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Quel caldo soffocante

Parliamo, senza allarmismi, dell’effetto serra e di quello che governi e cittadini dovrebbero fare per evitare, se non la catastrofe, seri guai. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

L’ambientalismo è morto, soffocato dall’anidride carbonica. Bill McKibben, un giornalista statunitense esperto di questioni ambientali, evidenzia con questa efficace immagine il problema con il quale tutti, e non solo gli ambientalisti, dovremo fare i conti nei prossimi anni. E il problema è l’anidride carbonica, il CO2. Non succede nulla, almeno apparentemente, quando bruciamo carbone, petrolio o gas. Si emette soltanto anidride carbonica. Un gas che ha la proprietà di intrappolare il calore che dovrebbe tornare in atmosfera, provocando così il cosiddetto "effetto serra", cioè il riscaldamento globale. La temperatura, prevedono gli esperti, entro la fine di questo secolo potrebbe aumentare da 1,4 a 5,8 gradi. E c’è un solo modo per risolvere il problema: ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, cioè bruciare meno petrolio, meno carbone, meno gas.

"Dunque - ha scritto McKibben nel suo articolo su American Prospect, pubblicato in Italia da Internazionale - questo è un problema ambientale diverso da quelli affrontati in passato e non possiamo risolverlo con una nuova legge o con una marmitta catalitica. Dobbiamo cambiare radicalmente il modo di usare l’energia, cioè dobbiamo cambiare la nostra economia e le nostre abitudini". E questo discorso non vale solo per gli Stati Uniti, ma per tutti i paesi ricchi. Italia compresa, ovviamente.

"E’ vero, - concorda Karl Ludwig Schibel, responsabile per l’Italia di Alleanza per il Clima, una rete di comuni impegnati nella difesa del clima - i dati da soli non bastano. Finora il movimento ambientalista ha dato troppa importanza al discorso scientifico e troppo poca a quello socio-politico. In realtà, le due questioni sono strettamente connesse". Certo, non sipuò negare che ci sia una crescita di CO2 in atmosfera, che essa coincida con un aumento delle temperature e che la causa principale di tutto ciò vada ricercata nella combustione dei gas fossili. Ogni nuovo rapporto sull’ambiente ci segnala che questi processi che già conosciamo avanzano sempre un po’ più rapidamente. Allora - dice Schibel - è necessario divulgare più capillarmente queste informazioni. Senza fare terrorismo, però. In gioco non c’è l’estinzione della specie, ma questo tipo di equilibrio, quello che noi conosciamo.

Il riscaldamento del pianeta provocherà squilibri, soprattutto sul piano sociale. Milioni di persone potrebbero essere costrette ad emigrare (i cosiddetti rifugiati del clima), potrebbero acuirsi i conflitti per l’acqua e il previsto innalzamento del livello del mare potrebbe danneggiare in modo serio soprattutto le comunità che vivono nelle zone costiere e nelle piccole isole del Pacifico. Insomma, saranno ancora una volta i paesi poveri a subire più pesantemente gli effetti dei cambiamenti climatici, perché hanno a disposizione minori risorse per affrontare le tempeste, le alluvioni, le siccità, le epidemie. Eppure, essi hanno contribuito in maniera del tutto marginale al riscaldamento globale. E allora, eccoci di nuovo alla politica, alla necessità di inserire la lotta contro l’effetto serra all’interno di un quadro più ampio, che ci obbliga a rivedere il nostro modello di sviluppo. Perché siamo noi i maggiori responsabili delle emissioni di anidride carbonica.

Ma c’è anche chi sostiene che le variazioni di temperatura ci sono sempre state, che ciclicamente un periodo più caldo si alterna a uno più freddo e che nessuno è in grado di dimostrare che siamo di fronte a dei mutamenti climatici. Schibel obietta: "E’ scientificamente provato che ci siano dei nessi tra l’aumento di anidride carbonica e certi fenomeni climatici. Comunque, stiamo attualmente assistendo a eventi sufficientemente gravi che ci obbligano a fare qualcosa".

A questo proposito, gli esempi non mancano. La temperatura globale, dicono gli studiosi, nel XX secolo è cresciuta di 0,6 gradi (il decennio più caldo si è avuto negli anni ‘90 del secolo appena trascorso e l’anno più caldo è stato il 1998, almeno da quando sono iniziate le misurazioni, cioè dal 1961). Ma anche il livello dei mari si è alzato nell’ultimo secolo da 10 a 20 centimetri; la copertura di neve, invece, dagli anni ‘60 del secolo scorso a oggi si è ridotta del 10% nelle latitudini medie e alte dell’emisfero nord. Si riducono, però, anche i ghiacciai delle montagne europee. In Svizzera, per esempio, il loro volume complessivo è diminuito di due terzi. Nell’Antartico le cose non vanno meglio: l’estensione del ghiaccio marittimo in primavera e in estate si è ridotta di un 10-15%, mentre la temperatura dell’aria durante il XX secolo è cresciuta di circa 5 gradi, a un ritmo cioè dieci volte superiore all’aumento della temperatura media globale della superficie terrestre. Per non parlare poi degli uragani, che nel giro di pochi mesi si sono abbattuti sulle coste dell’America centro-settentrionale. "E’ vero che nel caso di New Orleans - dice il responsabile di Alleanza per il Clima - nessuno è in grado di provare scientificamente che l’uragano Katrina sia il risultato di cambiamenti climatici, né potrà farlo per i prossimi 15 anni. Il guaio è che quando avremo questa certezza sarà troppo tardi per agire".

Agire, già. Ma come? Il problema è talmente grande da renderci impotenti. "Questo - ribatte il nostro interlocutore - è l’errore che compiono i catastrofisti: cancellano la speranza. Noi dobbiamo semplicemente difenderci da un modo sbagliato di agire". Ridurre le emissioni, anche in maniera drastica (cioè del 60-70%), si può. Basta diminuire il consumo di combustibili fossili, e non attendere che si esauriscano da soli, come probabilmente accadrà fra 20 o 30 anni. Impostare una politica seria di risparmio energetico e di utilizzo di fonti di energia rinnovabili è un compito che spetta ai governi.

Ma il problema globale dell’anidride carbonica ha le sue radici a livello locale. Nasce, per esempio, ogni volta che prendiamo l’automobile anche quando potremmo farne a meno, quando corriamo troppo veloci, quando utilizziamo i fuoristrada anche dove non ce n’è bisogno, quando usiamo elettrodomestici scarsamente efficienti e così via. "Insomma - dice Schibel - una politica a favore del clima si può fare anche in famiglia: è divertente, fa bene alla salute e ci si guadagna in qualità della vita. E poi, l’usa e getta non è un segno di grande civiltà. Andrebbero riscoperte delle abitudini che in passato erano dettate dalla necessità e che oggi diventano invece scelte consapevoli".

L’aumento del consumo di prodotti energetici a un ritmo del 2-3 per cento l’anno, conclude Schibel, come avviene adesso in Italia e come prevede anche il Piano di sviluppo umbro, non è più eticamente accettabile, perché consumi così elevati possono essere garantiti solo sacrificando la vita di un numero sempre maggiore di persone nel sud del mondo.

E di questo dobbiamo essere consapevoli.