo processo si iscrive in una dinamica già in corso, segnata in particolare dalla legge Gilmozzi sullo stop alle seconde case, già operante nonostante diverse proteste; e per inciso si è visto aver avuto anche il merito di graduare la crisi, riducendo per tempo un’attività edilizia fuori misura”.

Se parliamo di applicazione della legge, però, dobbiamo subito fare i conti con il potere politico locale, che finora si esplicava attraverso le concessioni di edificabilità, e ora potrà esercitarsi nel quantificare compensazioni, perequazioni, crediti edilizi, strumenti con cui si cerca di conciliare proprietà privata dei suoli ed interessi pubblici. “Certo, bisognerà valutare i PRG, e anche i singoli passi, anzitutto dal punto di vista ambientale, ma anche da quello dell’equità, chi ci guadagna e chi ci perde - ribatte Zanon - Però ora questo è più possibile: il processo è più aperto, viene esplicitamente riconosciuto il ruolo dei cittadini nelle decisioni ed anche quello di controllo delle associazioni, a cominciare da quelle ambientaliste, che ormai contano e hanno contato anche nella formazione della legge”.

Insomma, al momento la legge Daldoss può essere definita come un caso d’innovazione “imperfetta”. Contiene infatti un’indubbia carica innovativa che dovrebbe inaugurare una stagione di rinnovamento normativo, ma anche culturale. Proprio per questo, al di là delle sue imperfezioni e limiti, la legge abbisogna soprattutto di consapevolezza politica; sulla quale possono esserci dubbi, proprio per la cultura che continua ad essere sottesa ai contemporanei comportamenti della Giunta Rossi - di cui Daldoss pur è autorevole esponente - e di cui parla sotto nell’intervista l’arch. Toffolon.

I nuovi strumenti

Da un punto di vista strutturale la legge si divide in 4 parti: urbanistica, tutela del paesaggio, edilizia e recupero del patrimonio edilizio esistente. Ma quali sono gli strumenti individuati per orientare le trasformazioni in questa direzione? Proviamo a capirne la natura e la loro reale efficacia.

Accordo urbanistico: è un partnerariato tra pubblico e privato che sta avendo una grande diffusione in Italia. Già utilizzato da qualche tempo in progetti o programmi considerati di particolare importanza, nella nuova legge diventa uno strumento ordinario di trasformazione della città. Attraverso tale tipo di accordo le amministrazioni pubbliche (Comuni o Comunità di valle) possono trattare col privato la realizzazione di opere d’interesse pubblico in cambio di una negoziazione delle norme del piano: l’amministrazione pubblica può cedere ai privati la variazione degli strumenti urbanistici in termini di indici e destinazioni d’uso, i privati possono cedere aree, opere, servizi di natura collettiva.

Si tratta dunque di trattative alla luce del sole, che dovranno garantire (assicura l’art. 25 della legge) il rispetto dei principi di proporzionalità, trasparenza e parità di trattamento; per ottenere questo occorrerà mettere a punto un sistema di valutazione, necessariamente parte integrante dell’accordo.

Perequazione e compensazione: sono essenzialmente un’alternativa all’esproprio, come pure mezzi per rimuovere edifici inutilizzati, altrimenti destinati alla fatiscenza. Attraverso di essi s’intende conciliare le aspettative edificatorie dei privati con le necessità di reperire, con costi ridotti, aree a servizio della collettività: ad esempio, per avere un’area per costruire un asilo, oppure per procedere alla demolizione di un rudere, il Comune concede al proprietario una maggiore edificazione in un’altra parte della proprietà o in un’altra parte del Comune. Si introduce così il credito edilizio, un diritto edificatorio, da utilizzare anche altrove e quindi negoziabile, cioè cedibile ad altri soggetti (materia molto delicata, che dovrà essere attentamente normata).

Sistema incentivante per gli interventi di recupero sull’esistente: finalizzato alla riduzione del consumo del suolo e recupero del patrimonio edilizio esistente, prevede incrementi volumetrici del 15-20% per le ristrutturazioni (esclusi gli edifici vincolati e quelli ricadenti nei centri storici).

Cambio di destinazione d’uso: è previsto anche all’interno di categorie funzionali. Da diversi urbanisti viene ritenuto un passo importante verso l’auspicato superamento della rigida suddivisione del territorio comunale in zone a destinazione unitaria.

Osservatorio del paesaggio: ha funzioni di documentazione, studio, analisi e monitoraggio dell’evoluzione del paesaggio trentino; è un luogo di partecipazione in cui ci si aspetta che maturi la cultura, la sensibilità, l’attaccamento degli abitanti al paesaggio, mentre la Scuola per il territorio e il paesaggio svolge funzione formativa permanente.

Comitato provinciale per la cultura architettonica e il paesaggio: dovrebbe essere la vera novità. Nominato dalla Giunta provinciale entro 4 mesi dall’entrata in vigore della legge, e composto (si spera) da professionisti di provata esperienza, ha funzioni consultive nel valutare la progettazione d’interventi pubblici e privati, ed eventualmente proporre soluzioni alternative per migliorare la qualità architettonica e paesaggistica.

Il Fondo per il paesaggio, con il quale in passato sono stati finanziati progetti e ricerche, assume ora un ruolo più diretto di finanziamento di interventi per la riqualificazione paesaggistica e urbanistica. La legge, seguendo un orientamento che sembra si vada affermando in Provincia, individua nella demolizione lo strumento prioritario per riqualificare. Nell’art. 112 è detto chiaramente che la Provincia promuove la demolizione di edifici dismessi e degradati o incongrui attraverso il fondo per il paesaggio. Ci permettiamo di contestare che un edificio degradato, per essere riqualificato debba essere necessariamente demolito. Esperienze in ogni parte del mondo, Italia compresa, hanno dimostrato che la demolizione è solo l’ultima opzione possibile.

Banca della terra: nuova istituzione, un ente di intermediazione in processi di mobilità fondiaria, per permettere l’assegnazione di terreni agricoli in abbandono. La norma è abbastanza vaga rimandando la sua definizione a un’apposita delibera, da cui dipenderà l’efficacia dello strumento.

Semplificazione procedurale. La legge opera una revisione generale di tutte le procedure urbanistiche e paesaggistiche al fine di ridurne i tempi e renderle più agevoli anche grazie alla loro informatizzazione. In particolare ai Piani Territoriali di Comunità (PTC), viene attribuita un’efficacia diretta, per cui non vengono richiesti ulteriori procedure di adeguamento dei Piani comunali (i PRG).

Viene inoltre introdotta un’interessante norma che prevede il coordinamento dei soggetti preposti al rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche. Se su uno stesso intervento sono chiamati a pronunciarsi, anche per profili distinti, più organi di enti diversi, le autorizzazioni paesaggistiche di competenza della Comunità assorbono quelle di competenza del Comune e quelle di competenza della Provincia assorbono le autorizzazioni di entrambi.

Emerge dunque un assetto procedurale nel suo complesso più semplice e con tempi più brevi e - ce lo auguriamo, ma questo dipende da quanto la legge troverà reale applicazione - certi.

Una legge troppo timida

L’opinione di Beppo Toffolon, architetto e presidente di Italia Nostra

Beppo Toffolon

Non le sembra che l’urbanistica sia ridotta a chiacchiera, con le decisioni vere, e quindi lo sviluppo del territorio, affidati più alle convenienze affaristiche che ai disegni teorici?

Condivido solo in piccola parte questa premessa. L’urbanistica è in crisi non tanto per il divario tra le enunciazioni e la pratica, ma per la stessa inconsistenza della teoria: che le chiacchiere producano il nulla è quasi inevitabile. L’urbanistica non è una sovrastruttura della speculazione; questo è un alibi con cui urbanisti e amministratori si tolgono le responsabilità per addossarle a un fantomatico mondo imprenditoriale cospiratore, che esiste, ma come parimenti esistono le responsabilità della stessa urbanistica.

Quindi la legge Daldoss...?

Detto che la trasformazione del territorio non viene fatta tanto con le leggi, ma anzitutto tramite l’iniziativa immobiliare (che rimane imprescindibile) e la generale cultura urbanistica, la legge Daldoss presenta aspetti positivi e altri meno, ma soprattutto contenuti reali che non collimano con le intenzioni e dichiarazioni di partenza.

Vale a dire?

Siamo di fronte a una riduzione vistosa delle ambizioni iniziali. Si doveva dare uno scrollone a normative inadeguate, invece si è fatto poco, anche se quel poco è positivo.

Vediamo nel concreto i temi: basta consumo del suolo, sembra l’obiettivo di fondo.

Doveva essere uno dei cardini. In realtà il risultato finale lascia ampi margini al consumo. Si sarebbero dovute fare due cose che invece non sono previste: anzitutto una ricognizione dei PRG attuali, che prevedono un’amplissima edificazione in zone che sono ancora campagna. Di questa nuova edificazione, che facciamo? Fermiamo il consumo di territorio solo dopo che i PRG hanno esaurito le loro capacità espansive? E poi, si è tenuta la porta aperta a ulteriori espansioni laddove necessità di prima casa o produttive lo richiedessero.

Non è una previsione dettata dal buon senso?

Assolutamente no. Abbiamo consumato suolo al di là di ogni reale esigenza; oggi, all’interno del già costruito o asfaltato si trovano le risposte a qualsiasi bisogno da qui all’eternità. Vediamo i dati: ogni abitante del Comune di Trento consuma circa 182 m², mentre a Bolzano 106, a Milano 69; complessivamente, ogni trentino consuma in media circa 500 m²: vogliamo ancora proseguire con questo spreco? La prima cosa da fare era impedirne di ulteriore, perimetrando gli ambiti urbani, stabilendo il confine oltre cui deve vigere il principio delle costruzioni zero, come si è fatto in Toscana e si sta facendo a Bolzano. Del resto, la perimetrazione degli ambiti urbani la Pat l’ha già fatta, dal punto di vista cartografico, poi però politicamente nessuno ha osato imporla. La legge non la prevede, ed è una carenza fondamentale.

Forse dietro queste carenze c’è una cultura che non considera riprovevole il consumo di altro suolo.

Infatti. Più delle leggi contano la cultura e i comportamenti: e appena varata la Daldoss, che fa la Pat? Decide di spostare il nuovo ospedale in aperta campagna! Ora un ospedale da 600 posti letto non dovrebbe occupare più di 6 ettari, e al Desert era prevista un’area di 16 ettari (e difatti 3 su 4 dei progetti del concorso ne edificavano solo una parte). 16 ettari erano già uno spreco insensato, ma almeno era una zona dismessa. Ora la Provincia cambia localizzazione, motivando lo spostamento proprio col fatto che la nuova area è ancora più grande. Ma così aumenta il consumo di suolo, si sprecano altri 28 ettari di campagna che ha oltretutto una rilevante funzione paesaggistica. Daldoss stesso lo ha detto: dovremmo fare, valle per valle, una sorta di bonifica culturale. Forse si dovrebbe iniziare bonificando la Giunta.

Stava parlando di due cose preoccupanti...

Sì, la seconda è l’idea che il recupero dell’esistente, anziché orientato verso la riorganizzazione e radicale trasformazione delle attuali oscene periferie, finisca invece con l’interessare le parti che andrebbero conservate come i centri storici. Favorendo per esempio l’indiscriminato innalzamento dei sottotetti. Bisognerebbe invece distinguere ciò che va conservato (i centri storici) ciò che va migliorato e risanato (le zone intermedie) e ciò che va demolito e ricostruito (le parti periferiche delle città). Vasto programma, d’accordo, ma non si pretende che venga realizzato a breve, bensì aver chiaro dove si vuole arrivare, altrimenti si può peggiorare la situazione. Ad esempio, una casa degli anni ‘60, brutta, mal posizionata e energeticamente dissipatrice, se la risani dal punto di vista energetico, poi non la sposti più. Di fatto dai un premio perché si consolidino le brutture. In ogni caso, dobbiamo evitare il massacro dei centri storici con ricostruzioni e innalzamenti scriteriati; che per fortuna, attraverso una moratoria, sono stati per ora tamponati.

Altro punto qualificante della legge è il paesaggio.

Argomento molto propagandato, poi però la legge ne disciplina gli indirizzi attraverso i Piani territoriali della Comunità, a cui non vengono affidati adeguati strumenti e nemmeno precise competenze. Di fatto, il paesaggo rimane un problema marginale, affrontato con disposizioni - nel migliore dei casi - orientative. D’accordo, prima eravamo messi peggio, però ora il paesaggio non è certamente al centro di tutto, come si sostiene.