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Destra/sinistra: una brutta competizione

Tra destra e sinistra locali: una brutta competizione. Qui vediamo come il centro-destra, scientificamente si faccia del male da solo.

Sembra una gara a perdere,tressette reverso, ciapanò. Il centrosinistra litiga, dimostra al suo interno abissali distanze di cultura e di comportamento (provate a chiedere a un ambientalista cosa pensa di Dellai: saranno insulti da codice penale; o in Provincia a uno degli uomini di Grisenti cosa pensa dei diessini: battute sprezzanti e sorrisi di scherno. Vedi Gli elettori, si tureranno il naso?). Per il centrodestra dunque dovrebbe essere una situazione ideale, elezioni sul velluto: e invece no, ci pensano loro a riequilibrare, a danneggiarsi da soli.

Vediamo una serie di fatti.

Il primo sono i tagli per 250 miliardi a cultura, istruzione e ricerca proposti dal centrodestra al bilancio provinciale. Il fatto sconcerta perché, se è vero che l’enfasi su cultura e istruzione è caratteristica del centrosinistra, d’altra parte sembrava un dato pacifico, nella società tecnologica del duemila, l’importanza decisiva dell’acculturazione della popolazione. Invece no, per il centrodestra queste sono quisquilie; e demagogicamente propone di dirottare parte dei fondi a risarcire i danni della recente alluvione.

Carlo Andreotti (Patt), ex-presidente della Giunta Provinciale, nonchè presidente (nei giorni della sua esternazione) dell'Università.

A chiarire la posizione ci pensa Carlo Andreotti del PATT (quindi, a meno di sorprese dell’ultimissima ora, alle elezioni insieme alla Lega Nord) in un’intervista su L’Adige nella quale, assieme ad alcuni spunti condivisibili (le sospette smanie di Dellai di piazzare l’ITC nell’area ex-Michelin dagli amici di Iniziative Urbane), esprime opinioni sconcertanti: "L’Università fa quello che le pare. E allora noi diciamo: col cavolo che ti do i soldi".

La cosa è grottesca, perché, alla data dell’intervista, Andreotti, da cinque anni ormai, è presidente del Consiglio di amministrazione dell’Università. E non si capisce: l’Andreotti consigliere rimprovera all’Andreotti presidente di non fare le cose giuste?

Oppure è l’Andreotti presidente che, dopo cinque anni, si accorge di non aver combinato quello che avrebbe voluto fare? (Ma questa si chiama autocritica, e come tale andrebbe esplicitata).

Oppure ancora vuole dire che il Consiglio di amministrazione dell’Università non conta, le decisioni le prende il Rettore con il Senato Accademico? (Ma anche questa opzione andrebbe resa con trasparenza, e durante il proprio mandato, non alla fine).

O forse la realtà è più banale, Andreotti tra qualche giorno non sarà più presidente, e allora si sente libero di sparare ad alzo zero, e nel gioco al massacro del tutti contro tutti, delle istituzioni chi se ne frega?

Insomma, comunque un pessimo spettacolo. Andreotti, ex presidente della Giunta provinciale, non solo ha presieduto il cda dell’Università, ma vi ha nominato consiglieri, come pure ha fatto all’ITC. Che ora, perse le cariche, metta in dubbio le politiche di quelle istituzioni, anzi addirittura la loro ragione di esistere, ci sembra altamente squalificante. Come il bambino che vorrebbe rompere i giocattoli non suoi.

E purtroppo questa non è solo una questione personale. Si inserisce a pennello nella politica da sfasciacarrozze del centrodestra.

Secondo episodio: la decapitazione di Alleanza Nazionale. E’ stato lo stesso Gianfranco Fini a decretare il commissariamento di AN trentina: basta con Claudio Taverna e Piergiorgio Plotegher, storici rappresentanti dei neofascisti trentini, il partito viene commissariato dal bolzanino Giorgio Holzmann, esponente di AN post-Fiuggi, che si vorrebbe democratica e responsabile.

Gianfranco Fini, autore del (tentato?) commissariamento del vertice di An trentina.

I nostri lettori conoscono le posizioni di Claudio Taverna, che noi abbiamo intervistato proprio su alcune delle questioni controverse, quali libri di testo, professori di sinistra e cimitero islamico. La nostra idea così si può riassumere: Taverna sinceramente si sforza di essere democratico, e fra alcuni anni lo sarà, ma attualmente è un post-fascista, esprime tutte le contraddizioni di una cultura che tenta di riaggiornarsi, di entrare nel circuito del pensiero e della politica europea. Per Fini questo evidentemente non basta: lui vuole oggi un partito pienamente legittimato, che sappia intercettare non tanto i voti dei nostalgici, ma quello dei moderati. E la cosa è comprensibile.

Poi c’è stato un dietro-front: Taverna e Plotegher sono stati - parzialmente - riabilitati (per un "vizio di forma", "a norma di statuto" - si dice) e Holzman fa - per alcuni mesi - un passo indietro, o di lato.

In soldoni? Ci sono le elezioni, servono i voti dei nostalgici: e allora anche le esternazioni contro i partigiani, i pelosi cavilli contro i cimiteri islamici, le liste delatorie contro i professori di sinistra, possono essere accettate.

All’elenco si può aggiungere la vomitevole storia della gazzarra leghista contro il cimitero islamico.

O la recentissima notizia - ancora non ufficiale, ma quel che conta è il segnale - della presentazione nel proporzionale da parte di Forza Italia di tal Mario Malossini, riconosciuto responsabile di ricettazione e corruzione. Ossia: dell’onestà non ce ne frega un bel niente.

In conclusione, il centrodestra è impegnatissimo a farsi del male da solo.

A presentarsi cioè non come coalizione di governo, ma come assemblaggio di porzioni di elettorato, di cui rappresenta - e talora stimola - le tendenze peggiori: la xenofobia, il ruralismo insofferente della cultura, il post-fascismo, il fastidio verso leggi e regole.

E questo non è bene per nessuno. Neanche per gli avversari del centro-sinistra, che infatti - dopo anni di governo - stanno imbastendo una campagna all’insegna del triste slogan "Non vorrete mica che vincano quelli lì?".