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QT n. 6, 23 marzo 2002 Servizi

Una Regione delle Dolomiti?

Comuni trentini che vogliono passare a Bolzano, Comuni veneti che vogliono passare a Trento... Forse la soluzione è un’altra.

Si è appena conclusa una difficile ricomposizione della Giunta regionale, una ricomposizione giocata al ribasso, non tanto perché dimagrita nei numeri dei componenti, ma per i contenuti del programma che si è data, per i lunghi percorsi di una sterile e dissanguante crisi.

Provincia di Trento: i laghi di Levico e Caldonazzo.

E’ una Regione che non riesce a ritrovare un ruolo, una motivazione di presenza, soffocata dalla necessità di visibilità di uomini e donne eletti in minuscoli partiti, offuscata dall’uso disinvolto di denaro pubblico e da un metodo borbonico nelle assunzioni e nei percorsi delle carriere di troppi funzionari.

Ogni proposta di riforma, ogni percorso di costituente, è subito stato stoppato dai partiti, sia della destra che dell’area del centro-sinistra. Alle riforme si è preferita per anni la cultura della sopravvivenza, del riferimento clientelare, possibilmente personale.

Cosa rimane oggi della realtà politica e culturale che aveva portato con l’ accordo Degasperi-Gruber all’istituzione di questa Regione autonoma? Poco, e quel poco non è comunque un dato nemmeno oggi trascurabile, ma è inadeguato nel costruire più unità, nel mantenere aggregazioni e motivazioni, è stato privato di emozioni e passioni.

Cosa rimane ad esempio della correttezza amministrativa della SVP? Tanti dubbi. E nel Trentino? Lotte intestine ai singoli gruppi, persone isolate che non hanno alcun riferimento sociale, tanto che da un giorno all’altro possono passare dall’area della sinistra a quello della destra: vedi Carlo Andreotti, vedi Caterina Dominici.

Dentro questo sfacelo non siamo ancora riusciti a cancellare il dato geografico, l’ambito naturalistico, la qualità ambientale di questa Regione, un dato sintetizzabile in una denominazione, un patrimonio comune: Dolomiti.

Queste montagne, queste rocce strane, questi spettacoli che si lanciano come fiamme verso il cielo sono la cerniera che unisce tre province fra loro molto simili per cultura, modo di vivere, per condizioni e problemi ambientali, perché sono state culla per secoli delle minoranze linguistiche ladine che oggi troviamo separate da anacronistici confini amministrativi.

Le Dolomiti a nord danno vita ad un fiume che ci lega all’Austria, a sud ci portano sul Piave e sul Cordevole, ad Ovest sull’Avisio, fin dentro l’Adige e giù, nella pianura Padana.

Se l’ambiente naturale e la configurazione geologica costruiscono unità, attorno a queste montagne si stanno sommando situazioni politiche strane, opposte, a volte inverosimili, o anche drammaticamente ridicole.

Partiamo dalla provincia di Trento, dove sul passo della Mendola alcuni operatori invocano l’annessione a Bolzano. Sono attratti dal ricco e continuo turismo della conca di Caldaro, vorrebbero calamitare i clienti in quota.

Questi operatori non provano neppure a chiedersi come sia maturata negli anni la realtà turistica di Caldaro e perché austriaci e tedeschi preferiscano passare settimane nel piatto fondovalle, fra canederli, uve e canneti, invece che salire alla Mendola, o verso il Roen. Non si chiedono perché succeda in pieno gennaio, come in giugno o luglio, che nell’alta Anaunia chi cerchi un ristorante trovi tutto chiuso e se prova a mettere piede in una pizzeria ritorni in velocità sui suoi passi sconvolto dal fumo, dal disordine, dall’approssimazione.

In valle di Fassa, offesi dagli errori della Provincia sulla delibera di Val Jumela e da un tribunale che si è permesso di chiedere alla burocrazia provinciale e alla politica correttezza amministrativa e trasparenza, si insiste con la richiesta di passare con Bolzano (Val Jumela: scandaloso Tar?).

E’ intervenuto ancora in questi giorni, più moderato del solito, il deputato ulivista ladino, tentando di sostenere le ragioni di una tale richiesta: richiesta legittima di una popolazione vessata da Trento - dice.

Tutti i danni ambientali leggibili sul nostro territorio sono responsabilità di Trento, lo dice anche il giovane sindaco di Moena, presidente dell’APT, albergatore, ed entrambi usano gli stessi concetti dell’imprenditore di Canazei, presidente della SITC (Società di Incremento Turistico di Canazei) e presidente del Superski Dolomiti, per anni vicesindaco del paese, Fiorenzo Perathoner.

Amministratori attuali e passati ritengono di non avere alcuna responsabilità dell’attuale degrado sociale e urbanistico della valle di Fassa e per risolverlo invocano altre distruzioni, altri errori, partendo appunto da Val Jumela.

Ma continua, preoccupato, il parlamentare ladino: "Per favore, amici fassani, non usate i toni letti in questi giorni, altrimenti facciamo brutta figura, e a Trento o nel Veneto non veniamo compresi quando diciamo che rischiamo di dover tornare a mangiare l’erba secca di val Jumela; stiamo facendo ridere di noi perfino i polli. Protestate, dite pure che ci sentiamo attratti da Bolzano, ma con altri toni e argomentazioni: purtroppo anche da Bolzano ci irridono, non ci vogliono proprio, quindi usate moderazione, ricordate che gli unici nostri nemici sono e devono essere questi integralisti di ambientalisti".

Gli unici a non accorgersi di quanto sia ridicola questa situazione e rivendicazione sono i rappresentanti di Forza Italia e della Lega Nord, che con coerenza sostengono ogni impianto, ogni strada, ogni possibile devastazione ambientale.

Non si accorge il deputato, ma nemmeno l’assessore regionale ladino appena riconfermato (lui, che solo pochi giorni prima voleva fuggire offeso dalla Margherita), nemmeno i sindaci, men che meno un nuovo predicatore, il presidente degli albergatori Italo Craffonara, non si accorgono che il TAR di Bolzano ha appena sospeso i lavori di un nuovo impianto sull’Alpe di Siusi e che gli amministratori locali altotesini, del comune e della Provincia, a differenza dei nostri non si stracciano le vesti, non offendono i giudici e le istituzioni; stanno cercando di capire dove abbiano sbagliato e come correggere eventuali passaggi adottati non conformi alle leggi e cassati dal tribunale amministrativo.

Passando nel Veneto, nel bellunese come nel veronese, o a Bassano del Grappa, le richieste sono opposte. Comuni, interi comprensori chiedono di essere aggregati alla Regione Trentino-Alto Adige, ad una delle due province.

Feltre vuole aggregarsi a Trento. Perché? Perché la Regione Veneto (centro-destra) taglia i servizi essenziali: sanità, formazione scolastica, trasporti pubblici.

Provincia di Belluno: Alleghe e il suo lago.

Il Centro Cadore vuole aggregarsi alla Regione Trentino Alto Adige. Perché? Perché la Regione Veneto ed il governo nazionale (centro-destra) vogliono imporre il prolungamento dell’A 27, la famosa autostrada delle Dolomiti, proseguire da Longarone (Pian di Vedoia) verso Tai, verso Cortina e se proprio non da lì non si passasse, spostarsi nella valle dell’Anesei (Auronzo) o ancora più in là, sotto la Mauria. Viene affidata la progettazione ad uno studio professionale, tutto rimane segreto fino a quando, casualmente, o forse non proprio casualmente, la notizia arriva a CIPRA e viene pubblicata sul Corriere delle Alpi, sul Gazzettino.

E’ immediata la ribellione di sindaci, cittadini e associazioni, si riuniscono affollate assemblee, si costituisce un comitato provinciale, si votano ordini del giorno nei comuni e nelle regole feudali.

E cosa si legge in questi ordini del giorno? Nel Trentino non siamo più abituati, da decenni, a tanto ben di Dio: mettere fine alla devastazione ambientale del territorio, basta strade (fateci le circonvallazioni), non vogliamo morire inquinati dal traffico di transito, ridateci i servizi sociali che ci state togliendo, sanità nelle periferie, scuole, servizi pubblici, asili nido, biblioteche, sevizi postali.

Ridate dignità al vivere in montagna. Se non fate questo passeremo con la regione Trentino Alto Adige.

Senza dubbio a spingere verso l’aggregazione con la nostra Regione c’è l’attrattiva economica, i tanti contributi che piovono sulle due Province autonome, le competenze legislative primarie ottenute: agli occhi dei bellunesi e di qualunque persona obiettiva risulta inspiegabile che una Provincia, identica nelle caratteristiche morfologiche, nella cultura di vita e nelle esigenze, subisca una tale disparità di trattamento.

Ma è altrettanto evidente, forzata nei toni, urlata nelle assemblee, quindi emotivamente condivisa la richiesta di ridare dignità alle popolazioni della montagna, delle valli, della periferia. Ed è una dignità che attinge a ben altri aspetti da quelli che troviamo invocati in Fassa: non certo impianti, non certo strade o seconde case: l’opposto. Nel Cadore e nell’Agordino, a Feltre come a Bassano gli amministratori comunali e delle regole feudali hanno ancora presenti le esigenze complessive del vivere, del significato alto del termine benessere. Dicono infatti: dobbiamo tutelare la nostra salute, quindi no al traffico di transito. Dobbiamo poter rimanere nelle valli, quindi abbiamo bisogno di tutela della salute diffusa sul territorio, avere pari opportunità con la pianura sulla formazione scolastica, l’offerta sanitaria, il sostegno alle famiglie. Divengono valori la prevenzione, la cultura, la socialità, la tutela delle minoranze linguistiche e delle specificità culturali, la tutela dell’ambiente naturale. Si ricerca, anche laddove difficile (e in montagna tutto è difficile), il terreno della solidarietà, della convivenza, si ricerca uno sviluppo che abbia ricadute sociali il più possibile diffuse: esattamente il contrario di quanto leggiamo nelle richieste delle amministrazioni o dei politici di Fassa o di alcuni residenti del passo della Mendola.

E’ partendo da queste rivendicazioni che possiamo costruire un terreno di confronto culturale e politico credibile nel tentare di ridare un senso all’ente Regione e ridefinirla anche strutturalmente. Certo, una Regione che va ridefinita nei confini e negli obiettivi che deve perseguire, nelle competenze che deve assumere e alle quali deve rispondere, nelle risposte che deve fornire a noi abitanti della regione "Dolomiti". Si potrebbe proporre l’unione delle tre province attraverso passaggi istituzionali intermedi e si arriverebbe così finalmente a tessere il filo genuino della presenza dei ladini dolomitici, si ricucirebbe un ambito geografico ben preciso, un ambito ambientale, un sistema di viabilità con caratteristiche comuni, un sistema economico, complesso, differenziato valle per valle, ma inserito in una matrice prevalente unica, quella ambientale e conservazionista e quella turistica.

Quattro anni fa, un convegno tenutosi a Pieve di Cadore e subito dimenticato aveva dato vita all’embrione di una riflessione in questo senso: il progetto si chiamava Dolomiti Monumento del Mondo e questo giornale aveva riportato un’ampia sintesi di quei lavori, ma è poi mancato l’appoggio politico al progetto, specialmente da parte di rappresentanti istituzionali che avrebbero dovuto dimostrare maggiore sensibilità, a cominciare dai verdi e dall’europarlamentare Reinhold Messner, oggi interessato a tutt’altri obiettivi. Lasciate libere le vette - ci dice l’alpinista - lasciatele agli alpinisti puri, le alte quote devono rimanere immacolate: nei fondovalle e nei paesi, invece, piena libertà alla libera impresa.

Sono gli stessi contenuti che sentiamo urlati, magari in modo più rozzo, dagli amministratori della Buffaure, da chi vuole la Valdastico, da chi cerca di imporre l’autostrada delle Dolomiti e anche, dispiace dirlo, da parlamentari che fanno riferimento all’area del centro-sinistra.

Quel progetto, al di là della proposta Dolomiti Monumento del Mondo, costruiva un abbozzo di piattaforma istitutiva della regione dolomitica, trovava le assonanze, i motivi di unità, le convergenze di entità fra loro diverse dal punto di vista sociale, della situazione economica, di quella linguistica e amministrativa, il legame veniva fornito dalle aree tutelate a parco, dalle riserve naturali.

Nel Trentino di oggi,per colpa di una gestione clientelare della politica,di un assistenzialismo diffuso e dei baratti elettorali, si vive una stagione incentrata sull’egoismo, sulla tutela delle categorie forti. Si è persa ogni capacità progettuale e di prospettiva, ogni volontà di coinvolgimento della società nella costruzione dei patti territoriali; i nostri sindaci sono punto di riferimento di un unico potere, quello degli albergatori e degli impiantisti.

Dall’altra parte, nel Veneto, senza nasconderci contraddizioni, si legge sul territorio una cultura opposta, si riescono ad individuare ancora i veri problemi del vivere e le esigenze della montagna. Esigenze, queste, che non sposano i voleri degli speculatori e dei sostenitori del turismo dello sci. Forse una alleanza forte delle popolazioni della regione dolomitica ci permetterebbe di ritrovare un senso, uno slancio ideale nuovo, un senso di appartenenza che abbiamo perso adagiandoci alla banalità della gestione del potere e della distribuzione dei contributi.

Anche nei riguardi dell’Europa siamo chiamati a costruire progettualità alte: la regione alpina ha responsabilità importanti nella tutela dell’ambiente, nella distribuzione della risorsa idrica e di quella energetica, nel sistema di mobilità transfrontaliero.

La Convenzione delle Alpi riassume tutti questi aspetti, permette di costruire una cornice di riferimento di sviluppo sostenibile per le popolazioni alpine: le Dolomiti, proprio grazie alla loro specificità e alle esperienze maturate negli anni d’oro dell’autonomia, potrebbero essere il tavolo di avvio di progetti pilota da esportare su tutta la dorsale montana, per evitare omologazioni, per evitare di rimanere succubi dei poteri forti delle pianure, per mantenere identità e specificità. Ma costruire questo progetto implica un atto politico di grande coraggio: superare gli egoismi che si stanno consolidando, specialmente nel versante trentino e arrivare a costruire una nuova, forte e motivata Regione. Si tratta di ricostruire con i cittadini un patto che rispetti tutti e non recepisca solo le imposizioni dei poteri forti. Si tratta di costruire solidarietà e questa straordinaria parola dovrebbe essere la base dell’avvio del progetto della regione delle Dolomiti.