Sport e montagna in un incontro deludente
A Fondo, in val di Non, si è discusso dell’uso della montagna. Ma l’impostazione - soprattutto dei politici - resta quella di trent’anni fa.
Mentre si ultimavano i preparativi di una straordinaria edizione della Ciaspolada tenuta a Fondo su un anello di cinque chilometri di neve artificiale e imposta alla distesa prativa del paese, si è anche discusso di montagna e di attività sportiva in questo ambiente tanto delicato.
L’occasione è stata offerta dall’avvio ufficiale delle celebrazioni dell’Anno Internazionale della montagna, celebrazioni che dovranno far riflettere quanti in montagna vi vivono e specialmente chi abita i monti più sfruttati dell’intero pianeta, le Dolomiti.
Non aiuta a riflettere in senso positivo la gestione italiana che viene fatta di quest’anno: siamo partiti con l’apertura degli Stati Generali a Torino a fine settembre dello scorso anno e si è avuta l’impressione di assistere ad un appuntamento mercantile. A fine anno si è tenuta la convention inaugurale a Saint Vincent (Val d’Aosta), con centinaia di pinguini, gli ospiti, tutti obbligati a presentarsi in abito nero e camicia bianca, guidati dall’inopportuna presenza di Mike Bongiorno, che era fresco reduce dal clamoroso falso televisivo del suo arrivo al polo Nord (in realtà era stato portato fino al circolo polare artico e poi si era fatto trasferire in elicottero nelle vicinanze del polo solo per le riprese e conseguente trasmissione in …diretta della sua avventura).
L’anno Internazionale della montagna è nato come uno degli appuntamenti decisi dalla Conferenza di Rio del 1992, un anno voluto dall’ONU, affidato, certo non casualmente, nella gestione, all’organizzazione che segue i temi della fame nel mondo, la FAO. Ma come sempre accade in Italia, su ogni appuntamento scendono i falchi e le pressioni del mondo politico: l’organizzazione di tante iniziative che ruoteranno attorno a questo appuntamento avranno ben poco a che fare con lo studio della sviluppo sostenibile in montagna e della diffusione del benessere, inteso come qualità del vivere.
Il Convegno di Fondo poteva rappresentare un avvio importante: abbiamo invece dovuto ricrederci e rilevare come sia stata solo una veloce passerella di personaggi e politici, tutti impediti, dai tempi stretti, a costruire un dialogo sui temi che venivano affrontati o messi sul tavolo del dibattito. Tanti pezzi di un mosaico, quindi, privi di un collante, di un percorso, e il tutto intriso di ambiguità.
L’assessora Berasi non è riuscita a sfuggire a questo tranello, anzi, lo ha alimentato nell’introduzione dando per scontato come l’economia intera del Trentino sia turismo invernale, come questa attività vada gestita a suo dire in equilibrio, anche con l’uso e l’abuso che leggiamo in questi giorni della neve artificiale, anche attraverso lo sperpero energetico presente in ogni vallata trentina, anche attraverso inopportune sponsorizzazioni di presunte "Agende 21" come quelle avviate in valle di Fiemme e dei cui contenuti e programmi non sono a conoscenza neppure i consigli comunali interessati, come abbiamo letto proprio in questi giorni sui nostri quotidiani grazie all’iniziativa di due consiglieri del gruppo di minoranza della sinistra.
Alcuni passaggi importanti ci sono comunque stati: il direttore dell’APT, dott. Ernesto Rigoni, ha presentato il trend di abbandono delle piccole e medie località sciistiche negli Stati Uniti e ha rilevato il continuo calo di sciatori in quel paese: dagli oltre 11 milioni di entrate del 1990 agli 8 milioni e 800.000 del 1998, dalle 807 stazioni dell’annata 78-79 alle sole 507 del 1997-98. Dati, questi, che secondo Rigoni vanno letti in modo inverso: proprio perché anche l’Europa è interessata da questo calo tanto diffuso, a suo dire sembra necessario difendere anche le aree più marginali. Forse si pensa al rilancio del Roen, del Passo Broccon, della Polsa grazie a cospicui fondi pubblici?
Si deve proprio dire che gli stessi responsabili dell’organizzazione dell’anno internazionale della montagna non hanno aiutato i presenti ad accrescere la fiducia nel loro agire, tanto è stato sconclusionato e irrazionale l’intervento del suo rappresentante, così come sono stati forti i dubbi lasciati da personaggi anomali della cultura montana, come il canoista olimpionico Antonio Rossi che fuori storia sposa lo sport-evento della montagna, o Marino Giacometti, che legge nella montagna un palcoscenico dove inserire ogni tipo di impresa, ogni sensazionalità. Questi interventi, queste scelte cancellano ogni specificità del vivere in montagna, ogni tradizione, e aiutano il processo di colonizzazione culturale delle nostre vallate da parte delle imposizioni provenienti dalle lobby delle pianure.
Solo il giornalista Giorgio Balducci dell’associazione giornalisti di montagna e il grande alpinista Fausto De Stefani sono riusciti a riportare qualche riflessione concreta su cosa sia divenuta oggi la montagna. Dura la critica di Balducci contro i nani e le ballerine, riferendosi a Saint Vincent o il messaggio di Fausto. Questi si è detto ancora alla ricerca di obiettivi, di trovare capacità per inserirsi nella montagna con diletto e da dilettante, per ritrovare quanto si è perso nelle pianure e nelle città: ritmi più consoni all’uomo, il valore della pigrizia accanto a quello della fatica e il desiderio della lentezza, anche perché - ha concluso il suo breve intervento -"oggi andiamo talmente veloci che non riusciamo più a leggervi una meta".
Ci sarebbe stato molto da dire sulla montagna: le condizioni meteoriche, la totale mancanza di neve, la siccità diffusa su tutto l’arco alpino avrebbero potuto aiutare nell’aprire riflessioni di ben altro respiro. Ma il respiro è stato impedito.
Rimane forte, sul finire del convegno, la riflessone del direttore dell’azienda turismo di Saint Moritz, Jürge Capol: sappiamo organizzare i grandi eventi, ma questi non ci servono più.
Solo il 30% dei nostri ospiti ormai scia, dobbiamo riflettere su quanto sta avvenendo nelle vendite di prodotti sportivi invernali in Francia: solo 400.000 paia di sci all’anno, in continuo calo, 60.000 tavolette (in leggero costante aumento), ma ben 100.000 paia di "ciaspole", con una impennata nella crescita in questi ultimi due-tre anni.
Sono dati che lasciano aperti spiragli di fiducia in chi ancora sogna la montagna tradizionale, in chi rifiuta l’omologazione delle nostre vallate alla domanda proveniente dalla pianura.
Ma si è avuta chiara la sensazione che il mondo politico trentino, specialmente dopo aver sentito l’intervento dell’assessore verde, e gli organismi che stanno costruendo la politica turistica del futuro, non abbiano ben presenti questi obiettivi: siano ancora fermi agli indirizzi impostati negli anni ’70.