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Lavoro senza casa

Lino Giannini

Vorrei qui proporre nuovi aspetti del problema della casa, anche se mi rendo conto del fatto che quelli annosi aspettano ancora una soluzione definitiva e del tutto soddisfacente: hoc est faciendum, aliud non est praetermittendum.

Il nuovo problema, comprensivo di quello dell’immigrazione di lavoratori stranieri, si chiama "mobilità lavoro" e riguarda anche i nostri connazionali.

Poco tempo fa mi ha telefonato una signora di Padova (Nord-est ricco e conservatore ), che insieme al marito ha trovato lavoro a Rovereto: ha difficoltà a trasferirsi, perché le occorre un appartamento di capienza sufficiente per una famiglia con tre figli: per ora lo ha trovato solo al modico canone di un milione e trecentomila lire. Viene a lavorare… per pagare l’affitto.

Gli extracomunitari ripetono l’esperienza dei meridionali che intorno agli anni ‘60 si trasferivano al nord in cerca di lavoro: ricordo un’intervista televisiva dell’allora Amministratore delegato della Fiat, Valletta, che ringraziava San Meridione. Ma i poveretti erano ospitati, se così si può dire, in slums fatiscenti, a prezzi esorbitanti, o dormivano in dieci in una stanza.

Oggi i giovani meridionali, spesso, preferiscono la disoccupazione o l’occupazione saltuaria e in nero, piuttosto che trasferirsi al Nord. E non hanno futuro.

Credo che una componente preminente del rifiuto sia il problema-casa.

Alcune aziende del Nord-est, come 40 anni fa Olivetti, procurano ai loro dipendenti un appartamento dignitoso, ad un canone d’affitto sopportabile, cioè proporzionato al loro reddito. Olivetti ne tratteneva sulla busta paga l’importo.

So di 500 ragazze sarde che vanno a lavorare sei mesi in Germania e poi tornano a casa. Insieme al lavoro trovano l’alloggio senza cercarlo e pagarlo canoni spropositati.

L’edilizia pubblica, da noi quasi esclusivamente l’Itea, è regolata dalle leggi provinciali 16 e 21, che presuppongono una popolazione stanziale, già residente. L’Itea e alcuni enti comunali possiedono il 10% della proprietà immobiliare. La media nazionale degli enti pubblici è del 3,7%. A Trento, quindi, siamo quasi un’avanguardia. Ma né l’Itea, né le leggi provinciali, rimanendo le cose come stanno, rispondono ai nuovi problemi.

Inoltre, con l’attuale governo di classe, che promuove la precarietà come ultimo grido della modernità, i problemi sono destinati ad aumentare. Che fare, allora?

E’ necessario, penso, ricorrere a tutti i mezzi e a tutte le associazioni della società civile.

Tempo fa, ho avuto fra mano un protocollo d’intesa firmato dalle cooperative, che si impegnavano a produrre case destinate esclusivamente all’affitto. Non mi consta che, almeno da noi, si sia realizzato qualcosa.

Penso che sarebbe utile promuovere in permanenza un tavolo di discussione e di lavoro, che veda insieme Istituzioni, in primo luogo la Provincia, che in materia ha potere legislativo primario, inoltre Comuni e Comprensori, associazioni imprenditoriali, la Confedilizia, sindacati e associazioni della società civile come Acli, Itea ed enti dotati di immobili.

E’ necessario e nell’interesse di tutti che chi viene a lavorare da noi trovi insieme al lavoro anche la casa. Nel mio ufficio di Rovereto vengono spesso persone e famiglie in una situazione disperata.

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