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La Regione che ci servirebbe

La crisi irreversibile di una Regione abbandonata al clientelismo e alle scorribande di politici rancorosi o rampanti. Invece, di una Regione vera, raccordo di due Province troppo piccole, ci sarebbe enorme bisogno. Solo che...

Giovanni Kessler
Margherita Cogo, presidente della Giunta regionale.

Le vicende nelle quali è incappata la Regione in queste settimane possono probabilmente essere ricondotte a "leggerezze" della Giunta regionale o della sua amministrazione, oltreché ad una innegabile dose di sfortuna. Tuttavia, sarebbe miope limitarsi a condannare o a deprecare il contingente, senza convenire sul fatto che esiste un problema più profondo, che riguarda il ruolo e l’utilità della Regione.

Attualmente la Regione è - mi si lasci passare l’espressione - il "prodotto di scarto" della riforma statutaria del 1972, con la quale quasi tutte le competenze, che prima erano incardinate sul livello regionale, furono assegnate alle due Province di Trento e di Bolzano.

Che quella riforma fosse necessaria lo prova la storia, considerato che solo dopo l’approvazione del secondo Statuto il rapporto tra i gruppi linguistici, prima conflittuale, è tornato ad essere fondato sulla pacifica convivenza. Eppure dopo il 1972 è rimasto in piedi un ente, la Regione appunto, il cui valore è quasi solo simbolico, quello di affermare il legame tra il Trentino e l’Alto Adige/Südtirol, un ente che però, nel concreto, non ha quasi nulla da fare. Anzi, tenuto conto che un anno fa è passata alle Province anche la competenza elettorale e che tra qualche mese, se gli accordi saranno rispettati, sarà approvata dal Consiglio regionale la legge con la quale si delegheranno alle Province le residue competenze amministrative della Regione, ebbene possiamo pure togliere quel "quasi".

E allora, ci si chiederà, cosa ci fa la Regione con cinquecento miliardi all’anno da spendere?

Una parte importante del bilancio regionale è finalizzato a spese autoreferenziali: ci si pagano insomma i dipendenti regionali per calcolare le paghe dei dipendenti regionali, per organizzare i buoni pasto dei dipendenti regionali, per tenere efficienti i computer dei dipendenti regionali, per scrivere e poi controllare le delibere sui dipendenti regionali. E così via. Tolto il Catasto e i Giudici di Pace, che quantitativamente sono inezie, per il resto la Regione serve quasi solo a se stessa.

Epperò una Regione siffatta fa comodo a tanti: se si vogliono raffreddare i bollori di un riottoso consigliere provinciale di maggioranza, gli si concede un assessorato regionale e si è sicuri di farlo contento. L’assessore non avrà nulla di cui occuparsi, ma in compenso godrà di un ricco stipendio (addirittura superiore di quello di un ben più indaffarato assessore provinciale), potrà girare con limousine guidate da autisti, potrà assumersi un segretario particolare che sarà al suo completo servizio, potrà girare il mondo in business class per "motivi di rappresentanza" e - non ultimo - potrà distribuire contributi ad enti ed associazioni di ogni tipo e "mettere una buona parola" per far avere un posto di lavoro a "persone bisognose", il tutto in vista, ovviamente, di sempre utili preferenze elettorali.

La Regione, della cui difesa tutti si fanno paladini quando si tratta di evitare di riformarla, è, per dirla tutta, l’ultima delle preoccupazioni dei partiti e, ad essere sinceri, anche l’ultima delle preoccupazioni di noi cittadini. E non potrebbe essere altrimenti, visto che, in ultima analisi, non conta quasi nulla. Cosicché, lasciata in stato di abbandono, oggetto di scorribande per politici rancorosi (poiché costretti ad accontentarsi di un premio di consolazione, rispetto al ben più ambito assessorato provinciale) o rampanti (ossia quelli che nell’assessorato regionale vedono un utile trampolino di lancio in vista di obiettivi più ambiziosi), dimenticata finanche dai mass-media e dall’opinione pubblica, la Regione è entrata in una crisi irreversibile, di cui l’odierno degrado rappresenta soltanto la prova.

Molti sostengono che questo sarebbe l’inevitabile prezzo da pagare sull’altare di più alte e nobili ragioni. Ma vogliamo dirci la verità? C’è chi sostiene che la Regione servirebbe per garantire l’autonomia del Trentino, ma questa considerazione, senz’altro vera mezzo secolo fa, dopo la recente riforma costituzionale in senso federale è del tutto priva di fondamento.

Altri sostengono invece che è attraverso la Regione che si garantisce la pacifica convivenza tra i gruppi linguistici, dimenticandosi che le bombe hanno smesso di scoppiare proprio quando la Regione è stata fortemente depotenziata. Altri ancora, infine, ritengono che la Regione servirebbe per tutelare gli italiani di Bolzano, senza spiegare come un ente privo di qualsivoglia potere possa svolgere questa funzione. A questo punto il politico paludato sfodererà l’asso delle competenze ordinamentali: "la Regione non amministra, ma fissa le regole". Ebbene: anche questo non è vero, visto che è prassi consolidata e inevitabile, per il Consiglio regionale, fissare regole diverse per le due Province, ratificando quanto deciso nelle due sedi politiche provinciali.

Il problema vero è che nel 1972, quando si varò il secondo Statuto, non si riuscì, a causa delle forti resistenze dei conservatori di allora, a completare il disegno di riforma. Non s’intende dire che si sarebbero dovute creare due Regioni distinte.

Tutt’altro: di una Regione vera sia il Trentino sia l’Alto Adige/Südtirol avrebbero anzi enorme bisogno. Di fronte al federalismo, alla nascita dell’euro, alla globalizzazione economica, anche uno studente al primo anno di ragioneria converrebbe che due Province tra loro simili, con nemmeno mezzo milione di abitanti ciascuna, è opportuno che si uniscano il più possibile, collaborando su tutto, se vogliono evitare di essere economicamente e politicamente marginalizzate.

Il fatto è che per avere una Regione vera, che decide sulle cose importanti, le cose sulle quali attualmente decidono le due Province, sarebbe necessario che l’ente regionale fosse strutturato in maniera tale da essere il luogo ove si incontrano e si accordano tra loro gli enti che hanno le competenze, ossia appunto le Province, ma questo non sarà mai possibile sino a quando, invece, la Regione continuerà ad avere anche una sola competenza propria e, per governarla, una Giunta regionale eletta dal Consiglio.

Insomma, un conto è pensare ad una Regione nella quale Dellai e Durnwalder prendono assieme decisioni su sanità, trasporti, turismo, infrastrutture, energia, ambiente e via dicendo, altra cosa è una Regione nella quale Margherita Cogo decide, tutt’al più, sulle sedi dei Giudici di Pace. Nel primo caso la Regione non avrebbe competenze proprie, né una propria Giunta, né una struttura, né dipendenti, né soldi da spendere in limousine e viaggi, ma nel concreto conterebbe moltissimo. Nel secondo caso, quello odierno, il Trentino e l’Alto Adige/Südtirol rimangono di fatto due Regioni distinte, ma in compenso abbiamo un (costoso quanto inutile) ente chiamato Regione.

V’è un’altra differenza sostanziale tra queste due tipologie di Regioni. Nella prima le decisioni si prenderebbero soltanto con l’accordo di entrambe le Province. Nella Regione di oggi, invece, è ancora teoricamente possibile che la maggioranza italiana dei consiglieri imponga una decisione al gruppo linguistico tedesco: questo è il motivo per il quale i sudtirolesi odiano da sempre questa Regione ed il motivo per il quale, invece, essa è così amata dalla gran parte degli italiani, ma più di tutti, non a caso, da coloro che si riconoscono nella destra nazionalista.

La coalizione Ulivo-SVP ha deciso di riformarla, la Regione, e Margherita Cogo è presidente della Giunta proprio con questo obiettivo. Le enormi resistenze in sede politica rendono tuttavia l’impresa quanto mai difficile.