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QT n. 21, 25 novembre 2000 Monitor

Stefano Cagol alle Albere

Proviamo oggi a occuparci dell’immaginario di Stefano Cagol, che espone le sue opere (fino al 10 dicembre) a palazzo delle Albere, nell’ambito del ciclo di mostre denominato "Contemporanea". Mi sono sinceramente chiesto se la mia personale difficoltà a interagire con la sua opera non sia, al fondo, dovuta non già al tema (le tendenze autodistruttive della società attuale), ma a quel tanto di ineluttabile e asettico che egli mette nel suo modo di parlarne. Vale la pena approfondire. Ma, prima, occorre descrivere.

Stefano Cagol, "I am a Master" (2000).

La video installazione che occupa la stanza centrale del percorso propone una doppia immagine: da un lato una figura di donna in primo piano su uno sfondo di nuvole; a fianco, la testa di un serpente pronto a scattare, tra le pietre. Al curioso titolo "I am a master" è aggiunta, nel catalogo, l’enunciazione del tema: Eva e la natura.

In questo lavoro troviamo alcuni elementi "linguistici" che ricorrono anche nel resto della sua produzione, non solo di video ma anche di fotografie. Il primo e principale è l’impiego della doppia immagine, in una sorta di "logica binaria". Nelle fotografie questa tecnica assume talvolta il compito di creare un vero e proprio doppio speculare (al modo delle macchie di Rorschach, citato esplicitamente in un titolo). Il secondo è l’accostamento dell’elemento umano (qui la figura, ma più spesso l’ambiente urbano) a quello naturale. Sembrerebbe un rapporto che possa funzionare per contrasto, magari anche capace di scatenare una deriva fantastica. Ma l’uso che fa Cagol del "binomio" va in un’altra direzione. Ogni immagine affiancata o funziona, appunto, come replica rovesciata (addirittura "spettrale", quando viene privata della cromia naturale), oppure come analogia, similitudine secca che chiude subito il gioco delle associazioni. Nel confronto tra la vita della città e la tela del ragno l’idea che emerge senza alternative è quella della rete in cui l’individuo è destinato a cadere (a meno di non essere il ragno). Il confronto con la vita animale, con la natura, assegna a questa un valore simbolico, invece di credere nella sua totale autonomia.

Da un lato, quindi, Cagol propone una visione della natura per frammenti sottoposti alla duplicazione meccanica, dall’altro attinge a un’interpretazione della natura del tutto in debito con la tradizione (anche giudaico-cristiana: Eva e il serpente), in ogni caso carica si simbologie negative. Da peccato originale. In un caso e nell’altro, una percezione, in fondo, della natura come luogo in cui vengono proiettate le nostre paure, sostanzialmente claustrofobica, invece che come cosmo, ordine universale, del quale eventualmente entrare a far parte. Atteggiamento opposto, ad esempio, a quello di Long che lo ha preceduto nelle stesse stanze.

Dal punto di vista dell’uso del mezzo (il video) siamo lontani non solo dalle pratiche antagonistiche degli inizi di questa modalità espressiva, ma anche dall’uso in termini di forte spiazzamento percettivo, di manipolazione delle sensazioni corporee e della stessa percezione di sé dello spettatore che abbiamo visto in varie occasioni negli anni Novanta. Qui l’uso è freddo, lontano non a caso dall’implicare a fondo altri elementi sensoriali, dove anche il suono uniforme, monotono, converge a ridurre, a comprimere il nostro respiro emotivo.

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