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È fascista? Embè?

L’avventura istituzionale di Marika Poletti finita per una foto che mostra una svastica tatuata su una caviglia

Marika Poletti

L’avventura istituzionale di Marika Poletti quale responsabile dell’Ufficio di gabinetto dell’assessore provinciale Mattia Gottardi, è morta sul nascere per opera essenzialmente del sig. Alessandro Giacomini, che il 2 marzo, in una lettera ai giornali, riporta alla luce una fotografia in cui la Poletti mostra con orgoglio una svastica tatuata su una caviglia. Poi è la volta di un video in cui un’allegra brigata di camerati in pullman, tra cui la Nostra, intona allegramente: “C’era un ragazzo/ della Wermacht/ che si divertiva a giocare con me/ Qual era il gioco/ non te lo dico/ ogni mattina spariva un amico/ Là dove c’era il Belgio ora c’è/ il Terzo Reich”.

All’indignazione di vari esponenti della sinistra, lei replica: “Non è una svastica nazista, ma la conclusione del ciclo delle Rune del canto di Odino. Ne ho altre 12 da un’altra parte e 24 da un’altra ancora” (Ma è un caso che si sia fatta fotografare proprio con quella, che è pari pari una svastica?). Quanto al video, a difenderla ci prova il forzista Giorgio Leonardi: “Credo che si debba capire in quale contesto è stato fatto quel video. Bisogna vedere quanti anni fa è stato fatto e se è lo ha fatto pensandoci o se è stata una goliardata”.

Ma le proteste continuano e alla fine la Poletti molla (o più probabilmente la mollano), lasciandoci - a mo’ di testamento spirituale - un confuso e rancoroso post di cui riportiamo soltanto la fiera conclusione: “Per il Trentino si deve pretendere il meglio e so che ne siamo capaci. Rodolfo (Borga, n.d.r.) ha fortemente voluto Mattia (Gottardi, n.d.r.), ha voluto tutti noi come dei sani e capaci innesti in una pianta che doveva rinforzarsi per far fronte a quanto gli verrà chiesto. Agli altri - amabilmente incastonati in tutte le realtà, interne, vicine o lontane dalla mia - un solo augurio: di avere la sventura di divenire umani per un sol attimo, il tempo di saper provare vergogna”.

Ora, fingiamo pure di credere alla storia del canto di Odino e ammettiamo che quel coro fosse una innocua intemperanza giovanile. Resta il fatto che la Poletti era stata, fino a pochi mesi prima, presidente provinciale di Fratelli d’Italia, un partito da cui una lista civica, per quanto di centro-destra, dovrebbe mantenere qualche distanza. Ma c’è di peggio: eloquenti tracce della sua ideologia emergono da quanto lei stessa scrive, su “La spada di Damocle”, mensile di Fratelli d’Italia, e soprattutto sui social. Tutta roba degli ultimi due anni.

C’è la celebrazione del Duce quale istitutore della festività del Ferragosto, con l’aggiunta: “Ma fece di più: promosse fortissimi sconti per i treni tanto da permettere per la prima volta alle famiglie italiane di conoscere le nostre città d’arte”. C’è l’indignazione perché la strage di Bologna è stata ingiustamente addebitata ai fascisti: “...colpevoli di comodo... trame inventate... la solita storiella accomodante e superficiale”.

E ancora: “Più che dei soldati tedeschi, in Italia dovremmo ricordare quello che hanno fatto gli Alleati, tra marocchinate e Cassino”. “Un comitato di liberazione servirebbe per toglierci dalle spese gente come la Boldrini... figliocci dei traditori del passato”. Oltre a diversi post, meno esplicitamente fascisti, ma comunque esalati da quella stessa ideologia (“Vi è un fortissimo legame, una sorta di parallelismo, tra la situazione in cui viviamo e la caduta dell’Impero Romano”).

Non mancano, infine, i contatti con la destra estrema. Alla presentazione dei candidati alla Camera di FdI - fra cui la stessa Poletti - alle elezioni del 4 marzo 2018, fu invitato l’allora leader di Forza Nuova Numa De Masi, mentre per le successive elezioni provinciali, sui giornali si parlò addirittura di una sua candidatura con Casa Pound, in questa singolare alternativa: “Nelle ultime ore girano alcune voci che la vedrebbero vicina alla candidatura con CasaPound, oppure nella lista di Borga Civica Trentina”. Poi non ci fu nessuna candidatura, ma quando in agosto la Poletti abbandonò il partito della Meloni, scelse la Civica, anche se il suo cuore, presumibilmente, batteva dall’altra parte. Una decisione comprensibile: al momento, Casa Pound non offre grandi prospettive. E altrettanto ovvio è perché la Civica l’abbia accolta, incurante del suo profilo ideologico, e poi l’abbia promossa ad un incarico istituzionale: una (ex) leaderina provinciale di un partito del 3% e con qualche centinaio di follower può sempre far comodo. E, come cantava Guccini, “a culo tutto il resto”.

In un tempo remoto, per iscriversi al Partito Comunista occorreva essere “presentati” da un tesserato che fungesse da garante sulla correttezza ideologica dell’aspirante. Un’idea burocratica, ma forse non insensata.

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