Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 3, 7 febbraio 2004 Servizi

Ci tolgono perfino l’ora d’aria

I recenti assurdi divieti nella pratica dello scialpinismo, contro la montagna e la libertà. Rispondere con forme di disubbidienza civile? Intervista a Mauro Giongo.

Passeggio per Cavalese ed incontro un simpatico gruppo di ragazzi del paese. Dopo i saluti di circostanza, parlando dei nostri boschi, imponenti e quasi invasivi, cito alcune delle vallate più importanti della nostra valle. Mi accorgo che i ragazzi rimangono perplessi: non conoscono quelle località e devo quindi indicarle, lì, a due passi da noi, proprio di fronte o appena spostate verso Tesero.

Da troppi anni mi accorgo che nelle valli alpine si conosce sempre meno il territorio che racchiude i paesi di montagna. Questo recente episodio ne è una conferma.

Pochi giorni fa, al MART di Rovereto, si è tenuto un convegno sulla montagna e la qualità dello sviluppo. Anche durante quei confronti di qualità, emergeva con forza, nella relazione dello scrittore Enrico Camanni, l’ignoranza e la superficialità con la quale i media discutono di montagna, quando ne discutono. Titoloni e scandalo davanti alle tragedie, o in caso di calamità naturali, alluvioni o eventi franosi. L’altra montagna, quella del vivere quotidiano, dei silenzi, della sua lenta e sempre diversa routine, delle innovazioni o delle fatiche, non fa notizia. La montagna del legno, della fauna selvatica, delle acque o dei ghiacci, delle rocce superbe, dopo le grandi imprese delle conquiste alpinistiche, è stata cancellata.

Questa caduta di tensione, di attenzione e quindi di conoscenza, non poteva che portare anche gli amministratori delle località alpine a scelte incredibili, alcune della quali vanno a ledere diritti fondamentali degli individui. E’ il caso dei divieti imposti con ordinanze sindacali agli scialpinisti.

Da Canazei fino ad Andalo, in presenza di una normale nevicata, diversi sindaci hanno emesso ordinanze che vietano in modo assoluto, senza limiti temporali, la pratica dello scialpinismo sul territorio comunale.

Lo scialpinista è un tipo strano. Evita gli impianti di risalita per cacciarsi in ambiti dove si beve il silenzio, trova ancora il tempo per cercare tracce di animali selvatici e si emoziona davanti alla neve scavata dal gallo forcello per ricavarne un precario rifugio notturno, si ferma in prossimità della corteccia ricca di crepe, ruvida di un larice imponente. Passeggia così nei boschi, in piena solitudine, anche quando accompagnato da fidati amici, risale con lentezza pascoli e forcelle delle nostre montagne per poi regalarsi una discesa che lo emoziona.

Nello scendere, sceglie le dune sulla quali saltare e quelle da evitare o si infila in una vallecola alla ricerca della neve più polverosa e leggera, o si adatta ai lastroni levigati dal vento; è costretto e diventare un tutt’uno con la neve e deve accettarne le caratteristiche che cambiano, da versante in versante, dall’alto verso il basso, quando lavorata dal sole o se tenuta in ombra.

Altre volte si mette alla prova, verifica lo stato di efficienza del suo fisico e risale, cronometro e cardiofrequenzimetro alla mano, pendii conosciuti, arrivando in vetta, o sulla forcella, quasi sconvolto, ma sempre felice, capace di ascoltare i ritmi della natura, del vento e carpire i segreti di quella particolare neve e della giornata.

Questi sindaci, sempre pronti a lasciare mano libera alle ruspe e alle auto dei cacciatori sulle montagne, avranno pensato che simili sensazioni nel terzo millennio vadano prontamente cancellate.

Sono sindaci che hanno fatta propria la superficialità dei media nel parlare di montagna, sindaci che, come quei giovani incontrati, sono sempre più lontani dalla montagna, sindaci incapaci di affrontare con equilibrio le responsabilità che su loro ricadono e cercano le scorciatoie, le ordinanze per poter dormire sonni sereni.

Dello scialpinismo fuorilegge abbiamo parlato con Mauro Giongo, scialpinista e figura ormai storica degli uffici trentini del Soccorso Alpino trentino.

Mauro, non solo non ci lasciano più salire le piste in notturna, ma ora proliferano i divieti della pratica dello scialpinismo in tanti comuni, nel nome della sicurezza. Cosa ne pensi?

"La montagna è anche rischio: in ogni situazione, anche in ambienti che a volte ci possono sembrare facili, quasi banali, ci si avventura verso una possibile incognita. In alta quota, fuori dagli ambiti urbanizzati, ognuno si assume i suoi rischi, quindi la sua parte di responsabilità verso se stesso e verso gli altri. Se rapportiamo il numero di incidenti alla reale frequentazione delle alte quote, gli infortuni, specie mortali, sono proprio pochi. La stampa amplifica ogni disgrazia, sembra non sia in grado di cogliere altri aspetti del vivere in montagna, o forse il lettore insegue queste tragedie e impone di trascurare altri contenuti".

Ma questi divieti hanno un senso?

"Assolutamente no; possono trovare giustificazione in presenza di una nevicata eccezionale, ma dovrebbero rimanere circoscritti nel tempo, due, al massimo tre giorni. La montagna offre straordinarie possibilità di scelta nei percorsi, nella scelta del livello di rischio: per noi alpinisti anche questo aspetto ha il suo fascino: ci permette di valutare le nostre reali conoscenze del territorio, della neve, ci permette di vivere la montagna in ambiti non consoni, non standardizzati.

In montagna non possiamo annullare la fatica, il rischio, l’incognito: se si prosegue in questa direzione si cancella l’esperienza, la montagna stessa".

Quindi dopo i divieti di percorrere le piste di notte per allenamento oggi vi si toglie la libertà di viaggiare nei silenzi, anche di giorno...

"Certo, da tempo gli amministratori ci stanno limitando in tutte le libertà. Ci strappano anche l’illusione della libertà. Ma forse ci meritiamo tutto questo e ci può anche far bene. Così oggi ci rendiamo tutti conto dei livelli di costrizione e omologazione ai quali siamo costretti a sottostare, più o meno coscientemente. Con questo ultimo passaggio ci tolgono perfino l’ora d’aria".

I divieti di salire le piste di notte hanno un senso: gli autisti dei mezzi battipista non possono correre il rischio di imbattersi in uno sciatore munito di frontalino o sentire una vita che si spezza contro una fune che fa da ancoraggio al gatto delle nevi.

"Ma come? Ci hanno imposto delle piste che sfregiano boschi e versanti, le piste attraversano proprietà pubbliche, eppure gli impiantisti, almeno fino ad ora, non si sono comprati la montagna. Le piste, per come vengono costruite oggi, devastano il versante. Si impone l’innevamento artificiale, troviamo plinti in cemento ovunque. Si livellano dossi e si tolgono perfino i sassi più piccoli. A chi usufruisce degli impianti viene permesso di scendere fuoripista incidendo con le lamine piante giovani, creando disturbo ovunque, su aree sempre più vaste. In questa situazione ci si permette di utilizzare poliziotti e forestali nella caccia agli scialpinisti?

Uno scialpinista notturno in genere si allena, è preparato, i fari ed il rumore dei battipista li coglie a grandi distanze, conosce i rischi. E poi, quella degli ancoraggi è una sciocchezza: vengono usati in rarissime situazioni. Non abbiamo altre possibilità che allenarci e tenerci preparati con le uscite notturne. Certo, per chi vive la sua vita dentro gli standard ed i tempi imposti le nostre scelte possono sembrare perlomeno strane".

A questo punto cosa pensate di fare?

"Non saprei. Spero che la presa di posizione della SAT permetta a questi sindaci troppo solerti delle riflessioni; se si fa qualcosa l’azione deve coinvolgere le centinaia di frequentatori degli spazi liberi delle nostre montagne. Una prima azione dimostrativa, che aveva riscosso grande successo, si era già tenuta nel dicembre 2000 ad Andalo. Forse è necessario riprendere queste azioni di disubbidienza civile.

Certo, oggi ci vorrebbero perfino imporre di non pensare. Chi pensa, chi ancora interagisce con la montagna e i boschi, infastidisce sempre più...".