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QT n. 3, marzo 2021 Servizi

La Giunta svende la nostra acqua

Le nuove regole del piccolo e grande idroelettrico vanno perfino al di là di quello che ci chiede l'Europa

La partita dell’acqua continua ad essere turbolenta. Sia per la questione delle grandi concessioni idroelettriche, sia per quelle che la normativa nazionale considera “piccole”, ovvero sotto i 3.000 kilowatt di potenza e che da noi sono per due terzi in mano ai Comuni. Cominciamo dalle piccole.

Lunedì scorso la terza commissione del Consiglio provinciale ha dato l’ok al disegno di legge proposto dall’assessore Mario Tonina che porterà tutti questi piccoli impianti a dover passare per le tagliole di una gara quando dovranno essere rinnovate le concessioni. Col rischio che gli introiti con cui i Comuni risolvono vari problemi di bilancio, finiscano nelle tasche di un privato.

La proposta fin dall’inizio aveva fatto insorgere i Comuni e storcere il naso a tutti gli altri.

Nel valzer di audizioni che si sono succedute da un mese a questa parte, i pareri contrari erano stati di gran lunga prevalenti. Con posizioni che andavano da “abbastanza contrari” degli imprenditori a “totalmente contrari” dei Bacini Imbriferi Montani.

In mezzo, una serie di sfumature e di tentativi di salvare il salvabile, oltre al continuo refrain del “saremmo i primi in Europa” e “l’Europa non ci obbliga”.

Tonina è rimasto sulle sue posizioni, sostenendo che non era possibile evitare la modifica del settore perché così dicono gli uffici legislativi provinciali. Resta il fatto che saremo i primi in Europa. E che tutti gli altri paesi non ci pensano neanche a mettersi questo cappio al collo.

Anche se molte delle limature proposte da varie parti verranno verosimilmente accolte quando la legge arriverà nell’aula del Consiglio e quindi, ad esempio, molte centraline dei Comuni verranno “salvate”, o perché la richiesta di rinnovo era già in corso, o perché hanno fatto investimenti negli ultimi anni. E in ogni caso molto probabilmente tutto il canone di concessione verrà comunque devoluto ai Comuni. Mentre la proposta originale dava loro solo il 50 per cento dello stesso canone. Solo limitazione del danno, comunque, perché un canone non copre ovviamente tutto l’introito che i Comuni ricavano dalla produzione idroelettrica.

La battaglia, a quel punto potrebbe spostarsi sulle definizioni. Infatti questa nuova regolamentazione vale per quelle che sono state definite dalla legge Tonina “medie” concessioni idroelettriche, ovvero quelle che stanno tra una potenza di 220 kilowatt e 3.000 kilowatt (oltre questa soglia siamo nel campo delle grandi concessioni). Sotto i 220 kilowatt invece si tratta di impianti davvero piccoli e spesso per autoconsumo che ovviamente non interessano al “mercato”.

Tuttavia la soglia dei 3.000 kilowatt, guardando fuori dai nostri confini, è del tutto variabile. In Austria, ad esempio, è considerata “piccola” una centrale con potenza inferiore a 10.000 kilowatt. Spostare la soglia però non è detto fatto: in Italia questo parametro è definito da leggi nazionali. E nessuno finora ha verificato se le nostre competenze abbiano la forza di cambiarlo. Lo vedremo presto.

Sullo sfondo, intanto, continua anche la partita delle grandi concessioni idroelettriche.

Nel nostro racconto eravamo rimasti al governo che impugna la legge approvata lo scorso ottobre. E alla valutazione di una sostanziale debolezza delle contestazioni fatte alla nostra norma.

Purtroppo la giunta ci ha messo del suo.

Nel tentativo di evitare lo scontro in Corte Costituzionale, il governo provinciale ha proposto alcune modifiche alla legge suddetta che teoricamente dovevano disinnescare il ricorso.

Piccolo problema: alcune di queste modifiche gridano vendetta al cielo. E non sono nemmeno modifiche richieste direttamente dall’impugnativa. Ma sono pericolosissime.

Una di queste abolisce il divieto - finora esistente - di partecipare alle gare a soggetti che abbiano in passato subito una revoca di concessione. Insomma, potranno partecipare anche imprese che hanno fatto un gran casino e per questo gli è stata revocata una concessione.

Altre riguardano i requisiti di chi si propone per gestire le nostre centrali. In particolare vengono eliminati requisiti relativi al personale tecnico che una società dovrebbe avere alle proprie dipendenze dirette (e quindi potenzialmente una società potrebbe vincere la gara e affidare il lavoro concreto a personale in outsourcing).

Infine viene eliminato il divieto del cosiddetto “avvalimento”. L’avvalimento è un istituto del Codice degli Appalti del 2016, grazie al quale un’impresa che non possiede i requisiti tecnici, organizzativi o economico-finanziari richiesti dalla legge per partecipare, può chiederli in prestito ad una più solida e partecipare in questo modo al bando di gara. Quindi la finanziaria maltese di turno potrebbe proporsi per gestire la diga di Santa Giustina facendosi “prestare” sulla carta il personale per farlo. O anche i requisiti di solidità finanziaria richiesti. Fa paura solo a pensarci.

A tutto questo l’assessore Tonina mette cappello dicendo: la Giunta parlerà col nuovo governo. Visto che in particolare il nuovo ministro Vittorio Colao aveva detto in tempi non sospetti di essere a favore di possibili proroghe delle concessioni in essere.

Quindi ci tocca sperare in san Colao invece di far valere le prerogative dell’autonomia.

I guardiani delle dighe ridotti a portieri d’albergo

Non abbiamo ancora affidato al “mercato” la nostra acqua - e dovremmo fare di tutto per evitarlo, come sosteniamo ormai da mesi, ma già gli effetti di una possibile futura gestione competitiva del nostro settore idroelettrico si fanno sentire. Mancano ancora tre anni alle gare per il rinnovo delle concessioni idroelettriche, ma per i guardiani delle dighe gli effetti della concorrenza si sono già fatti sentire pienamente. Infatti la prospettiva di dover battere i futuri concorrenti puntando soprattutto sul prezzo offerto per la concessione ha spinto Dolomiti Energia ad avviare un processo di revisione e contenimento dei costi di gestione. E tra questi costi ci sono stipendi e spese connesse per il lavoro di quegli uomini che si occupano di controllare costantemente quello che succede alle montagne d’acqua ingabbiate dai muri arcuati delle dighe.

Fino a poco tempo fa questi guardiani erano tecnici esperti, ben pagati, che si avvicendavano con brevi turni su ogni invaso. Dovevano controllare i parametri strutturali (livello dell’acqua, previsioni metereologiche, stabilità delle muraglie ed altri) nonchè fare le manutenzioni necessarie, sia delle strutture che degli strumenti di rilevazione.

Un lavoro reso arduo soprattutto dalle condizioni ambientali. Molte delle nostre dighe sono in altitudine e in posti remoti. Non a caso uno dei costi connessi con le guardianie delle dighe è la spesa del trasporto in elicottero dei guardiani che finora si turnavano praticamente ogni giorno. Un costo molto consistente. Per questo da tempo Dolomiti Energia sta cercando di dilatare il più possibile la durata dei turni.

Poi c’è la tecnologia. Che ormai consente di controllare da remoto (ovvero da Trento) moltissimi parametri. E se serve fare manutenzione specializzata i tecnici possono salire in giornata. Quindi non c’è più grande necessità di avere lassù qualcuno che sappia decifrare manometri e sensori. Per questo, in un recente annuncio di ricerca personale di guardiania, Dolomiti Energia non richiede più un diploma, basta la terza media. E il loro contratto di lavoro non sarà più quello dei tecnici del settore elettrico, ma quello dei portieri d’albergo.

Messe tutte insieme, le nuove condizioni di lavoro fanno crollare gli stipendi, che passano da circa 2.800 euro al mese fino a circa 1.600.

La questione è da tempo oggetto di attriti con i sindacati e anche di una minaccia di vertenza, da parte della UILTEC, sindacato di settore.

Uno scontro non ancora esploso, ma che va avanti da tempo senza un accordo. Tanto che Dolomiti Energia ha deciso di andare per la sua strada, applicando le nuove condizioni alla ventina di assunzioni che sta facendo. Va detto che Dolomiti non è la sola. Da tempo questa strada è stata intrapresa dai grandi produttori di elettricità italiani. Enel in alcuni casi ha addirittura affidato la guardiania delle dighe a cooperative sociali.

Non ci addentriamo qui negli aspetti umani e sindacali della questione (stare tre o quattro giorni di fila, da soli, sulla diga del Careser a 2.600 metri in pieno inverno, ad esempio, non è una passeggiata). Ma per quanto riguarda la sicurezza? Il nuovo assetto del lavoro di guardia, che viene svilito, impoverito e dequalificato, quanto può impattare sulla sicurezza delle dighe?

Dolomiti Energia sottolinea che il controllo è comunque doppio: l’occhio dell’uomo in alto, le macchine con i tecnici in basso.

Un meccanismo perfetto. Fino al giorno in cui manca l’elettricità e saltano le connessioni di rete. E il “nuovo” guardiano non ha più la preparazione che gli consentirebbe di prendere la decisione giusta. I problemi apparentemente imprevedibili, quando si parla di dighe hanno nomi ben noti, non serve citarli.

E ognuno di essi aveva all’origine un contenimento dei costi.