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QT n. 9, settembre 2021 Trentagiorni

Il referendum del 26 settembre

Distretto biologico per tutto il Trentino? Una scelta coraggiosa, con possibili controindicazioni

Tiziano Cova

Il 26 settembre prossimo le cittadine e i cittadini della provincia di Trento saranno chiamati a scegliere se istituire in Trentino un biodistretto provinciale. Sarà un referendum propositivo voluto da ben 12.848 elettori, degli 8.000 necessari, che nei primi tre mesi del 2020 hanno sottoscritto la richiesta di consultazione referendaria. Affinché il referendum abbia esito favorevole, oltre al voto positivo della maggioranza più uno dei votanti, è necessario che si rechi alle urne almeno il 40% degli aventi diritto, vale a dire in termini assoluti circa 170.000 persone.

Come detto, non si tratta del classico referendum abrogativo per togliere qualcosa. Il referendum del 26 settembre propone, o meglio, impegna il legislatore ad adottare iniziative legislative volte alla creazione di un distretto biologico provinciale al fine di tutelare la salute, l'ambiente e la biodiversità. Ma, entrando nel dettaglio, vediamo nella pratica che cos'è un distretto biologico.

Il distretto biologico, più sinteticamente “biodistretto”, è un’area geografica nella quale i diversi attori del territorio - agricoltori, privati cittadini, associazioni, operatori turistici e pubblica amministrazione - stringono un accordo per la gestione sostenibile delle risorse, puntando su produzioni biologiche che coinvolgano tutti gli anelli delle filiere, dai produttori fino ai consumatori.

In Trentino lo strumento non è nuovo. Infatti esistono già quattro distretti biologici di dimensione locale: Val di Gresta, Vanoi, Valle dei Laghi e il comune di Trento. In queste zone, gli agricoltori che hanno aderito al distretto, praticano un'agricoltura senza l'utilizzo di pesticidi (fertilizzanti, diserbanti, insetticidi, ecc.) per concimare i terreni, per malattie delle piante e per combattere i parassiti animali, preferendo al loro posto prodotti sostitutivi di origine naturale con minor impatto sulle persone e sull'ambiente.

Il quesito referendario non è cosa da poco perché, se da un lato non prevede per gli agricoltori nessun obbligo di convertire la propria produzione, e non vuole contrapporre agricoltori bio e agricoltori non bio, dall’altro lato incentivauna conversione ecologica dell’attività agricola su tutto il territorio provinciale. Un tale disegno si inserisce nell’attuale legislazione europea, che sempre più spinge gli stati membri verso un’agricoltura più sostenibile sotto il profilo ambientale, sanitario e sociale.

La Commissione europea infatti nel dicembre 2019 ha presentato il Green Deal, un programma con obiettivi e azioni per rendere l’Europa climaticamente neutrale entro il 2030. Per il settore agricolo questi obiettivi sono stati individuati dalla strategia Farm to Fork che prevede, sempre entro il 2030, la riduzione sul territorio agricolo europeo del 50% dei pesticidi utilizzati e dei rischi ad essi correlati, la riduzione di almeno il 20% dell'uso di fertilizzanti e la destinazione del 25% dei terreni agricoli all’agricoltura biologica (attualmente al 8,5%). Per rispettare questi ambiziosi obiettivi, nell’aprile 2021, è stato varato il piano d’azione europeo per lo sviluppo del biologico, prevedendo azioni per stimolare la domanda di prodotti biologici, aumentando la consapevolezza dei suoi benefici e la fiducia dei consumatori nel logo bio, nonché azioni per creare strutture adeguate che incoraggino la produzione locale e i canali di distribuzione a breve distanza. Anche i fondi della nuova Pac (Politica Agricola Comunitaria), che entrerà in vigore il 1 gennaio 2023, saranno assegnati - per il 25% della dotazione nazionale dei pagamenti diretti - agli eco-schemi: per l’Italia vuol dire all’incirca 900 milioni di euro l’anno destinati all’agricoltura sostenibile.

Allo stato attuale, in Trentino, secondo il rapporto ISMEA-SINAB 2020, la superficie agricola coltivata con metodo biologico sul totale del terreno agricolo utilizzato è tra i peggiori in Italia: solo il 5,4% è coltivato secondo i disciplinari bio, a fronte di una media italiana del 15,8%. Questo dato fa capire che sul tema della sostenibilità agricola c’è molta strada da fare e il referendum del 26 settembre è un’occasione per dare uno stimolo a questo settore rimettendo al centro i produttori, la terra e i consumatori.

Non mancano però le voci contrarie, da quelle nettamente ostili al biologico, a chi l'agricoltura biologica la pratica ma ha paura che il referendum divida, che sia un boomerang per lo stesso bio. Infatti, se dovessero prevalere i no o se l'affluenza alle urne risultasse molto bassa, oltre al fallimento del quesito referendario c’è il rischio che cresca la sfiducia nei confronti del biologico, vanificando gli sforzi fatti nei decenni dai pionieri del settore. Come si vede, la posta in gioco non è cosa da poco.