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QT n. 6, giugno 2023 Cover story

Il turismo va a Canossa

Dopo anni di inutili allarmi degli ambientalisti, tutto il settore si accorge che montagna e laghi scoppiano. E ora, come rimediare?

La lista comprende praticamente tutti i luoghi turisticamente più glamour del Trentino: da Campiglio alla val di Fassa, dalla val di Sole a Riva del Garda, passando per alcune perle come la val Canali e i laghi da cartolina di Molveno e Tenno.

Tra i luoghi “famosi” mancano solo Pinzolo e la val di Fiemme, ma siamo sicuri che arriveranno a breve.

Negli ultimi mesi tutte queste località hanno aperto il vaso di Pandora di quello che viene definito “overturismo”, quell’onda umana che nei picchi di stagione si riversa nelle valli portando un sacco di soldi, ma che ormai sta soffocando i territori.

E badate bene che non sono gli ambientalisti stavolta a suonare l’allarme.

In quasi tutti i luoghi che abbiamo elencato ci sono stati convegni, incontri, studi e dichiarazioni “pesanti” intorno al fatto che il giocattolo turismo è andato fuori controllo: traffico a mille, problemi di gestione dei servizi, code sulle piste e sui sentieri e via dicendo. Tutte iniziative partite da associazioni albergatori, dirigenti delle Aziende turismo, imprenditori di spicco, con i Comuni - che devono gestire i servizi - ad annuire furiosamente di fronte alla presa di coscienza: il Trentino, le sue destinazioni più famose, sta scoppiando di turismo.

L’innesco del dibattito è stato probabilmente una decisione presa fuori dalla provincia, a Bolzano. Dove la giunta provinciale sta imponendo una diminuzione dei posti letto turistici e delle presenze. Un limite da raggiungere entro il 2030, cioè dopodomani, in termini di programmazione urbanistica e dei servizi.

Ma la miccia ha trovato terreno fertilissimo.

Non c’è bisogno che vi spieghiamo cosa succede nel pieno dell’estate sulle strade del Garda o d’inverno a Campiglio o in val di Fassa. Lo sapevamo tutti, da molto tempo, che il nostro territorio può reggere solo un numero “finito” di presenze turistiche. E sapevamo pure che in molte situazioni si era al limite, o lo avevamo già superato. (Della situazione specifica della val di Fassa ci parla Luigi Casanova nel pezzo che segue).

Ma ora sono gli addetti ai lavori che parlano serenamente di numeri chiusi sulle piste, di gestione dei flussi sia in termini di posti letto turistici da contingentare che di numero di automobili che possono entrare in una determinata valle o arrivare ad un lago (vedi Molveno o Tenno). Questioni che solo due o tre anni fa erano considerate problemi da lasciare in eredità alle prossime generazioni.

Pare che dobbiamo ringraziare il Covid, che spesso viene citato come il momento di svolta. Forse perché nel post-epidemia l’onda ha raggiunto i limiti fisici del territorio (stagioni d’oro, nell’ultimo anno e mezzo, dicono gli addetti ai lavori), ma probabilmente anche perché ci ha fatto vedere - per contrasto e a carissimo prezzo - com’è bello il mondo quando abbiamo spazio a disposizione e un’atmosfera rilassata intorno a noi. Il turismo trentino, soprattutto in alcune zone, non è più in grado di garantire questa che sembra essere oggi una priorità di chi va in vacanza. E chi vive il settore ha finalmente capito che se non si interviene molto rapidamente si rischia l’effetto boomerang. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire.

E qui dobbiamo aprire una parentesi sul passato.

Uno dei problemi emersi prepotentemente da dibattiti e incontri è quello di una crescita sproporzionata e sregolata del mercato non ufficiale degli affitti brevi. Ma in questo campo il Trentino ha un peccato originale: aver puntato moltissimi anni fa sulle cosiddette seconde case. Aver inflazionato il territorio di case per le vacanze che negli ultimi anni - da quando tutti hanno scoperto Airbnb, Booking e simili - sono diventate il volano di una crescita quantitativa di presenze totalmente fuori da ogni regola.

Un peccato originale che nel 2015 la cosiddetta legge Gilmozzi aveva cercato di tamponare, ma - oggi lo tocchiamo con mano - i buoi erano usciti dalla stalla già da molto tempo.

Questo è stato il tema più caldo discusso a Riva del Garda il 27 maggio scorso, in un convegno dal titolo “Turismo (in)sostenibile”. Qui, diversamente che in altre zone, sono stati gli ambientalisti del Coordinamento Ambiente dell’Alto Garda e Ledro a scoperchiare il vaso organizzando il convegno che, per la Busa, è stato una première: per la prima volta si sono trovati allo stesso tavolo di dibattito ambientalisti e gestori del turismo gardesano. Qualche duro e puro dell’ambiente, peraltro, non ha gradito.

In ogni caso, a sorpresa ma non troppo, alla fine tutti si sono trovati d’accordo su parecchie cose.

Non perché gli amici dell’ambiente siano diventati più accomodanti o perché gli addetti ai lavori si siano convertiti sulla via di Damasco.

Semplicemente perché, un esempio tra tanti ma certo è il problema più sentito dalla città, gli albergatori si sono resi conto che, se non trovano personale, ciò dipende anche dal fatto che non ci sono più case per i residenti e per chi ci deve vivere per un periodo di lavoro. Chi ha un appartamento a Riva o dintorni preferisce affittarlo via piattaforma e guadagnare così tre, quattro o cinque volte tanto rispetto ad una locazione normale. E questo vale anche per chi a Riva è nato e vuole metter su casa. A meno di non essere davvero ricchi, comprare o affittare in città è diventato proibitivo. Vox populi dice che le persone, pur lavorando a Riva, spesso devono arrivare fino alle Sarche per trovare un appartamento in affitto a prezzi decenti. Un problema che conoscono peraltro molto bene anche in val di Fassa e di Fiemme, dove uno dei motivi per cui non si trovano operatori sanitari è proprio il costo proibitivo per affittare una casa di residenza.

A Riva durante il convegno, confezionate nella carta regalo del “siamo bravi e sostenibili, smettiamo con la promozione e invece curiamo il territorio, i residenti per noi vengono per primi”, il presidente di Garda Dolomiti, Silvio Rigatti, ha fatto dichiarazioni pesanti: “Basta appartamenti vacanza e servono regole per far tornare il 30 per cento degli appartamenti sul mercato residenziale”. A cui si è aggiunta la proposta sulla mobilità: a Riva facciamo entrare in auto solo i residenti e chi ha una prenotazione. Per tutti gli altri servono parcheggi di attestamento (assai lontani n.d.r) e un servizio di navette.

Enzo Bassetti, presidente di Garda Trentino Sviluppo, gli ha fatto il controcanto dicendo che gli alberghi sono la modalità di ospitalità migliore, quella che lascia maggiore reddito e occupazione sul territorio. E ha citato il Sudtirolo come esempio positivo: i posti letto sono la metà rispetto al Trentino, in maggioranza quelli alberghieri, le presenze turistiche però sono praticamente uguali alle nostre, con tassi di utilizzo delle strutture molto più alti dei nostri. E ricavi maggiori. Per questo, sostiene Bassetti, va sostenuta una riqualificazione e gli alberghi a una o due stelle dovranno praticamente sparire.

Quasi nello stesso momento, in val di Sole, il presidente dell’Azienda Turismo, Luciano Rizzi, portava questo tema un passo più in là: numeri chiusi sulle piste, riduzione dei posti letto - anche negli alberghi - e aumento dei prezzi come leva per passare da quantità a qualità. (E pure la proposta degli albergatori fassani di diminuire i posti letto avrebbe questo esito “automatico”)

Logica conseguenza: far vacanza in certi luoghi diventa una questione di censo.

Un turismo per ricchi

La questione è quasi un comma 22. Perché un turismo “democratico” (ovvero abbordabile per tutti) si scontra con il limite delle risorse, dei territori. E in questi tempi in cui, come dice George Soros i ricchi hanno vinto la lotta di classe, è prevedibile che il Trentino sarà sempre più una destinazione per ricchi. Anzi, va detto che in alcune zone lo è già.

Così come, di fatto, è un turismo per ricchi quello che si dispiega in Sudtirolo.

Solo che, stando ai numeri, i sudtirolesi sono più bravi di noi nel tutelare territorio e ambiente.

Nel convegno a Riva del Garda, Duilio Turrini - referente del Coordinamento Ambiente Alto Garda e Ledro, padrone di casa dell’incontro - ha proposto un confronto dettagliato tra il settore turistico trentino e quello di Bolzano.

Ecco i numeri.

Nel 2022 un numero di presenze turistiche quasi uguali (33 milioni e mezzo per Bolzano, 32 milioni e 700 mila da noi), ma il fatturato del Sudtirolo è il 150 per cento in più del nostro. L’occupazione nel settore è doppia a Bolzano, i contratti sono più stabili, molti di più sono quelli a tempo indeterminato. Gli alberghi sono il doppio che da noi, ma in cambio i posti extralberghieri e quelli da casa vacanza sono molti meno. Infatti il totale dei posti letto turistici dei nostri cugini a nord è di 274 mila, mentre da noi sono 487 mila e ogni posto letto, sopra Salorno, viene occupato per una media di 122 giorni l’anno, da noi per 67. Il valore aggiunto per posto letto in Sudtirolo è cinque volte quello che riescono a ricavare i trentini. E con tutto questo, a Bolzano hanno deciso che i posti letto dovranno essere massimo 239mila entro il 2030, con un tetto di 34 milioni di presenze. Quindi aumentando ancora il tasso di occupazione a 144 giorni l’anno.

Un confronto impietoso, a cui Turrini ha dato il colpo di grazia citando la percentuale di urbanizzazione del territorio (leggi consumo di suolo): il 2,8 per cento a Bolzano, il 3,7 a Trento. Non relativa soltanto al turismo, va da sé, ma a cui certamente il fenomeno delle seconde case da noi ha contribuito molto.

Ci sono poi infiniti aspetti di contorno, che non sono però minori. Uno, tra tutti, lo hanno evidenziato i sindaci dell’Alto Garda che erano stati ufficialmente invitati (Claudio Mimiola di Dro, Giovanna Chiarani di Drena, Gianni Morandi di Nago-Torbole e Giuliano Marocchi di Tenno. Brillava l’assenza di Alessandro Betta di Arco e della sindaca Cristina Santi di Riva. L’amministrazione rivana pare non abbia gradito la presenza di chi scrive come moderatrice dell’incontro. Che le abbia dato fastidio quel che abbiamo scritto nei mesi scorsi sulla loro grande trovata di svendere l’area Cattoi?)

Dai sindaci, in vari modi, è venuto un sos: qui ci sono tante belle idee, ma noi abbiamo un problema che dobbiamo risolvere oggi (il traffico, dice il sindaco di Dro Claudio Mimiola) e uno più strutturale: trasformare le idee in azioni alla fine tocca a noi. Dateci una mano con proposte concrete e anche con qualche strumento amministrativo in più.

Insomma, sembra che il sistema turismo del Trentino si stia muovendo e tutti vadano nella stessa direzione.

E per una volta i toni fanno sperare in azioni concrete conseguenti.

Chi avrà il coraggio di agire?

Ma in questo dibattere c’è un convitato di pietra.

A cinque mesi dalle elezioni provinciali, chi si assumerà il rischio di dire “stop”?

Perché una cosa è dire: “Basta appartamenti turistici”, un’altra è dire ai propri futuri elettori che la casa della nonna, che già pensavano di trasformare lucrosamente, non si potrà convertire. Oppure dire a quegli imprenditori che puntavano ad un nuovo collegamento sciistico che no, non se ne fa niente.

Il reticolo degli interessi intrecciati, in Trentino, è molto stretto. Se io do una cosa a te (il voto), tu poi dai una cosa a me (la nuova sciovia). E, purtroppo, non possiamo parlare qui solo di grandi interessi, ma dobbiamo considerare anche il piccolo, individuale interesse del singolo cittadino.

Ad esempio: far tornare sul mercato residenziale il 30 per cento degli appartamenti attualmente case vacanza a Riva del Garda vuol dire prendere un tot di persone e dirgli che la loro rendita mensile di duemila e passa euro sparisce. Così come l’albergatore che ha chiesto di alzare di un piano il suo hotel: chi glielo dice che siamo in overturismo e non si può? Quante persone si vanno così a scontentare? Quanti voti si perdono?

Quindi la grande autoanalisi in corso nel turismo trentino rischia di essere onanismo intellettuale. E d’altra parte non è pensabile che Fugatti & Co facciano una scelta tanto radicale (viste anche le brillanti idee come le piste da sci a 700 metri di altitudine): ci pare contro la loro religione.

Per questo crediamo che solo gli stessi che oggi lanciano grandi allarmi (e che tengono i cordoni della borsa economica del settore) possano davvero spingere per un cambiamento. Devono dimostrare che sono imprenditori lungimiranti e non semplici recettori di contributi provinciali.

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