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QT n. 2, febbraio 2020 Servizi

I fitofarmaci fanno male? Meglio non saperlo.

Così la Giunta provinciale ha fermato un programma che si proponeva di monitorare lo stato di salute della popolazione più esposta a queste sostanze.

Alessandro Dal Ri

Riavvogliamo il nastro. Nel 2015 il Consiglio provinciale aveva approvato una legge per attivare un “programma di monitoraggio delle condizioni di salute delle popolazioni esposte ai fitofarmaci”, strumento che prevedeva una collaborazione continuativa con l’Istituto superiore di sanità e l’Azienda provinciale per i servizi sanitari. Un monitoraggio ambientale, anche attraverso prelievi su campioni di popolazione, che sarebbe dovuto durare 5 anni, con un finanziamento complessivo di 888 mila euro a carico della Provincia di Trento.

Nel 2018 l’Unione Europea ha iniziato il processo per la messa al bando (che avrà luogo nel 2020) del Clorpirifos, un agrofarmaco utilizzato per difendere le coltivazioni dai lepidotteri che sarebbe tra le poche sostanze attive efficaci nei confronti della cimice asiatica. Questo pesticida, segnalato come ‘‘moderatamente pericoloso per l’uomo’’ dall’Organizzazione mondiale della sanità, è stato collegato da numerosi studi scientifici a danni neurologici, anche gravi, specialmente ai cervelli in fase di sviluppo dei bambini. In tutta risposta, la Provincia di Trento ha deciso di inserire comunque questo discusso agrofarmaco nel “Piano provinciale”, indicandolo come “il perno della strategia di contenimento della cimice asiatica”. Una scelta dettata dalla comprensibile agitazione degli agricoltori e dalla mancanza di alternative immediate.

Nel dicembre scorso l’ultimo atto: stop da parte di Segnana al programma di monitoraggio: “Lo studio è troppo concentrato sulle aree vocate a meleto” la motivazione della assessora leghista.

Il Trentino, dopo il Veneto, è la realtà italiana col più alto livello di principi attivi utilizzati per ettaro di superficie agricola. La coltivazione intensiva di mele, del resto, è tra quelle che in assoluto più necessitano di trattamenti e rappresentano una delle realtà economiche più importanti della nostra provincia. È chiaro quindi come l’equilibrio tra competitività delle nostre mele sui mercati, e il limitare le conseguenze negative dell’uso di fitosanitari, sia stato difficile da trovare negli anni ed ancora oggi sia lontano dall’essere raggiunto. Una cosa tuttavia è certa: non è accettabile che la salute delle persone e la tutela ambientale siano messe così ai margini nei ragionamenti di chi ci governa.

Mancano visione e programmazione

Per affrontare una situazione così complessa, dove in gioco ci sono, da una parte la tenuta economica di un intero sistema e dall’altra il diritto basilare dei cittadini di vedere tutelata la loro salute e il territorio, serve alzare lo sguardo e fare uno scatto in avanti. Su due filoni, che devono tenersi assieme.

Il primo è il progresso costante delle tecnologie utilizzate nel campo agricolo, sui cui il Trentino potrebbe essere molto più coraggioso e innovativo, rappresentando una avanguardia sperimentale nell’utilizzo dell’agricoltura di precisione e della Smart Agricolture, lavorando così per abbattere l’enorme mole di fitosanitari dispersi nell’ambiente e ottimizzandone l’utilizzo, anche grazie ad un intelligente accesso a fondi europei. Parallelamente occorrerebbe spingere nella direzione dell’agricoltura biologica e biodinamica, che affiancate alla lotta integrata rappresentano oggi non solo un modo per ridurre l’impatto negativo delle monocolture, ma anche una straordinaria opportunità di mercato, visti i numeri che certificano la crescita tumultuosa del mercato del bio, sia in Italia che all’estero.

Invece, nessun passo viene mosso, in alcuna di queste due direzioni, da parte della giunta provinciale, che va quindi indietro rispetto alla già timida e poco incisiva politica agricola delle amministrazioni precedenti. Va indietro con la cancellazione dei controlli sulla salute e con un appiattimento totale sulla semplice conservazione dell’esistente, con una delega completa a fare evolvere il settore agli agricoltori. Una scelta pericolosa, oltre che per la nostra salute, anche per la tenuta del sistema produttivo e per la capacità di stare sul mercato. Per informazioni, basta chiedere ai contadini: il margine per la vendita di mele è in calo da anni.