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Trombati e arrabbiati

Elezioni: il difficile fair-play dei perdenti

Una volta (neanche molto tempo fa, ma sembra un secolo) il dopo-elezioni era ben poco eccitante: da un lato gli spostamenti nei rapporti di forza fra i partiti erano minimi e consentivano quindi a quasi tutti di cantar vittoria o almeno di proclamare la propria "tenuta" all'interno di una situazione dipinta come terribilmente sfavorevole. In secondo luogo, la stampa, molto più ingessata e ossequiente, si permetteva assai raramente di rivolgere agli sconfitti domande indiscrete o di riportare dichiarazioni imprudenti dettate dal nervosismo di un risultato deludente.

Ora non più, sicché abbiamo modo di valutare, oltre alle cose più importanti, anche certi dati caratteriali di questo o quel politico, cosa di cui sarà bene tener conto se si ripresenterà all'esame del voto.

Argomento principe per spiegare un risultato scadente (utilizzato soprattutto da Lega, Patt e Centro) è l'ostilità della stampa, o per meglio dire l'occhio di riguardo che i giornali avrebbero avuto per Lorenzo Dellai: accusa non del tutto infondata, ma solo fino alla vigilia della campagna elettorale, e che comunque spiega ben poco, visti per dirne una i successoni riscossi dalla Lega fino a poco fa, pur in presenza di mezzi d'informazione concordemente ostili. In questa marea di lamentazioni, si distingue Franco Tretter, che della scarsa benevolenza della stampa mostra di aver patito in termini esistenziali: "Io faccio questo rimprovero ai mezzi d'informazione: di non aver spiegato cosa abbiamo sofferto in questi cinque anni " ha detto ai microfoni della Rai, per poi ribadire a Tca: "Io non faccio la vittima, ma è chiaro che in certi momenti ci siamo sentiti soli".

Il tema più ricorrente è però quello del destino cinico e baro, o più precisamente della stupidità degli elettori. Qui le citazioni da fare sarebbero infinite: da Francesco Moser ( "Ho capito che nella politica la chiarezza non paga. Bisogna dire delle bugie e allora si viene eletti") ad Alberto Pattini ("Il nostro progetto non è stato compreso dalla gente " (L'Adige); "Mi sono sempre occupato dei più deboli. Anche il mio impegno sull'inquinamento di Trento nord è in questa direzione. Tutto inutile" (Alto Adige). Dal leghista Alessandro Savoi ( "Non me la so spiegare, questa sconfitta: abbiamo lavorato come i matti, tra la gente") al forzista Giorgio Manuali, che non sa darsi pace: "Avessi preso almeno 1500 preferenze (si è fermato a 1065, n.d.r.), ma questo risultato proprio non me lo spiego. Sono profondamente deluso perché è nettamente inferiore alla mia presunzione. Credevo di avere un budget di voti maggiore, vuol dire che sono stato presuntuoso: dovrò riflettere, riconsiderare il tutto perché lo ritengo un insuccesso molto profondo."

Fino a Boso, che pure è stato eletto, ma che è arrabbiato lo stesso per la sberla presa dal suo parito: "I trentini continuano a votare per chi gli da sui denti. E' un popolo masochista". Da queste e altre dichiarazioni emerge un singolare modo di ragionare, che vede l'attività politica in puri termini quantitativi: "lo mi sono fatto un mazzo tanto - ragionano questi signori - eppure non mi hanno votato. E' ingiusto, è assurdo". Che nella valutazione degli elettori abbia un qualche peso anche la qualità di questo impegno, è una sofisticheria che gli sfugge completamente.

La depressione post-sconfitta elettorale ha poi l'effetto di riaccendere le ostilità interne, messe fra parentesi in occasione della caccia al voto, e addirittura di suscitarne delle nuove. Nel Patt si riapre inizialmente a mezze parole, poi in crescendo l'eterno conflitto fra le due anime del partito, e a livello roveretano con toni un po' più accesi il dissidio fra Giuseppe Chiocchetti e Carla Tomasoni.

Divina, rassegnato, esprime qualche preoccupazione per le prevedibili intemperanze di un suo collega leghista: "Credo che dovrò tenere a bada le tante focosità di Erminio Boso". Più pesante, il lapidario giudizio che Mirko Caretta, mancato eletto di Rifondazione, dà del suo compagno di partito Danilo Gasperotti, da lui accusato di sabotaggio: "Con lui il problema era più psichiatrico che politico".

Addirittura furibondo (per sua stessa ammissione) contro il proprio segretario è infine Mario Stablum, di AN, "Taverna è una testa di c. (la censura è dell'Alto Adige, n.d.r.). Chiedo l'immediata convocazione di un consiglio provinciale del partito per la sua manifesta incapacità di guidarlo. Se non abbiamo fatto il terzo consigliere è solo per colpa sua. Ha voluto far fuori i lavoratori, come lo sono io, che indosso la tuta perché faccio l'imbianchino. Sì, sono furibondo..."

E chiudiamo come abbiamo iniziato: con una tipica frase retorica di Franco Tretter, apprezzabile comunque per l'implicito invito alla rassegnazione che contiene: "Non abbiamo vinto, ma non abbiamo perso la fede ".

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