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QT n. 4, aprile 2020 Cover story

Noi e loro

L’insegnamento di questa ennesima epidemia: rivedere il nostro rapporto con le altre specie.

Ivana Sandri - etologa

Ogni tanto i libri ritornano: stavolta è toccato a “La peste” di Albert Camus. Cosa può avere da spartire con l’attuale pandemia? Non è difficile trovare le analogie con l’attualità. Perché in un tempo indeterminato (194...) la città di Orano vede dilagare un mostro erroneamente creduto ormai relegato ad un lontano passato, mentre le porte vengono sbarrate e gli abitanti cercano di sopravvivere faticosamente, in un groviglio di emozioni. Ma che si chiamino peste o Coronavirus, altro non sono che zoonosi (malattie infettive che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo: direttamente, tramite contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni, oppure indirettamente, tramite altri organismi vettori o ingestione di alimenti infetti) che ci arrivano dagli animali e che mettono sotto accusa il nostro rapporto con essi.

Molte malattie infettive umane emersero con l’avvento dell’allevamento in comunità divenute stanziali, a causa della stretta vicinanza fra uomo e animali che favorì il salto di specie, da animale all’uomo. Emblematico in tal senso è il virus del morbillo, che originò dal virus della peste bovina e che passò all’homo sapiens quando questi addomesticò il progenitore dei bovini moderni.

Con l’industrializzazione e la crescente richiesta di carne, l’allevamento mutò ancora, passando da estensivo ad intensivo, con gli animali stipati in spazi che si riducono continuamente, costretti in condizioni sempre più innaturali, mentre nei mattatoi si macella a ciclo continuo, con ritmi e modalità da cui trasse ispirazione il magnate americano Ford per organizzare le catene di montaggio dell’industria automobilistica.

La concentrazione abnorme di animali, spesso in situazioni di scarsa igiene, costretti al contatto perdurante con il proprio sterco, immersi nei miasmi degli escrementi, altera l’equilibrio che permette a batteri e virus di vivere sui propri ospiti senza comprometterli. Mentre gli uomini vivono sempre più a stretto contatto con molte specie animali, sia domestiche che selvatiche, anche a causa dell’invasione e distruzione dei loro habitat. Non per nulla l’ultima zoonosi nasce nei “mercati umidi” della Cina, mercati all’aperto dove animali domestici e selvatici vivi (mammiferi, pollame, pesci e rettili) vengono stipati assieme, immersi nel sangue e negli escrementi, finché vengono scelti dagli acquirenti e macellati sul posto.

Sono molte le zoonosi con cui abbiamo dovuto fare i conti in tempi recenti: dal morbo della mucca pazza ad Ebola, dall’aviaria all’influenza suina, per citarne solo i più noti, cui si aggiungono le morti per antibiotico-resistenza, dovuta anche al consumo di prodotti alimentari provenienti da animali che - a causa delle innaturali condizioni di detenzione - devono venire protetti farmacologicamente da malattie altrimenti prevedibili.

Timori eccessivi? Forse no, se Ilaria Capua, veterinaria, la virologa italiana più rispettata a livello internazionale, dice che “il problema è il displacement degli animali dal loro habitat naturale, correlato anche ad altri fattori come la crescita delle megalopoli e della sporcizia”, ribadendo che è necessario rispettare di più la natura.

Se negli ultimi decenni quasi tre quarti di tutte le epidemie che hanno colpito l’uomo provengono dagli animali, dobbiamo rivedere il nostro rapporto con le altre specie, nel senso della tutela della biodiversità e dell’ambiente: se non per altruismo, certamente per la nostra stessa egoistica salvaguardia.