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QT n. 9, settembre 2016 Seconda cover

Il Battisti dimezzato e fascistizzato

La mostra al Buonconsiglio. Ottima la parte sullo studioso, censurata l’attività politica, ridotta ad anelito nazionalista l’adesione alla guerra. Culturalmente un robusto passo indietro.

Francamente sconcerta la mostra su Battisti in corso al Castello del Buonconsiglio. Le premesse sono ottime: la sede, sempre prestigiosa anzi magnifica, qui per di più teatro del tragico finale della vicenda; l’impostazione ben espressa nel titolo “Tempi della storia, tempi dell'arte. Cesare Battisti tra Vienna e Roma”, che spiega subito l’intersecarsi tra documentazione storica e rappresentazione artistica, felice caratteristica della mostra; e parimenti l’intreccio tra Italia e Austria, leit-motiv di una vita, di un territorio, di una guerra.

Erma di Cesare Battisti, opera di Adolfo Wildt (1927)

Diciamo subito che la prima parte della mostra risponde in pieno a queste aspettative: spesso in maniera semplicemente entusiasmante. Il Trentino povero e rurale a cavallo tra ‘800 e ‘900 viene rappresentato soprattutto attraverso la produzione pittorica dei principali artisti trentini e tirolesi dell’epoca (Segantini, Moggioli, Prati, Bezzi, Campestrini, Garbari, Ratini, Depero, von Defregger, Egger-Lienz). Immagini talora oleografiche, con indulgenze all’idillio bucolico, che offrono tuttavia una rappresentazione efficace di un territorio bello ed arretrato. In questo contesto si inserisce il fervore del mondo studentesco cittadino, e l’attività, generosa e frenetica del giovane leader Battisti: attraverso il giornalino scolastico del Ginnasio (oggi Liceo Prati) con l’intestazione “Nati non foste a viver come bruti”; e gli articoli ospitati sul quotidiano liberale “Alto Adige” di durissima critica alla scuola e all’insegnamento (teorico e mnemonico quello delle materie scientifiche, pedante e pretesco quello delle classiche) come all’assenza di studi sulla storia del Trentino. Sono scritti appassionati, financo commoventi (e non fuori luogo tutt’oggi) questi del diciottenne Battisti, presentati in mostra assieme al successivo (1912) splendido stendardo in filo d’argento e velluti della Società degli studenti trentini, inalberante un altro emblematico verso dantesco “Libertà vo’ cercando ch’è si cara”.

Poi gli anni dell’Università, con la contemporanea iscrizione a Firenze e Vienna, e poi anche Torino e Graz: il giovane vuole conoscere, sperimentare, forse non ha le idee ancora chiare su come e dove spendersi. Abbraccerà la geografia, nel senso più ampio, intesa come studio dei luoghi, delle persone, della società: già nel ’98, a 23 anni gli viene pubblicato “Il Trentino – saggio di geografia fisica e antropogeografia”. E’ emozionante vedere il grande lavoro di quegli anni: cartografico, statistico, economico, di (preveggente) promozione turistica, con apposite guide, la collaborazione con il Touring Club Italiano, la partecipazione all’Esposizione internazionale di Milano del 1906, la rivista “Tridentum” sull’arte trentina.

A questo punto la mostra si ferma. Accenna sì all’elezione alla Dieta di Innsbruck e al Parlamento di Vienna, e anche, vagamente, al varo del quotidiano “Il Popolo” e del settimanale “Vita Trentina”. E l’attività politica di Battisti, il socialista, l’agitatore, il promotore di un nuovo Trentino? Sarà nella prossima sala, si dice il visitatore. Ma la sala successiva è dedicata al 1915, alla guerra. Il visitatore torna indietro, pensa di essersi sbagliato, le sale sono localizzate in svariati locali del Castello, anche su piani differenti, ci si rivolge all’addetto “Scusi, ma tra la sala 4 e la sala 5, ce n’è un’altra da qualche parte?”. La domanda non è molto intelligente e l’addetto strabuzza gli occhi. Ci si rivolge a un altro commesso: niente da fare, la mostra è questa.

Martirio di Cesare Battisti, opera di Augusto Colombo (1940)

La cosa ci sembra clamorosa. La parte più importante dell’attività di Battisti, le sue battaglie giornalistiche, politiche, per rendere il Trentino più moderno e meno ingiusto, attraverso articoli, comizi, adunate, interpellanze parlamentari, con lo scopo di far crescere una coscienza popolare, scuotere una borghesia sonnolenta, far capire a Vienna le dure necessità di un’estrema provincia umiliata: tutto questo nella mostra è cancellato. Per cui anche la sua decisione estrema, sulla necessità di abbandonare un impero asburgico lontanissimo quando non sprezzante e quindi ormai nemico, appare del tutto immotivata, anzi non c’è proprio. All’improvviso, dalla sala 4 del Battisti studioso, si passa alla 5 della Grande Guerra, cui lo stesso Battisti aderisce, dalla parte italiana, non si capisce perché, se non spinto da un anelito nazionalista di cui non si vedono i prodromi.

Sembra quasi che i curatori della mostra, dopo l’ottimo lavoro compiuto nelle prime quattro sale, si siano come esauriti, ed abbiano chiuso in fretta e malamente. O, più probabilmente, abbiano deciso di ignorare il Battisti politico, socialista, anticlericale, per timore delle polemiche che anche in questi mesi sono nate copiose attorno alla sua figura e alla sua rievocazione. Se tale motivazione fosse vera (e francamente non ne vediamo altre, oltre all’ictus dei curatori, che non ci risulta) questa sarebbe una triste pagina delle nostre istituzioni culturali, già troppo normalizzate attraverso le continue nomine politiche di scialbi yes-men.

E d’altronde continuiamo in ogni caso a non capire il senso culturale di una tale decisione: se si ha paura degli autonomisti più integrali, perché si celebra Cesare Battisti come nazionalista (come non era) invece che come convinto autonomista, che sperava che nella nuova Italia le istanze trentine potessero avere più ascolto che non nel consunto impero austroungarico?

La mostra poi fa ancora di peggio. Ormai imboccata la strada nazionalista, dipinge la guerra con taglio bellicista, esponendo opere guerrafondaie, come quelle dinamico-interventiste di Depero, Balla, Bucci e Bonazza, o quelle dei Kriegsmaler, pittori di guerra che descrivono con taglio realista (o presunto tale) eroiche azioni belliche. In tutte le decine e decine di quadri esposti, due soli sono antimilitaristi, gli altri sembrano (e alcuni senz’altro lo sono stati) commissionati dagli Stati maggiori.

Paesaggio guerresco. Esplosioni giallo e nero e tricolori, opera di Fortunato Depero (1916)

E qui non ci siamo proprio. La cultura trentina sembra fare un passo, un balzo indietro. Perché la guerra è ben altra cosa; e soprattutto quella del ‘14-‘18, che ha portato i massacri a livello industriale, che ha fatto vivere nelle trincee i soldati a livello subumano, che ha risucchiato ogni risorsa portando, attraverso carestie ed epidemie, ad un drammatico crollo demografico della popolazione civile, che ha scontato un totale scollamento, un odio profondo tra governanti e governati con la conseguente implosione di quattro imperi, la rivoluzione russa, la nascita di nazismo e fascismo. Gli storici trentini in questi anni hanno dato un grande contributo, a livello nazionale e anche internazionale, a studiare e valutare tutto questo, scoprendo, pubblicando, vagliando, lettere, diari, canzoni di soldati e civili. E ora si torna a rappresentare la guerra attraverso l’estatica ammirazione dei futuristi o le celebrazioni delle eroiche imprese degli arditi?

Intendiamoci, ci sono stati anche questi fenomeni culturali, ed è giusto, anzi doveroso, renderne conto. Ma limitandoli e recintandoli. Altrimenti è come fare una mostra su Auschwitz in cui non si mostrano le cataste di morti, ma le vignette antisemite della propaganda nazista.

E d’altronde, su come fare una mostra sulla guerra, e in particolare sulla Grande Guerra, iconograficamente ricca e rispettosa dei valori umani, lo abbiamo già visto due anni fa al Mart (“La guerra che verrà non è la prima 1914 - 2014”); e lo scorso anno proprio al Buonconsiglio, "L'Europa in guerra. Tracce del secolo breve", dal carattere dolente, sofferto, duramente antimilitarista pur esponendo disegni di artisti militanti e militari.

Presa invece la strada nazionalista, l’attuale mostra del Buonconsiglio prosegue imperterrita. E ci spiattella senza battere ciglio (a parte qualche troppo tenue, minimale presa di distanza nei pannelli esplicativi) la strumentalizzazione che il nazionalismo in genere e il fascismo in particolare hanno fatto del Battisti, con le volitive rappresentazioni, scultoree e monumentali, dell’”eroe” e del “martire”.

Anche qui, pagine, libri, convegni sono stati spesi, soprattutto in Trentino, per analizzare criticamente la monumentalistica post bellica, portando il lume della ragione a interpretare e smascherare le manipolazioni patriottarde. Oggi possiamo vedere gli splendidi film di Leni Riefenstahl sui congressi nazisti, le parate magistralmente coreografate da Goebbels ben sapendo scindere la genialità degli autori dalla loro potenza manipolatoria e ancor più dalle atrocità del messaggio. E analogo lavoro hanno fatto i nostri storici, su materia meno eclatante ma a noi più prossima, come ad esempio i monumenti ai caduti.

Di tutto questo la mostra nulla sembra sapere, e soavemente confonde la sofferta personalità, profondamente politica, di Battisti, con la stolta immagine dell’eroe nazionalista, guerrafondaio e fascista, appiccitatagli addosso nel ventennio nonostante le pubbliche rimostranze, ad esempio, della moglie.

Ci dispiace scrivere queste parole. Ma questa mostra, che pur evidenzia nei curatori capacità espositive decisamente notevoli, rappresenta un balzo indietro, rinnegando importanti acquisizioni culturali, su Battisti e sulla guerra, che si pensava potessero essere date per acquisite.

Né ci si venga a dire che le questioni da noi poste sono (in parte) affrontate nel catalogo della mostra. Molto bello, ma imponente (570 pagine a grande formato) e costoso, verrà letto dagli addetti ai lavori. E una mostra non la si fa per loro.