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QT n. 7, 5 aprile 2003 Monitor

“Romeo e Giulietta”: un corpo a corpo teatrale

Il lavoro di Shakespeare ottimamente rinnovato dalla regia di Antonio Latella: ambientazione, sottofondi musicali, espressione della corporeità degli attori.

Il "Romeo e Giulietta" visto a Riva del Garda, lo scorso 23 marzo al Palazzo dei Congressi per la regia di Antonio Latella, è finalmente una rappresentazione teatrale che dimostra (per chi ne avesse ancora bisogno!) che tra il cosiddetto "teatro classico" e quello "contemporaneo" non ci sono soluzioni di continuità. Infatti è la variabile dell’interpretazione del testo a sancire la fondamentale differenza tra ciò che è capace di cercare e trasmettere nuovi messaggi e ciò che non lo è. La questione non si pone dunque sulla contrapposizione classico-contemporaneo, che costituiscono invece due elementi dialetticamente parlanti e su uno stesso piano di ideale parità.

Ovviamente tutto ciò è possibile solo grazie alla vitalità e polifonia del testo "classico" che proprio perché tale consente il rinvenimento continuo di nuovi significati.

Questi temi erano sottesi al lavoro della regia in modo così cristallino che se ne avvertiva fortemente il richiamo.

Molti erano gli elementi di novità.

Latella ha privilegiato una scena povera e disadorna occupata soltanto da sette giganteschi pupazzi di stoffa che di volta in volta rappresentavano le case dei Capuleti e dei Montecchi, gli stessi genitori dei ragazzi, i ricoveri notturni degli amici e degli amanti, ma che allegoricamente connotavano l’inconsistenza delle lezioni dei padri e la finzione sociale dell’educazione indirizzata allo scatenamento degli odi e alla soppressione dei desideri dei figli. Del resto quella dei pupazzi è una felice intuizione, visto che nessuno dei genitori e degli adulti, chiusi nell’odio e nell’egoismo delle ricchezze, può comprendere l’intima forza sovvertitrice dell’amore.

La forte valenza anarchica e contestataria, che si sprigiona da quella scelta, è ulteriormente rafforzata dalla presenza in scena di sei giovani attori che restituiscono allo spettacolo le forti ed essenziali ragioni del dramma, tutte inscritte all’interno di un amore nato in un tempo brevissimo e dall’intensità che non conosce limiti, travalicando la morte stessa.

Giulietta - Silvia Ajelli - rinnova, in virtù della sua passione recitativa, le trepidazioni e il nitore di sentimenti di una quattordicenne che, giunta alla soglia della pubertà, reclama la sua pietanza d’amore nel grande teatro del mondo; mentre Romeo, colpito dal dardo di Cupido, subisce una vera e propria metamorfosi spirituale.

Lo spettacolo crea nuove immagini dei fasti ma anche delle scelleratezze di una classe aristocratica, fondamentalmente parassita e prepotente, ma aggiornata sui modi più raffinati del vassallaggio d’amore. La scena della festa in casa Capuleti lo conferma appieno: i protagonisti si muovono, balzano in avanti, mimando la gaiezza delle danze intessute di invenzioni gestuali di grande suggestione; contestualmente si svolge il primo dialogo tra i due giovani amanti che è una lirica impreziosita di acrobatiche antitesi, smisurate iperboli, contrastati ossimori…

Latella dimostra di saper utilizzare la propria libertà inventiva anche nell’accostamento di stili musicali differenti: dalla musica dell’epoca si passa senza stridori alla musica rock che accompagna la coreografia di un ballo moderno.

A dispetto della povertà dei mezzi scenici, lo spettacolo è fortemente evocativo e visionario, non solo per la pregnanza dei versi di Shakespeare, ma in particolare perché gli attori, finalmente, si riappropriano di un loro specifico dominio insieme alla voce: si sono ripresi il corpo!

Qui risiede la bellezza di questo spettacolo, non tanto perché è acconciato con i panni della modernità (anche se, a tratti, si sente una certa artigianalità e naïveté), ma perché il corpo, attraverso le azioni, sa plasticamente esprimere emozioni autentiche e palpitanti fornendo così alla parola un solido ancoraggio di verità sentimentale, in grado di capovolgere il procedimento attoriale, parola-azione, troppo spesso ancora in uso.

Il corpo è in primo piano, e si offre come corpo spogliato, corpo armato, corpo erotico…

Potreste dire: "Nessuno lo ha mai dubitato!" Eppure ancora troppo spesso si vedono attori defraudati del loro corpo e voci non abitate dalla verità della presenza la quale, seppure operante all’interno dell’ossimoro finzione-verità, è sovrana nella potestà della ri-creazione.

Un plauso particolare va agli interpreti, tutti ugualmente vivi e appassionati nella restituzione del dramma.

Sulla scia del rinnovamento dell’ambientazione della tragedia, si è messo già da tempo il cinema; in questo senso infatti riconosciamo il debito che lo spettacolo ha nei confronti del film William Shakespeare’s Romeo + Juliet (USA, 1996), in cui l’inveterato conflitto tra i Capuleti e i Montecchi era ridisegnato come una guerra tra bande in una violenta città postmoderna e l’amore tra i due giovani amanti rimaneva schiacciato dall’insanabile rivalità tra i due clan.

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