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QT n. 11, novembre 2021 Servizi

Centraline, cala lamannaia Bolkenstein

Il governo sta impugnando tutte le proroghe delle concessioni idroelettriche. Dopo il Trentino, anche il Friuli assaggia la dura legge della concorrenza.

C'è uno scontro epico in corso tra regioni alpine e governo centrale che rimane per ora sotto il pelo dell'acqua: parliamo ancora una volta di produzione idroelettrica.

Delle vicende travagliate delle nostre due leggi (quella sui grandi impianti impugnata da Roma e quella sulle piccole centrali per la quale è in corso una trattativa col governo) abbiamo detto nei mesi scorsi.

Ma recentemente abbiamo scoperto che non siamo noi gli unici colpiti dal fulmine divino (alias Draghi).

All'inizio di ottobre, infatti, il governo ha impugnato una legge del Friuli-Venezia Giulia che prorogava le concessioni idroelettriche per gli impianti piccolissimi, quelli definiti dalla potenza nominale sotto i 220 kilowatt. Quelli che perfino l'assessore Tonina ha ritenuto di lasciar fuori dalla furia devastatrice delle nuove regole.

I friulani erano andati tranquilli. La loro legge regionale sul grande idroelettrico, emanata quasi un anno fa, era passata senza problemi al vaglio centrale. Rassicurati, avevano emanato una leggina che prorogava al 2031 le concessioni per piccolissimi impianti di tre tipi: primo, impianti posizionati sugli acquedotti; secondo, impianti di cooperative di autoconsumo; terzo, impianti in mano ad amministrazioni pubbliche.
Per sapere esattamente come mai un ambito così residuale nel grande comparto dell'idroelettrico si sia attirato gli strali governativi bisognerà attendere l'atto completo di impugnazione. Ma noi un'idea ce la siamo fatta. Ed ha a che fare con il PNRR, Draghi e l'Europa.

La nostra storia comincia con il governo giallo-verde. Alla fine del 2018, con poca fanfara, la Lega, partner importante del primo governo Conte, aveva fatto approvare una norma che “regionalizzava” il comparto dando alle regioni il potere di regolare le concessioni idroelettriche. Con il retropensiero, neanche tanto nascosto, dei governatori di prendere esempio proprio da noi e da Bolzano: costituire delle belle società pubbliche o parapubbliche che prendessero il controllo pieno di tutto il settore. E i relativi grassi incassi economici, oltre al controllo delle ricadute su ambiente, agricoltura e paesaggio.

Un dettaglio: le aree più importanti per la produzione idroelettrica nazionale sono Piemonte, Lombardia, Trentino e Alto Adige. Con un ruolo meno pronunciato, ma sempre significativo, di Veneto e Friuli. Tutte - tranne Bolzano, ça va sans dire - a salda guida leghista.

Poi, nel momento in cui queste leggi dovevano essere emanate, era scoppiato il Covid. Tempi allungati, governi che cadono, nuovi assetti di potere che si creano.

Però la questione era così importante che le regioni avevano tirato dritto: la Lombardia, ad esempio, era riuscita ad approvare la propria legge l'8 aprile 2020. Ricordate cosa succedeva in Lombardia in quei giorni?

Alcune leggi erano state impugnate già dal governo giallo-rosso. Piemonte e Lombardia si erano allargate troppo: del resto la loro competenza legislativa per la materia non è piena, come invece la nostra. Ma anche la legge trentina era stata impugnata, con la motivazione principale che i criteri per partecipare alle gare erano troppo ristretti.

Tutto questo perché “in principio era la Bolkenstein”. La direttiva europea del 2012, chiamata Bolkenstein dal nome del commissario alla Concorrenza che l'aveva voluta, impone di sottoporre alle regole di mercato, la concorrenza appunto, tutta una serie di ambiti nei quali lo Stato (o chi per esso come nel caso trentino) “concede” l'utilizzo di beni e servizi pubblici. Quindi no a società pubbliche che gestiscono i trasporti, guai ai Comuni che si fanno la società cosiddetta in house per i rifiuti, e anatema contro la regione che volesse tenersi gli impianti idroelettrici e i relativi profitti. Tanto per fare degli esempi.

Se le leggi violano questa direttiva sono passibili di sanzioni europee.

Questo è da anni un punto di attrito molto grande tra potere reale degli Stati e potere reale della Commissione europea e non per caso la sua attuazione è stata in passatomolto rallentata, oggetto di contrasti, ignorata da vari Paesi, nonostante Bruxelles abbia fatto partire raffiche di lettere di messa in mora, preludio alle sanzioni. Un tira e molla che gli ambienti iperliberisti europei (sia pubblici che delle varie Confindustrie) hanno sempre vissuto con grande insofferenza perché vedevano grossi bocconi succulenti danzargli davanti agli occhi, ma non riuscivano mai ad addentarli.
Il Covid, per questi circuiti d'interesse, è stato una manna. L'Italia, in tremendo debito d'ossigeno, ha chiesto soldi. Bene, hanno detto a Bruxelles, allora fate le riforme. Tra queste, guardate un po', c'è anche l'applicazione piena e concreta della direttiva Bolkenstein.

Se avete letto attentamente i quotidiani negli ultimi tempi, avrete trovato qua e là, poco evidenziate, notiziole sulla imminente approvazione della legge sulla concorrenza.

Come sarà questa legge? Di cosa si occuperà in specifico?

Che legge sarà?
Qualcosa troviamo già nel PNRR. Che a pagi. 76, parlando specificamente di energia idroelettrica, dice: “Occorre modificare la relativa disciplina al fine di favorire, secondo criteri omogenei, l'assegnazione trasparente e competitiva delle concessioni medesime, anche eliminando o riducendo le previsioni di proroga o di rinnovo automatico, soprattutto nella prospettiva di stimolare nuovi investimenti”.

Quello che interessa, di questa frase, è l'inciso: “secondo criteri omogenei”. Che è un modo subdolo di dire quello che già a marzo scorso l'Autorità per la concorrenza aveva invece detto papale papale: “L'Autorità rileva che le procedure per l'assegnazione di concessioni per grandi derivazioni idroelettriche dovrebbero essere definite dal legislatore statale in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale. Infatti rientra nella materia della tutela della concorrenza, attribuita alla competenza legislativa esclusiva statale, di cui all'art. 117, comma 2, lettera E della Costituzione. l'intera disciplina delle procedure di gara, comprensiva della tempistica, della definizione del contenuto dei bandi, nonché dell'onerosità delle concessioni messe a gara nel settore idroelettrico…”
E il governo segue con scrupolo le prescrizioni dell'Autorità. Anche se la legge non è ancora…legge, già il divieto di proroga si dimostra assoluto: ecco perché, pensiamo noi, anche la leggina friulana andava stoppata. Con buona pace della “regionalizzazione” leghista. Naturalmente nella legge sulla concorrenza c'è anche altro. La sanità, ad esempio. Andremmo fuori tema a parlarvene qui, ma quel poco che si sa fa paura solo a pensarlo. Poi la distribuzione dell'energia e del gas, i porti, le spiagge.

Ecco: sulle cosiddette concessioni balneari la politica tutta fa un gran can-can per difendere i concessionari. Peccato che praticamente tutte le concessioni di spiagge siano in mano a privati e non ci importi un granché di chi sia il bagnino che ci dà l'ombrellone al mare. Mentre dovremmo preoccuparci moltissimo di chi governa le chiuse delle nostre dighe.

Quel che succederà al piccolo Trentino è ancora ignoto: lo statuto d'autonomia è legge di rango costituzionale. E forse non per caso l'Autorità per la concorrenza fonda il proprio pesantissimo parere su un articolo della Costituzione. Ma la nostra competenza esclusiva andrà difesa con le unghie e coi denti, di fronte alle fortissime pressioni economiche e politiche che si percepiscono in sottofondo.
I nostri parlamentari, di ogni colore politico, saranno dalla parte del Trentino quando la legge arriverà in Parlamento?

La nostra giunta del “prima i trentini” cosa sarà capace di fare per impedire che una risorsa essenziale come l'acqua finisca in mano a un gestore coreano (o svizzero, o di qualunque altro luogo) solo perché “ce lo impone l'Europa”?