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Emily Zikazwe

Dallo Zambia a Perugia via Bolzano.

Alla marcia della pace Perugia-Assisi hanno partecipato quest’anno centinaia di sudtirolesi, soprattutto giovani. Fra gli altri e le altre c’era Emily Zikazwe. Emily vive e lavora in Zambia, ma alla marcia è andata anche in rappresentanza della provincia, che come altre amministrazioni locali, regioni e comuni, l’ha invitata e ospitata per tre giorni.

Tre giorni possono sembrare pochi, ma per chi ha potuto conoscerla sono stati giorni lunghi e intensi. Emily è presidente di un’organizzazione che si chiama "Women for change", donne per il cambiamento, che lavora in tutto il paese per aiutare le donne nel loro lavoro e per rafforzare nelle donne la consapevolezza del loro ruolo. L’ottanta per cento del cibo viene procurato infatti dalle donne, ma la cooperazione internazionale generalmente sottovaluta questo aspetto, tendendo a sostenere la figura maschile, che tuttavia, benché abbia la preminenza nella politica, non ha per nulla la stessa funzione nella società. Nata nel 1954, ebbe la fortuna di poter studiare, nonostante gli scarsi mezzi della famiglia, nelle scuole di lingua inglese e successivamente laurearsi in agronomia in Unione Sovietica. Lo Zambia infatti divenne indipendente nel 1964 ed ebbe per un certo periodo un governo alquanto socialista.

Emily ci ha descritto il suo paese come uno dei paesi più poveri del mondo. Grande di estensione territoriale, con montagne altissime e foreste e animali selvaggi, ha solamente dieci milioni di abitanti. Un luogo dal clima subtropicale, ricco di risorse naturali, fra cui il rame e il turismo, che potrebbero garantire benessere a tutti. Invece lo Zambia è un paese poverissimo e sull’orlo della rovina. Un terzo della popolazione è sieropositivo, nell’età fra 25 e 45 anni la morte per AIDS raggiunge dati paurosi, sterminando la fascia di popolazione che è in grado di procurare il cibo. Così nel giro di pochi anni l’aspettativa di vita della popolazione è drammaticamente scesa dai 37 ai 30 anni.

La politica del governo d’impronta economica liberista, insediatosi nel 1972, subisce le condizioni della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale, e ha ridotto drasticamente l’impegno sociale, e in particolare istruzione e sanità. Il paese non è in grado di acquistare i farmaci che in Occidente riescono a tenere sotto controllo l’epidemia di AIDS e per ora non ha il permesso speciale che rende possibile al Sudafrica, dopo una lunga battaglia legale contro l’Organizzazione Mondiale del Commercio, di acquistare farmaci prodotti senza brevetto a prezzo più basso. A tutto ciò si aggiunge la corruzione diffusa, che fa preferire l’acquisto di armi all’investimento nei servizi sociali.

Di tutto questo Emily ci ha parlato, in incontri con i politici, pubblici e privati, con malinconia e quasi con rassegnazione, forse sopraffatta dall’immensità della tragedia e dalla mancanza di pietà del mondo ricco. Ma l’abbiamo vista animarsi ed entusiasmarsi quando ha parlato dei grandi progetti della sua organizzazione a favore delle donne e della sua visione del mondo, concreta e visionaria insieme.

Le poche donne che siedono in parlamento sono sostenute da una specie di assemblea spontanea ma non casuale di donne impegnate nei diversi settori economici, culturali e sociali. Una riunione che ha luogo ogni mese e che espone problemi e prospetta soluzioni e incita le donne che hanno responsabilità politiche e istituzionali a lavorare insieme nelle tematiche che riguardano il loro genere e le questioni che loro ritengono essenziali per la vita. Questo impegno viene dalla consapevolezza della lacerazione che esiste fra la rappresentanza politica e la responsabilità rispetto alle questioni essenziali della vita e della sopravvivenza. "Quando hanno soldi, gli uomini preferiscono comperare armi, le donne cibo o sementi, o attrezzi per il lavoro" - ha spiegato.

L’esperienza africana conferma che esiste un mercato infinito di armi a supporto dei possibili conflitti. Eppure i centri istituzionali che decidono gli aiuti continuano a stanziare enormi somme, devolvendole a politici corrotti e litigiosi. "Che cosa possiamo fare per aiutarvi veramente?" - ha chiesto uno dei capigruppo del Consiglio provinciale, colpito dalla piana descrizione della miseria e dalla semplicità con cui Emily ha indicato le cause profonde locali e internazionali della miseria del suo popolo. "Non date mai un dollaro al nostro governo, senza informare la società civile" - ha risposto - Se ne fossimo a conoscenza in tempo potremmo chiedere che il denaro sia usato per comperare mezzi per coltivare la terra, o attrezzi per il nostro artigianato, e attrezzature per i nostri ospedali, ormai ridotti a niente, o libri per le scuole. Se non ne sappiamo nulla, finiranno in armi".

Emily e le sue collaboratrici e i suoi collaboratori percorrono le campagne, e incoraggiano e consigliano le donne per aiutarle nel loro lavoro di coltivazione dei campi. Lei stessa parla sei delle lingue locali che vengono usate dai 72 gruppi etnici in cui si divide la popolazione dello Zambia. Anche i suoi due figli, che ha tirato su da sola, poiché il marito è morto appena dopo la nascita del bambino più piccolo, hanno imparato nella scuola, dove la lingua di insegnamento è l’inglese, molti dei numerosi dialetti delle lingue locali. "Ci basterebbero prestiti di piccole dimensioni, dati alle donne e gestiti da loro, per cambiare le cose". Le sue "Donne per il cambiamento" ci provano. Sono convinte che la povertà possa essere sconfitta.

L’inutilità e la dannosità dei pomposi e costosi interventi delle istituzioni di Bretton Woods, che con i prestiti multimiliardari e le feroci condizioni imposte per la restituzione paiono contribuire a diffondere nel mondo miseria, malattia e ignoranza, vengono qui messe a nudo. Emily lo insegna alle donne che coltivano la terra e lo dice con profonda saggezza alle assemblea dell’ONU e della FAO.

Davanti ad una pizza informale, l’ultima sera, lontane dai pranzi ufficiali e dagli incontri politici e pubblici, abbiamo parlato. Della vita, della giustizia, e della Grameen Bank, la banca del Bangladesh, fondata dall’economista Muhamad Yunus, che concede prestiti, quasi esclusivamente alle donne, in un paese musulmano, e solo ai più poveri, che sono ancora le donne.

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