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QT n. 6, giugno 2025 L’editoriale

Il comune sentire

Esiste ancora un sentire comune?

Di fronte a certe notizie, la maggioranza della popolazione (non parliamo dell’umanità) reagisce in maniera non troppo difforme? Questo ci sembra un interrogativo su cui riflettere.

Di fronte alla strage, premeditata, di Gaza. In televisione i commentatori innescano differenziazioni artificiose, se si possa chiamare genocidio oppure no, se sia riprovevole fare paragoni con la Shoa, se condannare il progressivo massacro dei palestinesi sia antisemitismo, oppure larvato appoggio al terrorismo di Hamas.

Molte di queste posizioni sono strumentali: nascondono il desiderio (oggi meno comprensibile) di non differenziarsi troppo dalla politica americana. Oppure, da parte di molti amici ebrei, derivano da una concezione, sedimentata in secoli di discriminazioni e sanguinose repressioni, di solidarietà reciproca che direi tribale: io sono sempre e comunque dalla parte dei miei, qualunque cosa facciano, troppo abbiamo dovuto subire nel corso dei tempi.

Di fronte ai referendum su lavoro e precarietà. Anche qui mille distinguo, per non affrontare il tema vero: i cittadini, i lavoratori devono avere un minimo di diritti? Noi siamo disposti a pagare qualcosa in più affinché il rider possa avere un lavoro dignitoso? Il che rimanda al discorso di fondo: i miliardari, ma anche i benestanti, sono disposti a rinunciare a qualche cosa affinché ci sia più giustizia nella società?

E per converso l’altra faccia della medaglia: come mai in questi anni gli umili non riescono più a difendere le proprie condizioni?

Tempo fa ho sentito un giovane fare il seguente ragionamento: “La sanità pubblica? Non mi interessa, io avrò successo e potrò pagarmi quella privata”. Degli altri – gli sfigati – chi se ne frega. Non pensa, il tapino, che anche dal punto di vista utilitaristico il suo discorso fa acqua: auspica per se stesso una vita in cui dovrebbe sempre stringere i pugni e i denti per arrivare e rimanere ai vertici, pena la caduta nell’inferno dei poveri.

Quando poi allarghiamo il discorso ai rapporti tra nazioni, il quadro si fa ancor più stridente e pericoloso: Make America Great Again, la Santa Madre Russia, la Grande Israele sono miti nefasti, che postulano la supremazia di una nazione o un popolo.

Questo insieme di posizioni, pur abbastanza differenziate, forma una forte, articolata, cultura di destra, talora estrema. Di fronte alla quale sarebbe opportuno si strutturasse un senso comune alternativo, una cultura opposta: fondata sull’indispensabilità sociale del riconoscimento a tutti di diritti e dignità.

Se poi c’è qualcuno che lo chiamerà buonismo, faccia pure.

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