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Novecento nascosto

Dalla Toscana al Nord Est opere meno note del Novecento chiedono nuove ipotesi di lettura.

Può anche risultare giusto quello che Roberto Longhi ebbe a dire di Morandi ("non sarà secondo a nessuno") e degli artisti del Novecento ("ben pochi resteranno a contarsi forse sulle dita di una sola mano"), ma è anche vero che la storia non è fatta dai giganti, non è solo "elegia luminosa" ma anche "poesia dialettale". Tant’è che in questi ultimi mesi ho visitato mostre davvero interessanti di artisti considerati "minori" (?) come Guido Trentini all’Officina d’Arte di Verona, preceduto nelle stesse sale da Umberto Moggioli, o, per rimanere a Trento, Giorgio Wenter Marini (disegni, paesaggi e motivi veneziani) presso la Galleria Fogolino, mostra passata sotto assordante silenzio (trovo assurdo che ad esempio Palazzo Trentini spenda decine o centinaia di milioni per cataloghi senza consistenza di apparati critici, fatti a bella posta per accontentare gli artisti, che quotidiani di Trento non diano notizia di una mostra importante per la città).

C’è invece un’istituzione pubblica, il LAMeC di Vicenza che presenta in alcune sale della Basilica Palladiana opere notevoli della prima metà del secolo scorso con particolare attenzione agli anni tra le due guerre di artisti emiliani, toscani e veneti che svolsero una ricerca autonoma nel campo della figurazione, ma trascurati e dimenticati dalla critica. La mostra vicentina - questa è notizia importante - è intesa come primo momento di un progetto che si concluderà l’anno prossimo con una seconda parte destinata a indagare l’intero territorio nazionale.

Carlo Ludovico Ragghianti, in una collettiva tenutasi a Firenze nel 1967, parlando degli stessi artisti ospitati fino all’otto luglio nella città veneta, già allora faceva riferimento ad opere che "si ripresentano con autorità e impongono una revisione".

Subito colpisce la straordinaria modernità delle opere di Alfredo Protti, artista bolognese, delle sue protagoniste femminili, dell’aria di ambigua sensualità ed estenuata attesa che le investe (probabilmente fotogrammi di un unico film con la stessa attrice protagonista, stesse calze di seta, stessa penombra, aria consumata ne "Il ventaglio", "La sedia viennese", "La puntura". Segue l’arte del faentino Giovanni Romagnoli, della sua luce dorata che avvolge le cose, le sue fanciulle senza tempo realizzate in terracotta come nella ninfa "Io" del ‘35.

Altri grandi scultori presenti sono il fiorentino Bruno Innocenti, allievo di Libero Andreotti, con il suo straordinario "Torso" del 1943, dove né il disegno né il colore ma la luce crea "tornite volumetrie... un senso di grazia lieve che si tende sul filo di una perfezione sottilmente fredda" (R. Federici), e l’altro toscano, Quinto Martini, con il suo amor classico nelle figure del "Nudo femminile a braccia alzate" (1937) e nell’"Ardengo Soffici" in terracotta alla maniera della ritrattistica romana. Nella sezione dedicata alla grafica, da notare i disegni preparatori per le sue sculture, gli studi da Picasso, i personaggi presi dalla strada, simili ai vecchi avvolti nei pesanti pastrani di Nino Bertocchi, altro artista bolognese presente alla mostra, fino ai tormenti interiori di Lea Colliva.

Per l’area veneta segnaliamo i tramonti di chiara impronta divisionista del vicentino Angelo Pavan e le atmosfere silenti, ca’pesarine di Nino Springolo.

Nella frenesia del XX secolo un invito quindi a guardare più da vicino e con più calma - sviluppando modelli interpretativi più sofisticati - la ricca miniera del Novecento.

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