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QT n. 2, febbraio 2017 Monitor: Cinema

“La La Land”

Un musical per sognare di Damien Chazelle

Tu ti siedi, il film inizia e dici “Ecco qua…”. Lo sapevi, è un musical, quindi giusto che ti becchi l’iniziale coreografia collettiva di giovanile vitalistico positivo ballo e canto sull’assolata e intasata autostrada di Los Angeles. Scattano i collegamenti e pensi subito a “West Side Story”. Cambia la metropoli, si passa dalla notte al giorno ma lì siamo. Passi, musiche, costumi, colori: bellissimo! Ma un po’ temi. Tutto così?

“La La Land”

Poi c’è la storia. Due giovani: lui è un pianista che ama profondamente il jazz e sogna di aprire un locale per continuare a farlo vivere tra la gente, dare spazio a colleghi e appassionati. Nella realtà fa pianobar in ristoranti che impongono jingle natalizi d’intrattenimento. Lei fa la cameriera nella caffetteria di uno studio hollywoodiano e ambisce alla carriera d’attrice, per rispettare una vocazione, un patto contratto da bambina. Insomma, hanno una missione nella vita. Ma si incontrano (o meglio scontrano) e, dopo le schermaglie iniziali di prassi, si piacciono. Quindi si amano, ma poi si separano per seguire le proprie ambizioni, realizzare carriere e sogni artistici. Ci riescono ambedue, separatamente. Ma è stato giusto così? Cosa hanno perso? Come sarebbe stata la vita se avessero fatto una scelta diversa e provato a stare insieme?

C’è dell’amarognolo, della malinconia che coinvolge e ben bilancia un film, altrimenti esplosione di vita, bellezza, sogno, colore, passione, arte. Un’esile profondità che ci porta a confrontarci, a riflettere sui percorsi della nostra vita, sulle nostre scelte nell’antitesi: tenere e sacrificare, individualismo e coppia/famiglia.

È strano e bello questo spessore in un’opera altrimenti meravigliosamente bidimensionale. Perché il film è un grande omaggio a Hollywood e al jazz, pieno di riferimenti e citazioni in tutto l’arco di fantasia creativa che va da “Cantando sotto la pioggia” a “Mary Poppins”, fino a “Un sogno lungo un giorno” di Coppola.

Il classico che si riproduce e si rinnova tra coreografie collettive, duetti di tip-tap, balletti aerei e numeri musicali con assoli di piano, brani funky da concerto, quintetti jazz. Le musiche funzionano, pur non presentando nessun brano strepitoso e memorabile, danno ritmo alle sequenze, sono godibili, a servizio del canto, dei testi, della storia. Niente è pretestuoso. Poi nella canzone/provino “Adition (The Fools Who Dream)” di Emma Stone succede qualcosa di speciale. Quasi niente in verità. È solo una canzone struggente sul coraggio, i fallimenti, l’osare per i sogni e quel minimo di follia per affrontare la realtà. Rischio di retorica a palla. Eppure riprese, immagini, musica, interpretazione, voce, testo si fondono tutti in una cosa così semplice, bella e sentita che si rimane veramente affascinati, coinvolti e sospesi in un micromondo altro per un micromomento.

Se questo è il massimo, il resto è comunque un gran piacere cui lasciarsi andare per farsi portare nel mondo della grande tradizione della finzione hollywoodiana. È tutto perfetto, è già tutto classico, eppure non c’è niente di furbetto e stucchevole. È come un grande abbraccio regalato a un mondo che si è sempre amato, fin da quando da bambini siamo entrati nel primo cinema e ci siamo immersi nel grande schermo. Bandito il cinismo sì, ed è giusto così, non manca però l’ironia e una punta di amarezza.

Comunque bravissimi i protagonisti Emma Stone e Ryan Gosling, che certamente pochi avrebbero visto nelle rispettive parti. Ma sono bravi tutti: attori, musicisti, scenografi, coreografi, costumisti, sceneggiatori. Tutti. Non c’è altro da dire, c’è solo da andare a vederlo, perché dobbiamo continuare a essere un po’ pazzi e sognare, anche solo i sogni degli altri a Hollywood.

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