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QT n. 9, settembre 2016 L’editoriale

Arretramento

15 agosto, Folgaria. Il sindaco Walter Forrer pronuncia il tradizionale discorso in commemorazione dell’eccidio nazista dei partigiani di Malga Zonta. Ma non è una commemorazione, bensì (ci si perdoni il termine) uno sputtanamento. Il sindaco mette in dubbio le ricostruzioni storiche dell’episodio, risollevando perplessità (effettivo numero dei morti, attendibilità delle fotografie) da tempo ampiamente dissolte in svariate pubblicazioni, che a lui evidentemente non bastano (occorrerebbe infatti “una puntuale ed esaustiva ricostruzione storica, che faccia chiarezza sulle zone d’ombra che questo episodio ancora presenta”). Sottolinea la non-folgaretaneità delle vittime, e anzi rivendica che i folgaretani veri si siano “tenuti per gran parte estranei alla lotta sul campo”; e questo non per pusillanimità, figurarsi, ma per “il sentimento folgaretano nei confronti del mondo transalpino” cioè a Folgaria si è stati tiepidi verso la Resistenza perché i tedeschi sono più simpatici, anche quando nazisti. La ragione di queste bestialità? Il sindaco (di recente iscrittosi al Patt) sembra voler prendere le distanze dalla precedente amministrazione (di centro sinistra) e quindi dalla ricorrenza “troppo spesso strumentalizzata e utilizzata politicamente a livello locale” e quindi “occasione di palcoscenico per i politici”. Il nostro quindi, per sparare sui suoi predecessori Olivi, Rella ecc, non trova di meglio che delegittimare le vittime partigiane e la Resistenza stessa.

Vabbè, si dirà, il sindaco di Folgaria è un sommelier... Ma andiamo avanti.

12 luglio – 6 novembre, mostra su “Cesare Battisti tra Vienna e Roma” al Castello del Buonconsiglio. Ne parliamo in "Il Battisti dimezzato e fascistizzato". Sintetizzando, nella mostra (che peraltro ha una prima parte molto bella) viene censurata tutta l’attività politica di Battisti e gran parte di quella giornalistica, l’uomo ne esce immiserito, ridotto ad acceso nazionalista, irredentista ed italiano per non motivato partito preso, cui ben si attaglia il profilo bellicista e fascistoide che il ventennio gli ha poi affibbiato e consegnato ai posteri. In realtà, in linea con i sentimenti della moglie, del figlio e della figlia, dal dopoguerra e soprattutto negli ultimi trent’anni si sono effettuati studi a bizzeffe sulla effettiva attività, di politico e di studioso, di Battisti, in cui la secessione dall’Impero austriaco è l’ultimo approdo dopo infinite battaglie per la modernizzazione del Trentino, sempre arenatesi per l’ottusità del governo imperiale alleato al conservatorismo della borghesia trentina. E ancora: la mostra ci illustra una Grande Guerra di eroi ed immaginifiche imprese epiche. Eppure in questi anni la si è più correttamente studiata come un immane disastro, umano, sociale, politico; e peraltro così la si è presentata in altre mostre.

Insomma: a cosa servono gli studi, le acquisizioni della cultura, se poi si torna sempre indietro? E si torna a dare, di Battisti e della guerra, vetuste interpretazioni, retoriche e belliciste, fasulle e al contempo le mille miglia lontane dalla sensibilità della popolazione?

Ultimamente abbiamo visto ulteriormente incrementato il pessimo vizio di inzuppare musei ed enti di ricerca di yes-man e vecchi brontosauri della politica. Che questi brutti scivoloni ne siano uno degli effetti, non ci stupisce. Però ci allarma.

È dalla primavera a tutta l’estate che avanzano due fenomeni, distinti, che qui leggiamo in parallelo. Da una parte lo sconcertante annuncio austriaco della barriera al Brennero in funzione anti-migranti. Dall’altra il trascinarsi dei lavori istituzionali dell’Euregio, la regione “transfrontaliera” Tirolo-Sudtirolo-Trentino. È evidente che le due cose sono antitetiche: non possono esistere robusti progetti comuni tra i tre land, se in mezzo c’è una frontiera, per di più barrierata e militarmente presidiata. Entrerebbe in difficoltà lo scambio e il passaggio delle merci, figurarsi i vari progetti, per la verità ad oggi solo vagheggiati, per comuni politiche ambientali, dei trasporti, del turismo, dell’istruzione universitaria.

Cosa succede a livello di Euregio? Come hanno duramente rilevato entrambi i redattori politici de L’Adige e il Trentino, Luisa Patruno e Paolo Mantovan, non è successo praticamente niente. I presidenti di Tirolo, Sudtirolo, Trentino, hanno elevato solo flebilissime proteste, l’Euregio è andata avanti con il suo attuale burocratico tran tran, fatto di qualche riunione e di pochissima sostanza.

Dei vari Rossi, Platter, Kompatscher, è prevalsa l’indole al realismo, per cui hanno pensato bene di non irritare il governo austriaco, confidando che un problema gravido di significati e di conseguenze come quello del confine del Brennero, trovi soluzione altrove, a Roma e Vienna, o magari a Bruxelles e Berlino?

Certamente. Ma tale risposta implica una conseguenza: che dell’Euregio ai nostri non interessa un bel niente, se non come baraccone per sistemare qualche sottopancia, e poco più. E più in generale, di un comune agire dei tre (per iniziare) territori alpini, per far sentire a livello più alto le esigenze della montagna, in realtà seriamente non si parla. Ognuno per sé, e tre ceri alla Madonna, che orienti al meglio le politiche internazionali.

Anche qui, come nei casi precedenti, c’è un preoccupante arretramento culturale. Riteniamo che la successione di questi tre casi, pur riguardanti ambiti e scale diverse, non sia fortuita, ma possa indicare a cosa porti una politichetta che ha perso il proprio orizzonte.