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QT n. 15, 12 settembre 1998 Servizi

I falsi luoghi comuni

Attenzione: a forza di sentirle ripetere, certe sciocchezze sembrano vere...

Ci imbattiamo sovente in frasi rese banali ed anche un po' fastidiose dal loro generale abuso: sono i cosiddetti luoghi comuni. Quante volte abbiamo sentito dire, o abbiamo detto che non ci sono più le mezze stagioni o che c'è una crisi dei valori o che gli italiani sono individualisti. Sono concetti comunemente accertati e che contendono anche un grano di verità. Ma vi sono altre affermazioni che ci vengono ossessivamente ripetute attraverso i mezzi di comunicazioni da più o meno autorevoli commentatori, le quali, solo per effetto di questa martellante reiterazione, finiscono per acquisire la forza assiomatica del luogo comune, anche se il loro contenuto di verità è assolutamente inesistente. Per difenderci dalla subdola invasione di questi insidiosi aforismi, che assediano direttamente la stessa efficienza critica della nostra mente, sarebbe utile disporre di una sorta di dizionario dei falsi luoghi comuni. Tenterò di proporvene alcune voci.

L'accanimento accusatorio.

Persino coloro che apprezzano i Borrelli e i Caselli sono disposti a concedere che sì. forse, contro le aziende di Berlusconi o contro Lombardini, il magistrato suicida di Cagliari, vi è stato un certo accanimento accusatorio. E magari anche contro il vescovo di Napoli, cardinale Michele Giordano. E così è comunemente accettata l'idea che nelle indagini dei magistrati vi è qualcosa di esagerato, di eccessivo, di parmigiano che quindi esige alcune misure di contenimento. Ma si tratta di un falso luogo comune. Cosa avrebbero dovuto fare i pubblici ministeri meno di ciò che hanno fatto? Le oltre 300 perquisizioni presso aziende di Berlusconi sono la necessaria conseguenza della vastità del suo impero, della molteplicità delle notizie di reato e dell'accanimento difensivo dell'indagato. Interrogare Lombardini era doveroso perché lo prescrive la legge e perché il torbido quadro delle attività in cui risulta coinvolto esigeva numerosi chiarimenti. Poteva, la Procura di Lagonegro, fermarsi innanzi alla eminenza cardinalizia dopo aver scoperto che sui conti del di lui fratello, accusato di usura, erano affluiti centinaia di milioni della curia partenopea?

La spettacolarizzazione degli atti investigativi. Accanto all'accanimento accusatorio si è rimproverato ai magistrati un certo gusto della teatralità, dovuto ad un deplorevole vizio di protagonismo che li porterebbe a circondare i loro atti investigativi con vistose scenografie:l'avviso di garanzia notificato a Berlusconi mentre stava presiedendo un convegno contro la criminalità; quattro magistrati a Cagliari per interrogare Lombardini; i militi della Finanza alla curia napoletana.

E'vero che anche fra i magistrati c'è chi non resiste alla tentazione di una qualche più o meno effimera pubblicità, ma per rendere clamorosi certi atti di indagine non c'è affatto bisogno della calcolata regia di chi li compie. Aquestione è sufficiente la notorietà dei personaggi che ne sono oggetto. 1 modi degli interrogatori, delle perquisizioni, delle notifìche degli avvisi di garanzia sono quelli di sempre. Sono le qualità degli indagati che conferiscono agli atti che li riguardano un pubblico interesse, li rendono preda dei mezzi di comunicazione, e così suscitano clamore ed entrano nello spettacolo del teatro nazionale. La segretezza degli atti di indagine è per certo una virtù desiderabile. ma non fa parte del nostro stile nazionale, ove purtroppo molto è misterioso ma nulla è segreto. E'dunque falso anche il luogo comune che attribuisce ai magistrati la responsabilità della spettacolarizzazione delle indagini.

Ma non è solo nel campo campo della giustizia che circolano falsi luoghi comuni. Micidiali sono quelli partoriti dal prosperoso grembo del mito del "mercato". Questa moderna divinità troneggia nel senso comune come un affabile demiurgo che tutto vede e a tutto provvede, unico efficiente regolatore dell'economia globale, che produce immense ricchezze accanto, purtroppo è vero ma è fatalmente inevitabile, a vastissime sacche di disoccupazione e povertà. Salvo poi, quando i suoi meccanismi si inceppano o le borse crollano (pensate, persino quella di Mosca!), reclamare il soccorso di interventi correttivi da parte dei governi.

Un figlio prediletto del mito del "mercato " è il luogo comune che riguarda le privatizzazioni: le aziende pubbliche sono gestite male e producono perdite, urge privatizzarle perché la concorrenza le rende redditizie e abbassando i prezzi favorisce anche i consumatori.

Non nego che vi siano casi, anche numerosi, in cui la privatizzazione di una azienda pubblica sia una misura ragionale e conveniente, ma contesto la pretesa di verità assoluta che si intende attribuire al luogo comune sulle privatizzazioni. Per confutarla basta ricordare, per un verso, l'opulenta redditività delle aziende del gruppo Eni, e, per altro verso, la sostanziale uniformità dei prezzi della benzina praticati dalle concorrenti compagnie petrolifere anche dopo la loro liberalizzazione. Sono due fatti non marginali (e ve ne sarebbero anche altri di eguale segno) che bastano a dimostrare che anche il luogo comune sulle privatizzazioni è falso.

Ma il più insensato, ed al tempo stesso più accreditato, è il luogo comune sulla "flessibilità" del rapporto di lavoro. Rimuovere le garanzie contro il licenziamento -si dice- i minimi salariali e le regole sull'orario di lavoro, gioverebbe ad aumentare l'occupazione. Si cita, quale prova dell'assunto, la situazione degli Stati Uniti d'America ove appunto il rapporto di lavoro è "flessibile" e vige un regime di piena occupazione.

E ' stupefacente sentire esperti economisti ripetere come pappagalli un simile parere, nel quale il rapporto fra causa ed effetto è così grossolanamente capovolto. La verità è che in un mercato nel quale esiste una condizione di piena occupazione, o quasi, il rapporto di lavoro può benissimo essere flessibile. Il licenziato in tali condizioni trova facilmente un altro lavoro. Le cause che determinano l'occupazione sono ben altre. Anche ammettendo che siano veri i dati sul basso livello della disoccupazione negli Stati Uniti rispetto a quello europeo (ma vi sono motivi per dubitarlo), è del tutto arbitrario ritenere che a determinarli sia stata la "flessibilità " del raparlo di lavoro. Ed infatti attribuire alla "flessibilità" una così decisiva efficacia causale confligge con una semplice osservazione di una realtà di casa nostra, ove in Alto Adige, ed anche in Trentino e in tutto il Nord, la disoccupazione è quasi inesistente, mentre nelle regioni meridionali raggiunge quote del 38 %, e ciò nonostante che il rapporto di lavoro sia dappertutto egualmente rigido, anzi forse più a Balzano che a Napoli. Ma ci sentiamo ammannire ogni giorno, malgrado la plateale smentita che abbiamo sotto gli occhi, anche questo falso luogo comune.

Dubitiamo dunque, di tutto, ma soprattutto dei falsi luoghi comuni.

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