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QT n. 3, 11 febbraio 2006 Servizi

Una centrale idroelettrica in val di Stava?

Una proposta assurda per molte ragioni.

Ci sono luoghi che nessuno si permetterebbe di violare; sono luoghi sacri, luoghi della memoria, che raccolgono le sofferenze o di singole persone o di una collettività. Una di queste località, senza ombra di dubbio, è la valle di Stava, nel Comune di Tesero. E’ la valle che ha raccolto e visto morire in pochi secondi 268 persone, travolte da una ondata di fango provocata dall’avidità, dalla superficialità dell’uomo; una tragedia dovuta all’imperizia degli enti pubblici (Comune di Tesero e Provincia Autonoma di Trento), incapaci perfino di controllare, sempre disponibili a soddisfare ogni richiesta della società che gestiva la miniera di Prestavel.

Un’immagine della tragedia del 1985.

La conca di Stava, come del resto la montagna soprastante, Pampeago, sono già state profanate dalla ricostruzione che ha cancellato ogni passaggio storico. Ora il Comune di Tesero vorrebbe occupare e infrastrutturare anche la parte bassa della valle, quella a valle del ponte romano. Infatti, c’è l’intenzione di utilizzare le acque del torrente per sfruttarle a fini idroelettrici, costruendovi una nuova centrale che andrebbe a sostituire un vecchio impianto del primo Novecento abbandonato ormai da decenni.

L’associazione ambientalista Italia Nostra ha sollevato il problema e subito le reazioni sono state sopra le righe. Un enorme fastidio all’interno dell’amministrazione comunale, perché si sperava che il tema passasse nella più totale disattenzione. Ancor più cruda l’associazione delle vittime della tragedia di Stava, da sempre poco attenta al tema della memoria vera e delle cause della tragedia, molto più coinvolta invece nelle celebrazioni, verso il sentire ed il volere delle istituzioni. L’opinione pubblica, poi, nemmeno si accorge di quanto accade nei corsi d’acqua. Infatti, quello dello sfruttamento dei torrenti per scopi idroelettrici è un tema - erroneamente - trascurato. Si è convinti che una derivazione d’acqua non porti scompensi ambientali ed idrogeologici importanti e si finisce in tal modo per trascurare il problema nel suo insieme, incapaci di inserirlo in una analisi, in uno studio di dettaglio di tutto un bacino imbrifero.

Il progetto prevede la presa d’acqua appena sotto il ponte della statale a Tesero, una condotta per l’acqua derivata che percorre aree prative o recentemente conquistate dal bosco sulla sinistra orografica per arrivare ad interessare il fondovalle, luogo dove sarà ricostruita la centrale elettrica.

I primi dati che emergono dalla progettazione riguardano la superficialità dell’analisi economica. Si dice che in dieci anni si recupereranno le spese di costruzione e che ogni anno l’amministrazione comunale ricaverà una importante entrata economica. Ma i dati utilizzati non sono assolutamente credibili: ci si riferisce infatti a stime sulla piovosità della Val Cadino, una zona con esposizione Nord e con caratteristiche morfologiche molto specifiche. La valle di Stava è invece esposta a Sud, il bacino imbrifero è molto più ridotto, il corso d’acqua subisce prelevamenti della risorsa importanti, prima con l’acquedotto gestito dal consorzio dei comuni della bassa valle di Fiemme (oltre 5.000 utenze più le presenze turistiche) e poi importanti e sempre più consistenti prelievi da parte della società impiantistica che gestisce l’area sciabile di Pampeago.

Si omette anche di valutare quali conseguenze possa avere, per il funzionamento invernale della centralina, il fatto, documentato, che troppi rivi secondari del bacino in periodi siccitosi si prosciugano. Già questo insieme di temi rende poco credibile, sotto l’aspetto economico, la realizzazione della centralina.

Ma leggendo con attenzione le relazioni geologiche si trovano ben illustrate anche importanti fragilità del territorio. L’azione erosiva del rio non è mai trascurabile, le due rive hanno pendenze considerevoli: in sinistra orografica, proprio accanto al passaggio della condotta dell’acqua, sono ancora attivi fenomeni di smottamenti, di crolli. Per risolvere una situazione tanto delicata il progetto consiglia l’uso cospicuo di reti di intrattenimento del terreno o l’ancoraggio con tiranti di piccole pareti o roccette. Nella località dove sarà ricostruita la centralina vi sono evidenti apporti idrici di falda che nel tempo possono portare rischi alla stessa stabilità dell’edificio.

Già queste considerazioni avrebbero dovuto portare gli uffici provinciali a cassare il progetto o per lo meno ad imporne una radicale revisione. Ma c’è di peggio.

La condotta della progettata centrale si inserisce in un’area di grande interesse archeologico. Questa tutela è prevista dal Piano Urbanistico Provinciale e le aree sono state ispezionate recentemente dal Servizio beni archeologici, che ha riscontrato situazioni di significativo interesse storico e culturale. Si è constatata infatti la presenza di resti di abitazioni umane dedite all’artigianato e di successive case del periodo retico.

Per poter approfondire queste testimonianze della nostra storia l’area non dovrebbe subire alcuna alterazione: è un’area di rispetto archeologico di interesse regionale e nazionale, che va tutelata integralmente.

Si rimane sconcertati dal fatto che sia i progettisti che l’amministrazione comunale non rivelino e sottolineino l’importanza culturale dell’area. Se all’inizio del secolo, in assenza di conoscenze specifiche, si era tranquillamente costruito, oggi queste sottovalutazioni e superficialità risultano inaccettabili.

Sempre il sistema ambientale del PUP prevede anche che la zona della centrale sia tutelata a parco fluviale. Ma non solo: lo stesso Piano Regolatore Generale del Comune di Tesero prevede che questa area sia destinata a fascia di rispetto assoluto nei riguardi della vicina strada di fondovalle.

Questa centralina è dunque un’opera che non rispetta né i vincoli posti dal PUP provinciale né le attenzioni prescrittive presenti con tanta efficacia nel PRG del Comune di Tesero. E’ una zona che non solo dovrebbe essere dedicata alla memoria di una tragedia che non si può cancellare con questa diffusa azione di cementificazione ed infrastrutturazione, ma che può e deve rivestire un carattere culturale strategico, sia dal punto di vista archeologico che nella individuazione e progettazione del tanto atteso parco fluviale del fiume Avisio.

Nel breve periodo altri affluenti dell’Avisio saranno interessati dalla progettazione di centraline. Da anni, con insistenza, si parla di costruirle sul rio Bianco e sul Cavelonte (Panchià), sul rio Cadino (Castello Molina di Fiemme). I tempi sono maturi, la comunità europea ha riaperto i fondi per investimenti nelle energie rinnovabili e si tratta di contributi a fondo perduto. Ai Comuni, o alla Comunità di Fiemme non interessa che la redditività della produzione di energia sia crollata in questi ultimi anni, grazie alla competizione di altre società. Questi enti, al momento, mirano ad un solo obiettivo: ottenere i contributi illudendosi che nel breve periodo le centraline, anche quando progettate con tanta superficialità, ritornino a produrre gli utili che si ricordano in tempi non tanto lontani, cinque, dieci anni fa.

Nell’immaginario di certi amministratori pubblici memoria, cultura, valore della risorsa idrica sono temi che non contribuiscono alla strutturazione di un bilancio e quindi vanno semplicemente trascurati.