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QT n. 16, 26 settembre 1998 Servizi

Montagna: poesia o competizione?

Le vie ferrate: un inquinamento poco appariscente, ma ugualmente grave, che però trova pochi oppositori.

Le estati del turismo alpino da alcuni anni fanno accendere una dura polemica fra i sostenitori dei percorsi attrezzati che portano in vetta e chi le ostacola. Fra i primi troviamo gran parte delle guide alpine, fra i denigratori l'alpinista Reinohld Messner, Mountain Wildemess ed in teoria il Club Alpino Italiano.

Le montagne alpine sono ormai percorse da oltre 400 vie ferrate, situate quasi tutte nel versante italiano. Pochissime interessano gli Appennini, puntiforme la loro presenza in Austria e Germania, nonostante gli escursionisti del Nord apprezzino questi percorsi: la costruzione delle ferrate sta ormai diventando moda in Francia, dove le guide alpine si organizzano per costruirle come motivo di richiamo turistico nelle località più apprezzate.

In Italia invece, almeno in teoria, il loro proliferare dovrebbe aver avuto termine da tempo visto che il Cai, con un documento molto esplicito, ha stabilito il divieto di costruirne di nuove. Ma come sempre accade in materia di tutela del territorio e di etica alpinistica, il Cai si mostra forte e convinto del lanciare alti proclami etici, per poi assumere un atteggiamento passivo e rassegnato davanti all'avanzare dell'attrezzatura dell'alta montagna.

Proprio negli ultimi numeri dello Scarpone, la rivista del Cai, troviamo pubblicizzate nuove vie ferrate costruite sulle montagne italiane o da guide alpine o da gestori di rifugi.

L'unica associazione che porta avanti con coerenza il blocco della costruzione di queste vie e propone la demolizione delle più devastanti, quelle che portano fin sulle vette, è Mountain Wilderness. Ma mentre su altre iniziative, vedi eliski, promozione dei parchi d'alta quota e la tutela dei corridoi faunistici questi alpinisti trovano ampie alleanze, sull'argomento ferrate rimangono isolati, attaccati da tutti e fanno inferocire il popolo degli escursionisti di pianura che solo grazie alle vie ferrate riescono a raggiungere con una presunta sicurezza la vetta di montagne superbe.

L'indice di tanto isolamento e incomprensione possiamo verificarlo anche su internet, dove qualcuno si chiede se questi ambientalisti non abbiano obiettivi più seri e devastanti da attaccare -vedi impianti sciistici, alberghi in quota, rifugi che scaricano nei ghiacciai... O più provocatoriamente e dimostrando comunque ben poco acume, si domanda come mai questi ambientalisti, invece di difendere la qualità della vita nelle loro città, si interessino (o in linguaggio più diretto "rompano") su tale argomento.

E' invece proprio partendo da questo argomento che sembra tanto banale che si può valutare la debolezze della cultura ambientalista nella nostra società. Non è un caso che i verdi in Italia siano relegati a forza politica marginale (evidenti sono anche gli errori di strategie o, come nel Trentino, l'assoluta assenza di credibilità e coerenza del gruppo dirigente) nell'ambito della sinistra.

Tutti sono consapevoli che una lunga serie di scalette metalliche o centinaia di metri di cordini metallici non creano inquinamento paragonabile alle devastazioni provocate dalle piste da sci, dagli insediamenti in alta quota, dalla di rompente presenza delle seconde case nelle vallate alpine.

Ma una lettura attenta dell'estensione del proliferare delle vie ferrate, delle modalità del loro utilizzo, ci porta a riflettere con profondità sulle motivazioni che spingono ad andare in montagna. In genere si va in montagna per trovare se stessi, per confrontarsi con la natura, la sua severità, la su spettacolarità. Si cerca un linguaggio comune con quanto è rimasto di selvagge si cercano silenzi, inquietudini eh la vita cittadina ci impedisce di provare, ci si misura con se stessi con le proprie capacità psicofisiche. Con questa visione rimaniamo nel ristretto ambito dell'idealità.

Passeggiando lungo i sentici d'alta quota, o lungo le vie ferrate, cosa troviamo? Tanta impreparazione, chiasso, competizione.

La ferrata è il luogo eccelso della competizione per chi si improvvisa alpinista, cadendo nell'illusione, di conquistare le vette tramite le vie ferrate. La ferrata è lo scrigno delle illusioni. All'utente lascia intendere un rapporto intenso con la montagna, con la fatica, manifesta la certezza della sicurezza. Niente di più falso. Nel salire la parete tracciata con chiodini, scalette e altra ferraglia, si impedisce all'escursionista il rapporto diretto con la roccia, l'esplorazione, la comprensione e quindi la lettura di ogni passo, della qualità dell'appiglio; la scoperta di piccoli anfratti è negata, viene cancellata la poesia, il rapporto autentico dell'uomo con la montagna. La stessa sicurezza è poi relativa, in quanto lungo le ferrate si concentra l'attenzione della massa degli escursionisti, non sempre preparati, che si accontentano del legame con un cordino e che prestano poca attenzione ai sassi, ai loro vicini, alle condizioni meteoriche. In caso di difficoltà c'è sempre un elicottero pronto all'intervento -è il pensiero ricorrente.

Nessuna delle sensazioni, delle emozioni vissute nelle ferrate, per quanto intense esse siano, anche quando le persone interessate sono in buona fede, sommano tante fantasie e raccolgono tanta superficialità.

La montagna oggi non fa che raccogliere i frutti culturali che maturano nell'insieme della vita delle nostre società: cadute tanto profonde di valori risultano quindi ovvie, ma secondo qualcuno sono trascurabili, visto che si incide poco sull'ambiente. Perché dunque tanto accanimento quindi contro le vie ferrate?

E' presto detto. Perché anch'esse contribuiscono alla trasformazione dei rifugi in alberghi, al potenziamento dei sentieri, alla diffusione dei rifiuti in quota.

Perché costruiscono il falso mito della sicurezza e sono causa di incidenti, perché le energie del volontariato nella loro manutenzione sono limitate e a volte, anche da parte delle guide alpine, come si è visto nel caso della Meridie, dotate di scarsa professionalità e attenzione.

Le montagne sono ormai attrezzate in ogni versante, con funivie, seggiovie, viabilità anche pesante. Le aree pulite, destinate alla contemplazione, alla scoperta, alla riflessione, sono rarissime. E' quindi un dovere lasciare gli spazi dell'alta montagna liberi dall'abbraccio mortale delle corde fisse; la minoranza di alpinisti ed escursionisti che chiede aree selvagge vanta dei diritti. Come è giusto tutelare le minoranze linguistiche ed etniche, è un dovere delle pubbliche amministrazioni oggi tutelare le "oasi bianche" dell'alta montagna, tutelare gli ambiti rocciosi, le vie storiche che hanno costruito i valori dell'alpinismo, tutelare chi nella montagna ricerca se stesso, ricerca poesia, sogno.

Questo è il messaggio che Mountain Wildemess prova a lanciare, questo è il percorso culturale che il mondo del Cai, dei professionisti della montagna, per ora rifiuta di accogliere.

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