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Capodimonte a Bolzano

Seconda tranche di prestiti in 100 lavori del museo partenopeo fino al 29 novembre.

Masolino, Mantegna, Lotto, Tiziano, Bellini, Correggio, Parmigianino, Carracci e Lanfranco...: in fatto di mecenatismo e fasto la Galleria Farnese, messa su dal Cardinale Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III, superava quasi quella dei Gonzaga e degli stessi Medici.

Jacques Callot, Studio per trionfo da tavola.

Alcune di quelle opere costituiscono il nucleo più importante della Pinacoteca di Capodimonte: proprio da questo museo napoletano provengono circa cento lavori in prestito al Museo Civico di Bolzano fino al 29 novembre, lavori quasi sconosciuti al grande pubblico, ma di grande qualità. La Maddalena di Tiziano è di un’altra pasta e primeggia tra tutte, non fosse altro per quello splendido paesaggio sulla destra, dai tratti veloci (verrebbe da dire impressionistici), gli ori dei capelli, gli occhi velati e lo scialle a righe di moderna concezione: "una figura da mezza coscia in su di una S. Maria Maddalena scapigliata, cioè con i capelli che le cascano sopra le spalle, intorno alla gola, e sopra il petto, mentre ella, alzando la testa con gli occhi fissi al cielo, mostra compunzione nel rossore degli occhi e nelle lacrime dogliezza de’ peccati" - così la presentò Vasari nelle Vite.

Non è da meno un piccolo olio, tempera e matita nera di Tintoretto, che ha per tema La battaglia sul Taro, opera anch’essa sconcertante per novità espressiva, tanto da essere scambiata con una del nostro passato recente.

A mio parere la scelta di questa antologica sembra costruita per contrasti: silenzi e rumori si rincorrono senza tregua. Ad un mondo di luce e colore in eccesso come in Venere, Cupido e Marte di Luca Giordano, dei nudi di Caino e Abele di Lionello Spada o del bellissimo Mercato delle carni di Joachim Beucklaer tra cotechini, prosciutti, salsicce e teste di manzo nonché palpugliamenti coniugali, si contrappongono opere meditative e di inquieta umanità, come nell’Autoritratto alla spinetta, giovanile composizione di Sofonisba Anguissola, negli aspetti dimessi la bellissima Cortigiana che si spulcia del bolognese Giuseppe Maria Crespi, o nell’artificio di un modello in posa pur intriso di realismo come nel San Sebastiano dipinto per la Certosa di S. Martino da Jusepe de Ribera nel 1651. Nel San Pietro risana lo storpio del napoletano Domenico Gargiulo la scena è ambientata su una scalinata di un tempio pagano, in un’ora in cui tutto sembra da un momento all’altro cadere. Di contro le Rovine di Giovanni Paolo Pannini sembrano fissate per sempre su questi due ovali col compito di consegnare alle generazioni future la grandezza, la perfezione della classicità.

Sulla stessa riga risulta interessante il confronto tra le caciarone nature morte di Giovanni Battista Ruoppolo e la precisione, il miracolo di trasparenza delle opere dell’olandese Jan Van Kessel (preferisco il primo!).

Al quarto piano del museo bolzanino sono riservate le sorprese del Gabinetto dei Disegni, a cominciare dai due studi per trionfo da tavola, uno di impianto pre-barocco di Jacques Callot, l’altro di vaporosa plasticità a firma di Vincenzo Gemito, per continuare con i volti appena affioranti eppur bellissimi di Giovanni Lanfranco o gli acquerelli su carta pieni di popolo di Giacinto Gigante.

Interessantissima la sezione dei bronzetti giunti a Napoli da Roma e da Caprarola, con primi tra tutti gli angeli musicanti di Niccolò Roccatagliata e la Lucerna in forma di donna che si scalda le mani del trentino Alessandro Vittoria. Veri gioielli risultano poi le porcellane bianche e policrome della Real Fabbrica di Capodimonte, voluta da Carlo di Borbone verso la metà del Settecento.

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