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QT n. 5, maggio 2021 L’editoriale

Il Trentino, la ‘ndrangheta, il capolarato

Minimizzazione delle presenze mafiose e accettazione del caporalato: la stessa deriva culturale

La mafia non esiste” si è detto e ripetuto per anni in Sicilia. Anche contro le evidenze. Beh, sono siciliani, che volete farci, sono meridionali, borbonici, familisti, non hanno alcun senso delle istituzioni. Noi trentini siamo di un altro pianeta: settentrionali, asburgici, nel Dna abbiamo il senso della comunità, del volontariato sociale, delle Carte di Regola, della gestione collettiva di boschi e prati.

E invece: “non si tratta di mafia” si dice oggi, sempre più insistentemente, a proposito del coacervo di intimidazioni, violenze, sopraffazioni rivelate dall’Operazione Perfido. “Non si tratta di mafia”, contro ogni logica, contro palmari evidenze, come spieghiamo - senza peraltro voler anticipare sentenze giudiziarie - nella nostra coverstory. Perché attecchisca un discorso del genere, così distorto, e non venga subito recisamente respinto, occorre un humus culturale. Una disponibilità all’accettazione del sopruso (tanto, riguarda gli altri: operai cinesi analfabeti, oppure piccoli imprenditori che non sanno farsi valere); una tendenza a minimizzare per amore del quieto vivere; un vistoso appannamento del concetto di legalità. Tale deriva culturale, questo impoverimento etico, li si possono trovare anche nelle pieghe del secondo caso che trattiamo: quello dei giudici “cari amici” di indagati per associazione mafiosa.

Perché oltre ai magistrati, scopriamo che i “cari amici” sono tanti, troppi, al di fuori del palazzo di giustizia, perfettamente indifferenti alla gravità delle accuse, soprattutto se l’indagato è un potente. E scusate, ma allora, qui siamo in piena Sicilia.

Il punto è che il Trentino si trova a dover fronteggiare novità sociali dirompenti, rispetto alle quali è, inaspettatamente, impreparato.

L’abbiamo visto con l’immigrazione. Una parte della popolazione, di fronte al diverso, ha smesso di ragionare: ha buttato a mare secoli di tradizioni solidaristiche, affidato il governo a un leghista che si è sentito in dovere di fare il duro con i più deboli tra i deboli.

In questi giorni apprendiamo che c’è chi da queste situazioni si ritaglia un personale, miserabile tornaconto: nelle campagne è spuntato il caporalato. Come peraltro successo con la riduzione in schiavitù nelle cave.

Il Trentino è ancora solidale?” ci eravamo chiesti alcuni mesi orsono. Forse dovremmo essere più pesanti: il Trentino si è incarognito? Ha messo il greve tornaconto individuale sopra ogni considerazione umana, etica, ha perso ogni valore comunitario?

Non dobbiamo essere necessariamente pessimisti. Sul fronte dell’immigrazione abbiamo visto anche bellissime reazioni. Il caso di Lavarone, con la comunità dapprima impaurita e poi invece solidale di fronte all’arrivo di un gruppo di rifugiate nigeriane. Il caso Agitu, con migliaia di persone ad esprimere profonda commozione per la bella e poi tragica storia della pastora etiope. Più in generale (checché dicano improbabili sondaggi di parte) un appannamento del leghismo, che si trova a non poter vivere di rendita sul mero sfruttamento delle paure della popolazione.

Pensiamo che questi due fronti, immigrazione e criminalità organizzata, siano articolazioni della stessa battaglia. Contro l’individualismo, la sopraffazione, per la solidarietà, la legalità, la comunità. E le istituzioni: bene ha fatto il Consiglio Superiore della Magistratura – come spieghiamo nelle pagine interne – a intervenire sui giudici “cari amici”. Deficitarie, invece, sembrano, almeno a tutt’oggi, altre istituzioni, come i vari ispettorati del lavoro, grandi assenti nelle cave e nei campi.

Dovremo tutti portare avanti, ognuno come può, tutte le iniziative possibili, per vincere questa battaglia, di cui tanti forse non sono consapevoli. L’obiettivo è renderci più adeguati ai nuovi, gravosi problemi. Il pericolo è di veder ridisegnare, in peggio, la nostra convivenza.