Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 16, 29 settembre 2001 Servizi

Le molte facce dell’Islam

Le differenziazioni e le evoluzioni che attraversano il mondo islamico, e il suo rapporto con l’Occidente.

Intervista al prof. Carlo Saccone, docente di Islamologia all’Istituto di Scienze Religiose di Trento, e di Storia e cultura dei paesi islamici all’Università di Padova.

Il vasto mondo islamico non è, ovviamente, compatto. E nel suo impatto con la modernità appare diviso tra "moderati" e "integralisti". Quanto è vera e quanto ampia questa divisione?

E’ verissimo. L’impressione di compattezza ci deriva dall’ignoranza diffusa sul fenomeno "islam". Negli anni della guerra fredda accadeva qualcosa di simile nella comune percezione del fenomeno "comunismo". Oggi i musulmani sono un miliardo e duecento milioni suddivisi tra decine di stati, molti dei quali stanno facendo il gran balzo verso la modernità (si pensi all’Indonesia, alla Tunisia, alla Turchia o al Marocco). Altri si trovano tuttora in condizioni di vita e con strutture sociali rimaste ferme pressoché al medioevo, tra cui troviamo - ma è proprio un caso?- i due stati ultra estremisti di cui oggi tutti parlano: Sudan e Afghanistan. Altri ancora, come l’Arabia Saudita e i paesi del golfo , presentano strutture tecniche modernissime coniugate a sistemi sociali arcaici e a sistemi di potere autocratici. I paesi dell’Asia Centrale ex-sovietica rappresentano un caso inverso: "modernizzati" a tappe forzate dai sovietici nelle strutture politiche e sociali, rischiano dopo la dissoluzione dell’URSS di fare salti indietro su tutti i fronti. Un caso a sé è l’Iran, dove sembra si stia portando avanti un disegno apparentemente impossibile: coniugare una teocrazia con forme di moderna democrazia rappresentativa.

Anche la vecchia distinzione tra moderati e integralisti rischia di essere superata nel quadro di queste tumultuose trasformazioni. Ci si potrebbe chiedere infatti chi è più integralista: uno stato come la teocrazia iraniana, dove le donne magari velate lavorano, fanno cinema, partecipano alla politica e già oggi forniscono più della metà dei laureati, o un paese come l’Arabia Saudita che non è una teocrazia e figura anzi tra i più solidi alleati dell’Occidente euro-americano, ma dove si applica tuttora la legge religiosa e le donne soffrono gravi limitazioni?

Secondo alcuni osservatori l’attentato di New York è rivolto anche - o forse soprattutto - all’interno del mondo islamico: per mettere in difficoltà e colpirne le componenti moderate. Cosa ne pensa?

E’ una lettura più che plausibile. Ne vediamo una dimostrazione in questi giorni nell’evidente processo di destabilizzazione che sta subendo il Pakistan. Un paese che è a tutt’oggi formalmente una democrazia parlamentare ma che da anni subisce l’iniziativa incalzante di partiti religiosi estremisti decisi a imporre la shari’a come legge fondamentale dello stato, partiti forse tentati oggi di cogliere l’occasione fornita da un possibile attacco americano. Tuttavia la matrice più larga del terrorismo di marca islamica è un risentimento di lunga data verso gli stati guida dell’Occidente, che ha le sue radici nell’epoca coloniale. In Europa e in America si tende a considerare il colonialismo un capitolo chiuso, acqua passata. Qui sta una delle ragioni della incomprensione degli attuali fenomeni. L’intellighenzia musulmana continua a vedere nei vari episodi bellici succedutisi nell’ultimo cinquantennio (crisi di Suez, guerra dei sei giorni, guerra del golfo...), contrassegnati dall’intervento militare diretto o indiretto delle ex potenze coloniali in territori musulmani, una riprova del perdurare sotto altre forme di un rapporto di dominazione e di sfruttamento neocoloniale. Questo dà fiato alla retorica anti-americana e anti-occidentale; il risentimento d’altronde è stato purtroppo in parte alimentato anche da gravi errori di politica estera che coinvolgono l’Europa e l’America. A torto o a ragione nei paesi musulmani gran parte dell’intellighenzia continua a giudicare la politica estera americana e europea acriticamente appiattita o semplicemente "a traino" degli interessi israeliani, delle multinazionali, ecc. Odio e risentimento crescenti, diffusi in larghi strati sociali, non solo intellettuali, per la politica "a senso unico" dell’Occidente, sono stati il terreno di coltura di buona parte del terrore di oggi.

Icosiddetti moderati islamici sono in genere le borghesie al governo. Com’è il loro rapporto con il resto della società? I non esaltanti risultati conseguiti nello sviluppo di quei paesi, non sono forse robusto motivo di impopolarità di queste borghesie, e quindi terreno di coltura del fondamentalismo?

La domanda sembra quasi dare per scontato che la borghesia sia il lato moderato e magari il proletariato urbano il lato estremista delle società islamiche. Non ne sarei così sicuro. La teocrazia di Khomeyni fu portata al potere con l’appoggio determinante dei "bazari" (mercanti del bazar); il ceto d’estrazione di tanti leader rivoluzionari del dopoguerra non era il proletariato o il sottoproletariato urbano. Le divisioni in seno alle società islamiche sono più ideologico-politico-religiose che "di classe". Bin Laden appartiene all’alta borghesia esattamente come i suoi influenti parenti amici della casa reale saudita. Le società islamiche sono attraversate da almeno due secoli da tensioni fortissime tra modernizzatori e conservatori, ma queste due categorie non si identificano con precise classi sociali, si ritrovano piuttosto all’interno di ciascuna di esse. Per altro aspetto, spesso non adeguatamente valutato, occorre ricordare il grande influsso politico e economico esercitato dalla casta militare. Una casta che in molti paesi (Turchia, Algeria, Pakistan...) si propone nel ruolo ambiguo di "potere forte" teso alla salvaguardia o alla promozione di valori moderni (democrazia, laicità, emancipazione…) senza necessariamente rinnegare la tradizione. Ecco, quando si pensa ai soggetti della politica nei moderni paesi musulmani, dobbiamo tenere presente che accanto a quelli a noi più familiari (i partiti, i sindacati, le classi produttive…) esistono dei soggetti atipici, una casta militare e una casta religiosa, con cui tutte le borghesie al potere devono fare i conti. Si tratta di residui di una stratificazione sociale di tipo arcaico, ma tuttora determinanti in molti paesi musulmani d’oggi. L’aspetto contraddittorio e ambiguo è costituito dal fatto che troppe volte l’una o l’altra di queste caste aspira a mettersi a capo della modernizzazione, come è il caso della teocrazia iraniana dal ’79 o, molto prima, della casta militare turca. Compito di ogni moderna borghesia nei paesi musulmani dovrebbe diventare allora quello di liberarsi da queste ingombranti tutele, compito che non sembra ancora pacifico per gran parte della pubblica opinione e che sembra riuscire meglio là dove c’è stato un forte e prestigioso potere monarchico, come in Giordania o in Marocco. Questi due paesi esemplificano un ulteriore caso in cui non è né la borghesia né una casta ma la vecchia istituzione monarchica a promuovere la modernizzazione in un ambiente politico che però è una sorta di "democrazia sotto tutela" piuttosto che una democrazia piena.

Per rispondere alla seconda parte della domanda, credo che occorra ritornare al grande esperimento del cosiddetto "socialismo arabo", portato avanti a partire dagli anni ’50 dal movimento dei giovani ufficiali di Nasser in Egitto e da similari movimenti in Algeria, Siria e Iraq e persino dal Gheddafi dei primi tempi. Questi esperimenti sono l’epigono in chiave rivoluzionaria di in un movimento che datava almeno dalla seconda parte dell’800, variamente definito con termini come modernismo o riformismo, ma caratterizzato da una entusiastica fiducia nel poter coniugare Islam e scienza moderna (occidentale), fede e riforme profonde della società. Le promesse di colmare rapidamente il gap con l’Occidente attraverso l’applicazione alla società di riforme radicali o "ricette scientifiche" di sviluppo si rivelarono ottimistiche oltre ogni previsione; il fallimento di questi "socialismi" generò un forte contraccolpo, ingigantito dalla frustrazione causata dalle sconfitte arabe nelle due guerre arabo-israeliane del ’67 e del ’72 . Da allora i vari fondamentalismi rialzano la testa, ripropongono il Corano come panacea a tutti i mali e alle umiliazioni subite, e imputano alle classi sino allora dominanti, riformiste e socialisteggianti, la colpa di avere creduto nella scienza occidentale e nelle sue fallimentari ricette scientifiche di gestione sociale.

Quali sono le percezioni dell’Occidente nei paesi islamici? Esiste una differenziazione nella valutazione di "occidentali" e di "americani"? Esiste un’attrazione verso il modello di sviluppo, e una repulsione verso le politiche di potenza?

Noi usiamo abusivamente il termine "Occidente": alla costruzione di questo Occidente ha dato un contributo determinante proprio il mondo arabo-musulmano in un periodo cruciale, tra i secoli XII-XV, il periodo del grande travaso delle scienze arabe nel medioevo cristiano, l’epoca in cui Alberto Magno e Tommaso d’Aquino assorbono e rielaborano l’aristotelismo di "marca araba", in cui Raimondo Lullo combatte l’averroismo dilagante nelle università europee, e Dante guarda ammirato a Averroè colui "che lo gran comento feo" ad Aristotele. E’ il periodo in cui scienze fondamentali come la medicina, l’astronomia, l’ottica, l’alchimia, si studiano sui trattati arabi tradotti in latino; in cui mezza intellighenzia europea presso le autorità religiose è in odore di eresia averroistica. Ma, a ben vedere, è anche un periodo di grande unità culturale al di là delle differenze di fede e degli eventi bellici legati alle crociate: Avicenna, Averroè e gli scienziati arabi sono i maestri indiscussi, gli incubatori di un nuovo umanesimo scientifico. Lo strano è che oggi si è perduto il senso di appartenenza a questa straordinaria koinè culturale. Si parla di "Islam e Occidente" come di due categorie opposte e inconciliabili: il mondo arabo-musulmano, aspetto più preoccupante, non si riconosce parte di un Occidente cui pure ha dato un contribuito determinante.

Oggi per i musulmani l’Occidente è l’"altro", per noi cristiani l’Islam non è "occidente". Più comprensibile la loro posizione e perfino giustificata dopo gli errori e gli orrori del periodo coloniale; meno comprensibile per non dire ingiustificata la memoria corta dell’Europa.

Alla condivisione si è sostituito un sentimento di estraneità: nel giudizio dei fondamentalisti l’Occidente europeo prima ha sfruttato e dominato, e ora che potrebbe svolgere una più incisiva azione di mediazione, tende invece ad allinearsi al "Grande Satana" americano. L’America nell’immaginario collettivo del mondo musulmano ha ereditato i tratti più beceri e feroci del vecchio dominatore coloniale, è diventata nella retorica dei fondamentalisti da Komeyni in poi il Grande Satana, un concentrato di tutti i mali possibili contro cui val la pena lottare e magari "eroicamente" morire.

Ancora: esiste attrazione verso il benessere economico, le libertà democratiche, e preoccupazioni per il modello sociale (libertà della donna da una parte, disgregazione della società e della famiglia dall’altra)?

Ecco un altro aspetto contraddittorio. Come i paesi dell’Est europeo al di là della retorica anti-capitalista e anti-americana guardavano incantati alla grande scintillante vetrina del benessere dell’Ovest, così le masse musulmane sono attratte dal benessere e dai modelli di vita europei e americani al di là o nonostante il risentimento di cui si parlava o l’aperta condanna dei fondamentalisti. Non c’è famiglia nei paesi musulmani che non guardi con invidia a chi può permettersi di mandare i figli a studiare in Europa o in America; tutti i moderni ritrovati della tecnica, dalle antenne paraboliche agli ultimi modelli di computer o di telefonini, per non parlare delle novità della moda e dell’abbigliamento, stanno in testa alla lista degli acquisti voluttuari. Paradossi della storia: il mondo musulmano guarda al benessere e alla "bella vita", alla scienza e alla tecnica degli Occidentali con lo stesso contraddittorio sentimento di ammirazione e di timore, di curiosità e di ripulsa, con cui nel medioevo il mondo cristiano guardava alla "bella vita" delle raffinatissime corti arabo-spagnole e arabo-sicule e alla scienza e alla filosofia dei grandi "pagani" maestri arabi.

In mezzo a questi contrastanti sentimenti procede nonostante tutto, impetuosa e inarrestabile, l’assimilazione di stili e modelli di vita, di idee e paradigmi cognitivi. Nelle città si fa avanti una gioventù colta, che legge di tutto - da Sartre a Calvino - che naviga su Internet e frequenta i "bar telematici", parla le lingue straniere, è curiosa di conoscere di confrontarsi con i coetanei europei e americani molto di più, ahinoi, di quanto questi ultimi siano interessati a conoscere e a farsi conoscere.

E’ una nuova "classe", destinata probabilmente a rimescolare tutte le carte e a confondere e rendere inutilizzabili i vecchi schemi di analisi sociologica.

Quali sono le differenziazioni, le evoluzioni, nel ruolo della donna nella società islamica?

Domanda enorme. Cominceremo col dire che non esiste una "donna musulmana", come non si può parlare della "donna cristiana". Ognuno può intuire come le differenze tra una donna cristiana e una donna musulmana che vivano nel Sudan o a Manhattan, siano trascurabili se confrontate con le differenze tra una cittadina di Lubijana e una contadina del Montenegro, entrambe cristiane. La pratica crudele dell’infibulazione accomuna molte donne cristiane e musulmane dei paesi più poveri del Corno d’Africa; per converso a Parigi e a Istanbul discoteche e piscine sono liberamente frequentate da giovani cristiane e musulmane. Si dovrà dunque sempre distinguere caso per caso. In Indonesia e in Pakistan abbiamo avuto donne alle massime cariche dello stato, cosa pressoché inimmaginabile nei regimi non solo di tipo fondamentalista ma anche nei "moderati" paesi arabi del golfo. Nell’Iran di Khatami le donne siedono in parlamento, nell’Afghanistan dei Taleban al massimo possono sedersi in casa propria. In generale si può osservare che gli spazi di autonomia della donna si sono alquanto ridotti sotto la spinta fondamentalista, ma la tendenza di fondo all’integrazione della donna nel mondo del lavoro e nelle professioni non è stata capovolta, salvo che nel caso estremo dell’Afghanistan. Le donne musulmane ovunque guardano nel bene e nel male ai modelli occidentali e cercano di seguirli, spesso con entusiasmo da neofiti. Il che può scontrarsi con la mentalità paternalista-maschilista dei loro uomini, fratelli, padri con conseguenze immaginabili, comunque diversissime in funzione del luogo, del grado di istruzione, del ceto di provenienza e dell’ambiente sociale, delle circostanze politiche. Una musulmana che si accompagni o sposi un cristiano può andare incontro a una benevola tolleranza come all’ostracismo della famiglia d’origine o persino alla pena di morte, nel caso di paesi che hanno reintrodotto la legge religiosa (shari’a).

Nel complesso la situazione dei diritti delle donne è in movimento, per molte poter lavorare e vivere autonomamente fuori casa non sposate è una conquista difficile e sofferta, ma non più impossibile. I progressi nel campo dell’istruzione sono stati enormi; l’accesso alle carriere professionali e alla vita politica soffre viceversa ancora di varie limitazioni, dovute spesso a quello stesso tipo di pregiudizi che fino a non molto tempo fa ostacolavano anche da noi il cammino della donna sulla via della propria emancipazione.