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“Una storia della giustizia”

Paolo Prodi, Una storia della giustizia. Il Mulino, Bologna, 2000, pp. 500 , £.50.000.

La società moderna, agli individui e ai gruppi che rivendicano "diritti", si sforza di rispondere con il "diritto". Cioè con un’impalcatura di norme, un codice scritto e oggettivo, diviso in articoli e commi, innalzato per soddisfare i bisogni.

Paolo Prodi

Racconto un’esperienza personale. Lo statuto degli studenti e delle studentesse, entrato da poco in vigore nella scuola italiana, elenca con precisione minuziosa i diritti e i doveri dei giovani allievi, la scala delle punizioni, dal richiamo all’espulsione, e gli organi legittimati ad erogarle. Prevede infine, ad ulteriore difesa, una commissione di garanzia, presieduta dal preside, e composta da un insegnante, da uno studente, da un genitore, eletti dalle rispettive componenti, alla quale può ricorrere il giovane se ritiene ingiusta la punizione.

Succede dunque che un consiglio di classe della mia scuola punisca con un giorno di sospensione alcuni studenti "indisciplinati", che questi contestino il provvedimento, e decidano di avviare la procedura di ricorso. Il caso è faticosamente risolto a giugno, un giorno prima della conclusione dell’anno scolastico, dopo mesi di lavoro indefesso, di riunioni informali e formali, ristrette e plenarie, con verbali scritti e riscritti. Nella lettera di ricorso un giovane annuncia, tanto poco si fida della sua scuola, che sta pensando addirittura di ricorrere al Tar, per farsi togliere quel breve giorno di sospensione. La minaccia è sventata perché le persone coinvolte trovano poi faticosamente la strada per de-giuridicizzare quel caso, per trasferirlo dall’ambito della legge a quello di una discussione civile.

Dal diritto all’etica, dalla "società" alla "comunità", dalla Gesellschaft alla Gemeinschaft, direbbero i sociologi tedeschi. Chiusa la fase giuridica, il risultato educativo lo verificheremo quest’anno, dal comportamento di quei giovani "indisciplinati", anzi dalla relazione nuova che in aula insegnanti e studenti riusciranno insieme a costruire. Lo verificheranno anzi, perché per me, catapultato ingenuamente nella commissione di garanzia, il lavorio di degiuridicizzazione del caso, di invenzione di un "foro interno" comunitario, capace di affiancare, fin quasi a sostituire, quello "esterno" legale, è stato logorante all’eccesso. Anche gratificante, ma da non ripetere più.

La lunga introduzione esemplifica le due caratteristiche che il diritto positivo ha sviluppato in Occidente: la pervasività e l’autoreferenzialità. Si hanno ricorsi in tribunale per i rapporti sessuali tra i partner, tra docenti e studenti, tra padri e figli, tra medici e pazienti. Quando però il diritto positivo tende a normare tutta la vita sociale, e si illude di risolvere ogni problema e ogni conflitto, è la crisi, afferma Paolo Prodi. Lo storico non fornisce soluzioni, ma pone problemi, aiuta a capire come le cose sono andate in passato e come esse condizionano, in modo spesso inconscio, il nostro presente.

La natura della crisi attuale del diritto è questa: "per la prima volta ci troviamo di fronte in occidente alla norma ‘ad una dimensione’, e quindi a un solo foro, quello del diritto positivo, della norma scritta". E’ oggi venuta meno quella dialettica fra etica e diritto, fra coscienza e legge, fra peccato e reato, che è stato il "respiro" della cultura occidentale. Partendo da Gerusalemme e da Atene, dal Deuteronomio e da Antigone, essa ha reso possibile la nostra crescita liberale e democratica. E’ vita il respiro, ma ha bisogno di sistole e diastole, di chiusure e aperture, del dentro e del fuori.

Mentre nell’antica Grecia la coscienza del soggetto coincideva sostanzialmente con l’ordine oggettivo del cosmo, "la polis era stato e chiesa ad un tempo", nel mondo ebraico la giustizia viene sottratta al potere e riposta nella sfera del sacro. Il peccato, come colpa nei riguardi di Dio, in Israele è così distinto dal reato, come violazione della legge degli uomini.

Paolo Prodi si sofferma soprattutto, attraverso una massa di documenti e di figure, a spiegare il passaggio dal dualismo medievale degli ordinamenti, il Papato e l’Impero, concorrenti nella guida della stessa "respublica christiana", al dualismo moderno delle due sfere, la coscienza e il potere politico, che tendono a definire competenze diverse nell’ambito dello stesso spazio territoriale, quello dello Stato assoluto confessionale. A Prodi non interessano le controversie giurisdizionali fra Stato e Chiesa. Gli esiti teocratici o cesaristi del conflitto vincolano, entrambi, la coscienza al potere mediante il ricorso al sacro. E’ nel modello teologico-politico contrattualista che il dualismo svincola, a livello antropologico, la sfera della coscienza dalla sfera del potere.

La Chiesa, nel processo di secolarizzazione, o meglio di de-magificazione del mondo, è non solo peso ed ostacolo, ma anche protagonista attivo: sta nel discorso evangelico "rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio" il germe sia della necessità sia della desacralizzazione del diritto e della politica. Del loro valore e del loro limite insomma.

Paolo Prodi analizza con acutezza, psicologica oltre che storica, i passaggi fondamentali di questo cammino. Cito, ad esempio, il passo sulla confessione dei peccati, alle origine dell’età moderna, come fattore di controllo sociale e sintomo dello smarrimento dell’uomo: "La paura deve essere così storicizzata: non è la paura senza tempo del buio, del male, della morte, né quella che deriva da una religione che inventa fantasmi e torture. La paura è l’ansietà di un uomo che in questi secoli viene scardinato dalla catena degli esseri, non ha più una posizione fissa e determinata in un ordine fisico e morale del cosmo, non è più inserito in una immutabile gerarchia del creato, ma che diviene a poco a poco sempre più solo, separato non solo come individuo dalla società che lo circonda …ma anche dalle generazioni che lo precedono e lo seguono in un mondo continuamente in trasformazione, che sperimenta un mutamento antropologico e culturale senza precedenti. …In quest’epoca di costruzione dello Stato moderno il problema diviene quindi il controllo dei comportamenti ma soprattutto il controllo delle coscienze. (…) Di fronte alla pressione del potere per trasformare ogni peccato in delitto e ogni delitto in peccato la pratica tradizionale del sacramento diviene impotente. Il problema è che lo strumento della confessione si dimostra via via più incapace di conciliare le due diverse obbedienze, alla coscienza e alla legge, in proporzione alla crescita del diritto positivo della Chiesa e dello stato."

Per usare il concetto di Gabriel Le Bras, c’è stata per secoli "una vitalità sociale della Chiesa", della quale Prodi, come storico, analizza la funzione di "foro" di giudizio alternativo sulle azioni dell’uomo. Sul processo di scristianizzazione, come credente, si interroga dolorosamente. "Le Chiese hanno perso la capacità di creare norme morali e di costruire una sede alternativa di giudizio? E’ possibile pensare a leggi morali di cui le Chiese siano interpreti in un mondo globalizzato e composito come il nostro?" Nella duplice crisi attuale di impotenza, di scomparsa del senso del peccato e di ampliamento del numero dei reati, che cosa potrà disciplinare la condotta umana? L’auspicio di Prodi, a conclusione della ricerca, è che i due poteri, quello terreno e quello spirituale, tornino ad esistere così come li abbiamo conosciuti nella nostra esperienza di uomini occidentali.

Io penso che la funzione delle Chiese come fattore di disciplinamento sociale sia storicamente esaurita. La modernità, a cui il cristianesimo ha dato un contributo fondamentale seppure contraddittorio, sta svelando ai credenti una fede "altra" da quella che hanno conosciuto e praticato. Proprio nell’incontro con i non credenti essa appare non totalitaria, ma come un atto di libertà. Ernesto Balducci parlava, con radicalità, di fine del Cristianesimo: "Non si deve chiedere al Vangelo ciò che non può dare. Non si può chiedere al Vangelo una dottrina antropologica, né una dottrina morale, né una dottrina ascetica. Ciò che nel Vangelo appartiene all’antropologia, alla morale, all’ascetica, appartiene alla cultura che fece da contesto all’annuncio dell’evento pasquale. E’ improprio chiedersi quale sia la concezione cristiana del corpo". Sulla sessualità, sull’aborto, sull’eutanasia, sulle manipolazioni genetiche, oltre che sulla politica, i cristiani non dispongono di verità certe e definitive. I cristiani, lievito nella pasta, in gruppi di piccole dimensioni, sono in ricerca, umilmente, insieme con tutti gli altri uomini.

In un orizzonte culturale e scientifico in cui il tempo acquista una funzione essenziale, il passaggio da una prospettiva statica ad una dinamica coinvolge anche la teologia. "L’azione di Dio non è causalità efficiente o finale, ma creatrice: non fa le cose, ma concede ad esse di farsi, non impone leggi, ma suscita movimenti che si strutturano secondo leggi, non costringe all’azione in modo deterministico, ma offre possibilità varie alle creature. (…) La perfezione dell’uomo non è all’inizio, ma al termine del processo. L’armonia non è un dato da conservare, ma un compimento da realizzare" - spiega Carlo Molari.

La riflessione sulla dottrina della giustificazione rimane centrale per gli storici e i teologi preoccupati di coltivare l’intelligenza della fede. La rottura fra cattolici e protestanti è avvenuta sul problema del conflitto fra legge e coscienza, e alle due soluzioni, quella evangelico-riformata e quella cattolica-tridentina, Paolo Prodi dedica due capitoli fra i più profondi del volume. Alla ricomposizione di quella frattura è tesa, meritoriamente, la Dichiarazione di Augusta del 1999. Eppure, notava Paul Ricoeur nel suo intervento al convegno di Trento intitolato quest’anno a Martin Lutero, questa dottrina non è l’intero messaggio biblico. In quelle proposizioni tutti i termini sono "rigorosamente pesati e soppesati, le virgole calcolate, le argomentazioni sottoposte a una logica inflessibile della non contraddizione, poco sensibile al paradosso e alla fatica dei simboli."

La coscienza contemporanea invece è piuttosto quella sfrangiata e frammentata di Zeno Cosini e del signor K., che si svela attraverso gli ossimori e i paradossi della letteratura del ‘900. Paolo Prodi indica anche questa pista di indagine, ma allo storico rigoroso essa appare solo crisi da "sbandamento". Ci sono invece, a mio giudizio, disorientamento e ricerca, in quelle foreste di simboli che fluiscono disordinatamente dalla coscienza.

Anche i giuristi più colti sanno che il diritto non riuscirà mai a registrare il magma della vita, che la legge non può essere un fattore di ordine reale. "Il diritto è una forma di civilizzazione in cammino, non è pura risposta repressiva nei confronti degli eventi. Il diritto rispecchia il livello culturale della società, non può quindi risolvere tutti i problemi della società, ma avviare una soluzione" - spiega Luigi Bonanate.

La religione, certo, è stata in passato soprattutto fattore di coesione sociale. Nell’età in cui dominano l’economia di mercato e la tecnica capace di modificare anche l’uomo, può la religione essere un pensoso fattore di critica dell’assetto esistente? Le Chiese sembrano aver perso la capacità di creare norme morali, condivise in profondità dagli stessi fedeli. "Esistono altre possibili sedi in cui questa capacità possa ricrearsi?" - si domanda Paolo Prodi.

Era reato opporsi a Hitler, nell’età del totalitarismo: eppure il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer si oppose fino al martirio. Non è reato abortire nell’età della democrazia, se il bambino concepito nascerà handicappato, anzi la spinta sociale è a liberarsene, e negli Usa sono già numerose le cause intentate contro i genitori che lo hanno messo al mondo. Eppure qualcuno lo chiama ugualmente alla vita. La dialettica fra etica e diritto si è certo affievolita, ma non è scomparsa. Coscienza viene etimologicamente da cum-scientia, ma oggi è venuta a mancare la comunità che in dialogo elabori. La modernità infatti ha liberato gli individui dall’oppressione, ma li ha lasciati soli. E se la solitudine è luogo di indagini raffinate sul "male di vivere", difficilmente sa predisporre terapie efficaci.

La scuola potrebbe forse essere una sede in cui, attraverso il confronto fra culture e religioni diverse, si elaborano etiche di comportamento che stabiliscano in modo nuovo i legami sociali, senza chiamare troppo presto la legge a sostegno. Ma la fatica richiesta, come prova la piccola esperienza narrata all’inizio, è immane. E altre priorità premono da tutte le parti.

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