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Venti giorni di guerra

Pacifisti, guerrafondai e squinternati scrivono ai giornali.

Il campione - un centinaio di lettere ai quotidiani locali nei primi venti giorni di guerra - non è scientifico, ma si presta comunque a qualche considerazione. Anzitutto si nota un’assoluta prevalenza di giudizi negativi in merito ai bombardamenti della Nato; pensavamo - sbagliando - che esistesse se non una maggioranza, almeno una minoranza corposa di persone che, di fronte a un’informazione che mostra soprattutto la tragedia dei kossovari (di Belgrado bombardata si vedono incendi ed edifici distrutti più che persone che soffrono), dopo le iniziali perplessità fosse decisamente propensa a proseguire la guerra, così come sta avvenendo negli Usa, dove i sondaggi dicono che ormai anche un intervento via terra sarebbe accettato tranquillamente.

E invece nove lettere su dieci condannano senza esitazione la guerra. Con quali argomenti?

Essenzialmente si rileva la violazione del diritto internazionale e ancor più un moralismo "selettivo" che porta ad intervenire in alcune aree del globo e ad ignorarne altre: "Se davvero ci fanno pietà i bambini morti e i civili in fuga - scrive un lettore - perché ci siamo limitati a uggiolare assistendo ai fatti del Congo, del Burundi e via elencando?" E un altro: "Nella forze Nato sono impegnati pure aerei della Turchia, che non riconosce il diritto all’autodeterminazione dei curdi e li massacra da anni, forse con gli stessi caccia con i quali oggi difende i kossovari".

Un altro elemento che ritorna è la sfiducia, dopo l’esperienza irakena, nei bombardamenti "intelligenti": una sfiducia che anche l’esperienza di queste settimane giustifica in pieno.

Nel filone pacifista confluisce qua e là anche qualche residuo di anti-americanismo: "Chi sono questi chewing-gum gonfiati che non esitano a scorreggiare su quanto non si conforma alla loro infantile, patologica abitudine al dominio? Chi sono questi ridicoli moralisti a senso unico, cristiani quando conviene e puttane quando serve?"

Inevitabile, infine, il ricorso alla retorica, del tipo "la guerra non risolve niente, è il perdono che conta, tanto come la vita (...) In tutti voi c’è l’amore: se vi impegnate, vi dovrebbe venire spontaneo di amarvi l’un l’altro..."

Se le lettere contrarie all’intervento della Nato riprendono - com’era prevedibile - le argomentazioni lette e ascoltate sui mass media, i pochi interventi favorevoli appaiono più "autonomi" rispetto al dibattito nazionale e sembrano piuttosto dar voce a privati sentimenti di astio contro il pacifismo e la sinistra in genere. Un signore se la prende contro "quella raccogliticcia schiera formata da pseudo-pacifisti (a senso unico, è solo antiamericanismo), verdi (che inquinano come tutti gli altri) ed il rimasuglio degli ultimi comunisti".

Un altro lettore, in occasione di una manifestazione, ha "notato un fatto curioso: nessun cartello criticava Milosevic...; gli assassini erano invece indicati negli americani, gli stessi americani che sconfissero a suon di bombe il sig. Hitler... Se a capo degli assassini, anziché un sincero democratico come Milosevic ci fosse stato uno sporco fascista come Pinochet, quale atteggiamento avrebbero assunto i progressisti antimilitaristi e antiamericani?"

E a chi obietta che gli Usa intervengono per difendere i diritti umani solo là dove sono in gioco i loro interessi (anzitutto petroliferi), un terzo replica con questa cinica argomentazione: "La vostra macchina va ad acqua? No? Se va a benzina come tutte le altre, siete sicuri che quel carburante che vi permette di andare a lavorare o a spasso non sia di produzione americana? Nel dubbio, se volete avere un minimo di credibilità e dare un senso alla vostra protesta, incominciate ad andare a piedi".

Ma a prescindere dagli avvenimenti di quest’ultimo decennio, per qualcuno i bombardamenti sono comunque sacrosanti, giacché rappresentano "la restituzione delle atrocità perpetrate dagli allora jugoslavi di Tito durante l’ultimo conflitto mondiale".

C’è poi, come sempre accade nel discutere di questioni controverse, chi rifiuta di vedere la complessità delle situazioni e se ne esce con una sua miracolosa ricetta; in questo caso, basterebbe "riesumare l’istituto del tirannicidio. (...) Se venisse attuato, non occorrerebbe più il costoso esercito dell’Onu; basterebbe un occhiuto reparto di polizia che, dopo aver attestato l’eventuale disumana condotta di capi di governo e di stato, dovrebbe giustiziarli, risparmiando così migliaia di vittime innocenti".

Ma la palma dell’intervento più singolare (e ripugnante) spetta ad un signore (che comprensibilmente non si firma per esteso) che così espone il suo credo filo-serbo, razzista e leghista: "Questa guerra ha lo strano aspetto d’una creatura sogghignante, mostruosa e grottesca, con naso gibboso a becco, vestita d’un caffetano nero adornato di oscuri e tenebrosi simboli: pentalfa, sigillo di Salomone o stella di Davide, dollaro, squadra e compasso."

Insomma, "una vera guerra della giudeo-massoneria d’oltre Atlantico contro l’Europa cristiana e bianca! Prima la Serbia, poi magari la Padania?"