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QT n. 2, febbraio 2020 Servizi

Bettino Craxi: spregiudicato e anticomunista

Un personaggio di grande rilievo, latitante ed oggi beatificato, descritto da chi visse ai massimi vertici quella controversa pagina di storia italiana

Bettino Craxi

Bettino Craxi è stato certamente un personaggio di grande rilievo. Basti pensare che è riuscito a essere capo del governo per numerosi anni (più a lungo di lui credo lo sia stato solo Berlusconi), pur disponendo di una cifra elettorale mai superiore al 14%, prevalendo in una coalizione a larga maggioranza democristiana. Era abilissimo a sfruttare il “potere di coalizione”, cioè di ricatto, che gli derivava dal fatto di essere determinante per formare la maggioranza.

Aveva anche avuto la capacità di circondarsi di collaboratori intelligenti come Claudio Martelli, Gianni De Michelis, Giuliano Amato, e di formare un collettivo attorno a un nucleo culturale che rompeva con gli schemi di una tradizione invecchiata. Aveva però due vizi di origine che sono infine risultati incontenibili e contagiosi, fatali nei loro effetti devastanti.

Il primo era il suo viscerale anticomunismo. Ricordo in proposito due episodi. Eravamo a Strasburgo, ove io mi trovavo per una seduta del Parlamento europeo ed egli, che allora era solo segretario della Federazione socialista di Milano, era venuto con una delegazione a far visita alle istituzioni europee. Fu così che, dopo la giornata di lavoro, la sera ci recammo in compagnia a cena in un ristorante. La conversazione fu inevitabilmente politica e finì per trasformarsi in un acceso dibattito fra me e lui sul problema dei rapporti con il Partito comunista italiano, che era secondo lui la personificazione del male.

Qualche anno dopo, quando intanto era divenuto segretario nazionale del partito, durante una pausa dei lavori, mi rivolse con malcelata invidia una domanda rivelatrice: “Ma come fate voi in Trentino a prendere più voti dei comunisti?”. Infatti, solo in Trentino il Psi primeggiava nella sinistra. Questa domanda tradiva la sua fissazione: nemico era il Pci. Non aveva capito che, nella prassi politica, il Partito comunista italiano era in realtà una formazione socialdemocratica.

Lo aveva capito Mitterrand in Francia, ove il Partito comunista era persino più stalinista di quella italiano; nonostante questo, Mitterrand basò la sua strategia su un’alleanza con i comunisti, a egemonia socialista, che risultò vincente.

Craxi al contrario basò la sua strategia su un’alleanza con la Dc contro i comunisti. È vero che i comunisti italiani cooperarono anch’essi perché si affermasse una tale linea di rottura a sinistra. Ma in questa scelta strategica, radicata nelle profonde convinzioni di Craxi, sta l’origine della degenerazione che ne seguì.

Craxi aveva un altro fatale vizio: la smodata spregiudicatezza nella gestione del potere. Donde derivò il malcostume di “Tangentopoli” che finì per determinare la stessa fine del Partito socialista.

Un tempo “socialista” era una parola sinonimo di “galantuomo”. Con Craxi diventò un termine denigratorio, ricorrente in tante barzellette sulla corruzione politica.

Bettino Craxi con Enrico Berlinguer

Il 4 ottobre del 1981 Repubblica e altri quotidiani pubblicavano un appello firmato da 17 membri del comitato centrale (io ero fra questi) rivolto ai militanti socialisti per esortarli a insorgere contro la degenerazione affaristica e autoritaria in atto nel partito. Vi si ricordavano scandali insabbiati, contiguità con Calvi e la P2, il pretestuoso attacco mosso dai dirigenti del partito alla magistratura milanese, il verticismo personalistico instaurato in tutte le sue sedi, anche periferiche, che soffocava ogni democrazia interna. Tra i firmatari c’erano Tristano Codignola, Franco Bassanini, Paolo Leon, Enzo Enriques Agnoletti, Elio Veltri, Giunio Luzzatto.

Il 6 ottobre, nel primo pomeriggio, mi fu recapitato a Riva un telegramma che mi convocava a Roma per le ore 18 dello stesso giorno per difendermi davanti alla commissione centrale di controllo dall’accusa di “adesione a iniziative scissionistiche”.

Il telegramma era firmato da Antonio Natali, presidente della menzionata commissione. Era stato uno dei primi a essere indagato per storie di tangenti, e fu fatto eleggere senatore da Craxi per munirlo dell’immunità parlamentare.

Tale personaggio, nella stessa giornata, decretava la nostra espulsione dal partito. Conclusione più che naturale, posto che noi 17, esigua minoranza, eravamo diventati ormai un corpuscolo estraneo in un organismo che dei valori etici della politica aveva fatto scempio.

Fondammo la Lega dei socialisti, lanciando la prospettiva dell’alternanza di governo. Ma ebbe breve vita, perché due mesi dopo, il 12 dicembre del 1981, moriva Tristano Codignola, “Pippo”, che ne era stato il più autorevole animatore.

Fu la fine della mia militanza nel Partito socialista, ma purtroppo fu anche, di lì a poco, la fine del partito medesimo, che pure era stato un glorioso protagonista del riscatto dei lavoratori, della conquista della Repubblica e della democrazia italiana.

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Renato Ballardini, è stato deputato socialista per cinque legislature, vicepresidente del PSI e del Parlamento Europeo, come pure redattore di Questotrentino..